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Forum 18 - Imparare l'arte di vivere insieme in un mondo frammentato

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2023 19:53
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Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
Sesso: Maschile
15/09/2023 19:53





Mohammad Ali Abtahi

Presidente dell’Istituto per il Dialogo Interreligioso, Iran
 biografia
Il collasso sociale (noto anche come collasso della civiltà) è il fallimento di una società umana complessa, caratterizzata dalla perdita dell'identità culturale e della complessità sociale come sistema adattivo, dalla caduta del governo e dall'aumento della violenza. Le possibili cause di un collasso sociale includono catastrofi naturali, guerre, pestilenze, carestie, crisi economiche, eccessiva diminuzione o eccessivo aumento della popolazione, migrazioni di massa ed atti ostili da parte di civiltà rivali. Una società collassata può regredire ad uno stato più primitivo, essere assorbita da una società più forte o scomparire completamente.
 
Secondo questa definizione classica, non c’è stato collasso sociale, economico e politico nella maggior parte del mondo, ma purtroppo la situazione degli esseri umani contemporanei, anche nei paesi più prosperi e stabili del mondo, è tale che la solitudine e l'isolamento sembrano essere un sentimento comune e universale. Non si muore più di fame e di carestia, l'aspettativa di vita è migliorata e la mortalità infantile è quasi scomparsa, ma la gente è ancora stanca e non ne può più della vita. Non siamo qui facendo un racconto romantico che ha il senso di impotenza come tema, ma stiamo parlando di sentimenti pervasivi come solitudine e ansia, dell’interruzione delle relazioni, della rabbia e della ribellione, di sentimenti di umiliazione e depressione. Questi problemi hanno portato ciò che può essere considerato il più grande atto d'accusa verso le società avanzate: il tasso paradossalmente elevato di suicidi.
 
La crescita economica è la principale priorità della politica moderna, ma gli sforzi che gli uomini compiono per ottenere la sicurezza materiale hanno un senso solo se sappiamo come ridurre quelle sofferenze umane che, anche quando c’è prosperità economica, non cessano di esistere, e che, anzi, talvolta sono causate direttamente da essa. Gli attuali problemi dei trenta paesi più potenti o più ricchi, che sono anche chiamati il primo mondo, sono gli stessi di cui soffre l'intero genere umano. In altre parole, se non c'è un piano che sappia guardare alle questioni umane fondamentali e che abbia come obiettivo la felice convivenza degli esseri umani nel complicatissimo mondo di oggi, è certo che concentrarsi solo sul benessere materiale e su un'economia dinamica non risolverà i problemi del mondo.
 
La speranza del periodo illuminista e della rivoluzione industriale era che con il dominio della ragione e la realizzazione dello sviluppo e del benessere per tutti, le società umane avrebbero raggiunto la libertà, la prosperità e la pace. Tuttavia, le devastazioni portate dalla Prima e dalla Seconda Guerra Mondiale, e, successivamente migliaia di altre guerre in tutto il mondo, come anche la distruzione dell'ambiente, la crescita del fondamentalismo, le ondate di immigrazioni massicce e gli enormi spostamenti di popolazione, le crisi dovute alla disoccupazione ed i tanti problemi connessi a questi eventi hanno dimostrato che la vita umana è più fragile, sensibile e complessa, perché programmi semplicistici ed unidimensionali possano trovare soluzioni per uscire dalle crisi esistenziali nel complesso e difficile mondo di oggi.
 
Ciò che ci troviamo ad affrontare nel mondo contemporaneo, o più propriamente nel villaggio globale, sono enormi cambiamenti tecnologici, grandi cambiamenti negli stili di vita e cambiamenti sostanziali nelle relazioni politiche. Questi cambiamenti sostanziali hanno fatto sì che anche le relazioni umane ne risultassero radicalmente mutate. La questione non è solo il fatto che siano cambiati quello che è l’aspetto del mondo, le relazioni umane e gli stili di vita, ma piuttosto la velocità di questi cambiamenti. Soprattutto nel campo della tecnologia essa è tale che non è più possibile per nessun essere umano riuscire a seguire in tempo reale tutti gli aspetti di questi cambiamenti. Di conseguenza, nonostante i progressi compiuti, spesso si è incapaci a stare dietro a questi sviluppi, e non vi è neanche tempo sufficiente per pensare quali possano essere le loro inevitabili conseguenze. Ciò ha creato innumerevoli questioni comunicative difficili da risolvere che, per quanto esse possano sembrare banali rispetto ai grandi problemi del mondo, hanno creato innumerevoli crisi nella vita quotidiana e sono state la causa di innumerevoli danni umani e spirituali.
 
In effetti, la domanda fondamentale è se questa globalizzazione dei cambiamenti abbia portato a un mondo più umano. In questa sede, intendo portare avanti la discussione presentando due esempi di grandi cambiamenti nel mondo moderno, senza precedenti nella storia, e vorrei anche porre la seguente questione: quali sono le opportunità che abbiamo trascurato, grazie alle quali potremmo ottenere una vita comunitaria felice, un mondo con più pace e più tolleranza e con un livello di sicurezza più stabile?
 
I due esempi che seguono possono introdurre una breve discussione sulla tecnologia e sul concetto di uguaglianza e individualità.
 
Innanzitutto, bisogna riconoscere che la risposta alla domanda citata è molto difficile, soprattutto per la natura mutevole del mondo in cui viviamo, un mondo che, a causa della complessità delle tecnologie e della varietà delle aspettative, non si mantiene più costante e stabile: è come se il "vecchio" e il "nuovo" non si misurassero nella scala dei secoli ma in quella delle "ore" e dei "minuti". Forse questa situazione può essere paragonata ad una costante resurrezione, in cui in ogni momento lo stato in cui si trova il mondo è il risultato di una distruzione seguita da una ricostruzione, ed anche è il risultato della fioritura di tutte le potenzialità e di tutti i talenti umani, e della realizzazione della loro immaginazione illimitata; così vengono superati i muri che ci circondano, creati dalla realtà del tempo, dello spazio e del mondo materiale. Da questo punto di vista, si può affermare che questi cambiamenti sono diventati il presupposto per una maggiore libertà e creatività, e si può quindi anche dire che dare spazio ad innumerevoli talenti umani perché trovino la loro realizzazione sia qualcosa che rende il mondo più umano.
 
Ma ciò che è chiaro nel mondo delle idee e dei concetti, se realizzati e messi in pratica, può muoversi in direzioni diverse ed ambigue e portare a situazioni complicate e persino a vicoli ciechi che hanno effetti imprevedibili e forse indesiderati sulla vita spirituale e materiale degli esseri umani. Ragionando in maniera ottimistica, ci auguriamo che l'intenzione di chi mette in circolo idee, dei filosofi e degli scienziati in tutti i campi della scienza, della tecnologia e delle scienze umane sia quella di contribuire al miglioramento e al benessere dell'essere umano e di fornire maggiori opportunità di vita. Forse però possiamo tutti concordare sul fatto che, anche a scapito delle migliori intenzioni, una impresa può muoversi in una direzione completamente diversa da chi ne è stato il promotore. Un esempio è il cambiamento nelle modalità di comunicazione, compreso anche l’uso degli smartphone: quest’ultimo è stato introdotto con le migliori intenzioni, compresa anche quella di ottenere una comunicazione più efficace tra le persone. Sicuramente lo smartphone ha anche questa funzione, ma d'altra parte esso ha fatto sì che le persone divenissero dipendenti dalla realtà virtuale e ignorassero la presenza dell'altro.
 
Si pensava che le tecnologie della comunicazione avrebbero rafforzato l’empatia nella convivenza umana; che il libero flusso di informazioni avrebbe portato a una maggiore giustizia e uguaglianza a livello mondiale. In pratica, tuttavia, la possibilità di manipolare la realtà attraverso tecnologie avanzate, tra cui di recente l'intelligenza artificiale, può provocare un'apatia diffusa a livello di società umane che, invece di diventare più attive, trasformano la maggioranza in spettatori passivi degli eventi, con un senso di isolamento e impotenza. Sembra che ciò che avrebbe dovuto portare negli esseri umani ad un maggior livello di protagonismo, per varie ragioni abbia invece causato una diminuzione del livello di protagonismo e ad una maggiore passività.
 
D'altra parte, nel mondo delle idee apparentemente innocenti, concetti come "individualismo" ed "uguaglianza", concetti universali del post-illuminismo che ha cambiato il volto del mondo, alla fine dei conti non portano alla democrazia ma alla debolezza diffusa nei confronti delle istituzioni del potere.
 
L'enfasi sull'individualità, che è diventato un luogo comune del nostro periodo storico, e che è entrata a far delle richieste dell'opinione pubblica, a partire dalla metà del XIX secolo, ha paradossalmente indebolito la funzione di istituzioni di supporto come la famiglia e la religione e ha portato ad un profondo senso di solitudine nelle società, nonostante tutti i progressi nel campo della sanità, dell’istruzione ed un aumento del benessere. Ora la domanda è: perché il concetto di individualità ha portato ad un sentimento diffuso di solitudine, e è stato possibile che questo abbia portato al collasso psicologico delle società ed a disordini armati? Perché nelle società democratiche le persone si sentono insicure e insoddisfatte nonostante l'individualità e l'uguaglianza siano state raggiunte?
 
In realtà il processo di globalizzazione, impossibile senza i concetti di uguaglianza e di individualità, e le possibilità offerte dalla tecnologia, ha portato alla perdita delle distinzioni identitarie definite dalla famiglia, dalla religione e dalla cultura. La globalizzazione ha indebolito le basi teoriche e pratiche delle differenze storiche, culturali ed ereditarie, e gli stili di vita della maggior parte delle società si è uniformato.
 
Alcuni pensatori, come Tocqueville, ritenevano che società siffatte avrebbero cambiato radicalmente il destino umano: un gran numero di persone avrebbe trovato la possibilità di autorealizzarsi grazie alla libertà ed alla prosperità ottenute. Altri pensatori, tuttavia, come Edmund Burke (1729-97), ritenevano che siffatte società si sarebbero disintegrate a causa dell'appianamento delle differenze.
 
Ciò che è chiaro nelle relazioni all’interno delle società contemporanee è che, nonostante vi sia una maggiore uguaglianza tra i membri della società, il popolo è diventato collettivamente più debole, più isolato e più indifeso, e nonostante venga promessa la democrazia, il popolo in pratica ha meno potere e può influenzare di meno il proprio destino.
 
Questo processo, in cui in nome della realizzazione della democrazia vengono indebolite le persone è una delle ragioni per il fatto che la cooperazione e la convivenza rispettosa tra gli uomini risultino indebolite. Infatti, da un lato viene rafforzato l'individualismo ma dall'altro vengono eliminate in vari modi le identità umane, indebolendo le istituzioni intermedie come la famiglia e la religione, il collasso spirituale delle società e l’incremento della sensazione di solitudine e di isolamento vengono accelerati.
 
A mio avviso, la medicina che può curare tutto ciò e che può far sì che sia possibile una nuova forma di convivenza, pur nel contesto delle conquiste scientifiche e tecniche, è il ritorno ad una forma di fede religiosa e l'adesione alle "convinzioni morali" che sono radicate negli insegnamenti delle religioni divine.
 
In altre parole, se non c'è fede religiosa e impegno morale, l'individualità, elemento di base delle società moderne, indebolisce l'insegnamento fondamentale delle religioni, cioè il "rispetto per il prossimo/per l’altro" e si trasforma in una sorta di egoismo sfrenato che rende impossibile qualsiasi tipo di convivenza basata sull'amore.
 
La connessione con il mondo divino e la fede in Dio possono dare alle persone una forza raddoppiata.
 
Infine, vorrei ringraziare la Comunità di Sant’Egidio, che ogni anno favorisce il dialogo interreligioso.
 
Ritengo inoltre necessario sottolineare che è obbligatorio per noi opporci a qualsiasi tipo di estremismo religioso, come quella dei fondamentalisti dell'ISIS, e a qualsiasi tipo di fobia antireligiosa, come gli insulti che si sono verificati di recente ad opera di chi ha bruciato il Corano o ha mancato di rispetto verso altri libri sacri.

Sudheendra Kulkarni

Indù, Fondatore del "Forum for a New South Asia”, India
 biografia
Cari e stimati amici che rappresentate le diverse religioni, culture e tradizioni umanistiche del mondo,
 
ringrazio la Comunità di Sant'Egidio per avermi invitato a partecipare a questo importante convegno.
 
E’ importante perché ha luogo a Berlino.
 
Il crollo del muro di Berlino nel 1989 divenne una fonte di speranza e di ispirazione per un mondo stanco di inimicizia, violenza e distruzione. 
 
Analogamente, c'era anche la speranza che la cooperazione globale, combinata con il rapido aumento del potere produttivo della scienza e della tecnologia, avrebbe stimolato uno sviluppo globale inclusivo. Tale globalizzazione avrebbe  contribuito a rimuovere il flagello della povertà, della fame e delle malattie che degradavano la vita di milioni di nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo.
 
Tristemente, queste speranze sono state smentite dalle guerre in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e Yemen e da molti conflitti in Africa.
 
L'Europa sembrava immune da tali conflitti, ma la guerra in corso tra Russia e Ucraina ha smentito questo mito.
 
Inoltre, aleggia minaccioso lo spettro di una nuova guerra fredda tra Stati Uniti d'America e Cina.
 
L'Asia, da dove provengo, sembrava al sicuro dalla logica velenosa dei blocchi militari e dalla dispendiosa corsa agli armamenti che produce. Ma ora, l'industria bellica mondiale sta spingendo con forza l'idea di una NATO asiatica per contenere la presunta minaccia cinese.
 
Cari amici,
 
Tutto questo ci dice che manca una saggezza vitale nel mondo in cui viviamo. Questa saggezza mancante è racchiusa nel tema di questa sessione – “La cultura del vivere insieme”.
 
Sorgono due domande. La prima: perché manca la "cultura del vivere insieme"? E la seconda: Cosa dovremmo fare tutti insieme per promuoverla?
 
L'esame di queste due domande deve iniziare con la comprensione di ciò che intendiamo per "cultura". È una parola molto usata ma, purtroppo, compresa a un livello molto superficiale.
 
La cultura è ciò che umanizza la specie umana. La cultura è ciò che eleva e trasforma la specie umana dall'evoluzione biologica all'evoluzione civile e morale.
 
Il banco di prova della moralità e della civiltà è la volontà, la capacità e l'azione di distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, la creazione dalla distruzione, la cura dall'indifferenza, l'amore dall'odio e la nonviolenza dalla violenza nelle sue molteplici manifestazioni.
 
La guerra, che è la forma più brutta e grossolana di violenza, significa anche che la razza umana è afflitta da un handicap evolutivo sotto forma di crescita stentata della sua facoltà di amare, indispensabile per la cultura della convivenza. 
 
Il Mahatma Gandhi ha detto qualcosa di profondo quando ha spiegato che l'amore è la forma attiva della nonviolenza e della costruzione della pace. 
 
Tuttavia, qui un'avvertenza è necessaria.
 
Questa incapacità evolutiva di amarsi non è qualcosa di strutturalmente fondamentale, di permanente e di incurabile.
 
Nel corso della nostra evoluzione come specie unica, nel corso della nostra civilizzazione, noi esseri umani abbiamo creato istituzioni e sistemi di credenze che sono radicati nel terreno dell'amore, nutriti con l'acqua della cura e protetti dalle mani della cooperazione e della solidarietà.
 
Due dei migliori esempi di queste istituzioni umanizzanti sono la famiglia e la comunità. La "cultura del vivere insieme" è visibile e attiva in modo stimolante in queste istituzioni.
 
Tuttavia, finora, le comunità umane hanno sviluppato solo in modo inadeguato la cultura della convivenza armoniosa in altri contesti, che richiedono loro di accettare le diversità di religione, razza, etnia, nazionalità, classe e casta.
 
Ciò è avvenuto a causa dell'ignoranza, del pregiudizio e dell'insicurezza che derivano dalla mancanza di comprensione, empatia e fiducia reciproche.
 
L'insicurezza è fomentata anche dalle paure generate dalla propaganda dell'odio da parte di establishment politici e di governo manipolatori.
 
C'è un altro fattore che ostacola la cultura della convivenza. I nostri sistemi economici, con parziali eccezioni, perpetuano le disparità, favoriscono la competizione malsana rispetto alla cooperazione, costringono le persone a trascorrere la loro vita nelle spire del consumismo e non sono adatti a promuovere l'armonia tra uomo e uomo, uomo e natura.
 
Amici, costruttori insieme a me della pace,
 
Come possiamo cambiare questa realtà e far progredire la cultura della convivenza, sia a livello locale che globale?
 
Vorrei presentare brevemente cinque punti d'azione.
 
In primo luogo: il mondo in cui viviamo è il più interdipendente e interconnesso di tutta la storia umana.
 
Ma i nostri cuori e le nostre menti non sono adeguatamente connessi.
 
Abbiamo eretto tanti muri invisibili che separano nazioni e comunità, soprattutto comunità a carattere religioso.
 
Pertanto, dobbiamo rompere senza compromessi tutti i "muri di Berlino" che dividono l'umanità in base a concetti di esclusivismo, autosufficienza, superiorità, supremazia ed egemonia basati su religione, etnia o nazionalità.
 
In secondo luogo: l'idea di una sovranità nazionale esclusiva e non negoziabile è diventata incompatibile con la realtà e le esigenze del nostro mondo interconnesso e interdipendente. Senza la massima cooperazione internazionale, è impossibile per l'umanità trovare soluzioni alla crisi climatica o alle molteplici crisi che ostacolano lo sviluppo umano.
 
In terzo luogo: la nostra comune identità umana deve avere la precedenza su tutte le altre identità. Questo è stato proclamato dai Veda, le sacre scritture dell'induismo, oltre 5.000 anni fa. “Vasudhaiva Kutumbakam", dice il Rig Veda. Significa "Il mondo intero è un'unica famiglia". 
 
Il riconoscimento che tutti noi apparteniamo a una comune Famiglia Umana preclude qualsiasi giustificazione per la guerra, la violenza o persino l'indifferenza. Pertanto, il mondo deve ascoltare l'appello di Sua Santità Papa Francesco, che ha chiesto alla comunità internazionale di sostituire la "globalizzazione dell'indifferenza" con la "globalizzazione della solidarietà e della carità".
 
In quarto luogo: la limitazione della sovranità nazionale e la costruzione di forti legami di carità e di solidarietà all'interno della famiglia umana, indicano inevitabilmente la necessità di rafforzare una governance globale che protegga la giustizia e la dignità umana per ogni essere umano, ovunque egli sia.
 
Il modo migliore per rafforzare la governance globale è rafforzare l'organizzazione di vertice che già abbiamo, le Nazioni Unite.
 
L'ONU è stata creata dalle ceneri delle due guerre mondiali.
 
Per quanto debole e inefficace, è l'unica istituzione che gode di riconoscimento e rispetto a livello globale.
 
Tuttavia, le Nazioni Unite hanno urgente bisogno di una radicale ristrutturazione e democratizzazione per poter rispondere alle esigenze del 21-esimo secolo. Le nazioni più grandi hanno una responsabilità maggiore nel garantire questo obiettivo.
 
La mia quinta e ultima idea è la seguente. Una volta riconosciuto che apparteniamo tutti a una comune e indivisibile Famiglia Umana Globale, ne consegue che l'ONU deve definire qualsiasi guerra di aggressione come illegittima e come un crimine contro l'umanità.
 
Ne consegue anche che tutte le controversie tra le nazioni devono essere risolte attraverso mezzi di dialogo pacifici e non militari e, pertanto, tutte le industrie impegnate nella produzione di armi - in particolare, armi nucleari ed altre armi di distruzione di massa - debbano essere smantellate.
 
Allo stesso tempo, l'attenzione, le risorse e le energie della comunità internazionale devono essere reindirizzate esclusivamente verso l'eliminazione delle disparità di sviluppo nel mondo, il miglioramento delle condizioni di vita di tutte le comunità emarginate e la protezione della preziosa e fragile biodiversità del Pianeta Terra dall'incombente calamità climatica.
 
Impegniamoci tutti, in questa storica e coltissima città di Berlino, a lavorare per arricchire questa "Cultura del vivere insieme".
 
Om Shanti! Shanti! Shanti!
Che la Pace prevalga e trionfi in tutto il mondo!

Tarek Mitri

Presidente dell'Università San Giorgio di Beirut, Libano
 biografia
Vivere insieme, come persone di fedi diverse richiede, innanzitutto, una volontà reciproca di ascoltare, un’apertura a mettere in discussione come uno si percepisce e l’essere aperti a capire gli altri così come sono. 
 
Il modo in cui ci percepiamo reciprocamente è spesso sfocato. La modernizzazione ha avuto grandi effetti di secolarizzazione, in alcuni luoghi più che in altri, ma ha anche provocato movimenti potenti contro la secolarizzazione. In alcuni casi estremi i popoli combattono nel nome di religioni in cui hanno smesso di credere. Ci sono conflitti tra comunità che hanno un passato religioso, ma il cui contenuto religioso non ha importanza. Religioni a cui le persone credono poco, continuano a essere definite come comunità nelle quali invece hanno molta fede. È per questo fondamentale, distinguere tra movimenti politici che possono essere genuinamente ispirati dalla religione e quelli che usano la religione come comoda legittimazione di agende politiche che servono interessi non religiosi.
 
Nel mondo musulmano, modelli di pensiero ideologici rappresentano il mondo occidentale come egoista, materialista e dominante. In Occidente, i corrispondenti modelli di pensiero percepiscono l’Islam come irrazionale, fanatico ed espansionista. Nell’epoca della comunicazione globale e della migrazione, questi modelli di pensiero alimentano l’antagonismo. 
 
Tali percezioni sono spesso costruzioni immaginarie esacerbate dal paradosso della globalizzazione. Lo sviluppo del consumismo e dell’intrattenimento televisivo globale, ha prodotto una uniformazione culturale senza precedenti. Ma più gli individui, e i popoli, si assomigliano, e più sentono il bisogno di affermare le loro differenze. In molte società le persone corrono il rischio di vivere nel ‘peggiore dei due mondi’: un mondo culturalmente omogeneo e uno dove la ricerca di identità e comunità si realizza con l’ostilità verso l’altro.   
 
Se, da un lato, i rapporti tra popoli di fedi e culture diverse sono fortemente influenzati dalle storie locali e regionali, questi sono sempre più influenzati dagli sviluppi mondiali. Quando le comunità sono identificate in modo esclusivo o persino esagerato dalla loro religione, le situazioni tendono a diventare più esplosive. Le religioni fanno appello a lealtà universali che possono essere viste, in alcune società, come una causa di tensione o conflitto. Ma, molto spesso, queste non sono altro che un aspetto che intensifica controversie le cui cause principali sono esterne alla religione. 
 
Ci sono casi in cui un conflitto in un luogo - con le sue cause e il suo carattere locale - viene percepito e strumentalizzato come parte di un conflitto in un altro luogo. Così, inimicizie in una parte del mondo, si manifestano in situazioni di tensione in altre regioni. Un atto di violenza in un luogo è usato per confermare gli stereotipi del ‘nemico’ da un’altra parte o anche provocare attacchi di vendetta in altri posti del mondo. Inoltre, non è insolito vedere che popoli non in grado o non disposti a combattere coloro che hanno causato la loro rabbia, cercano sostituti e li trovano facilmente. A volte i vicini si ritengono reciprocamente responsabili di torti attribuiti ai loro correligionari in un altro luogo. A meno che non siano pronti a dissociarsi pubblicamente da coloro con cui condividono la fede, sono accusati di complicità con essi. 
 
Vivere insieme In pace, richiede contrastare questi processi. In altre parole, potrebbe essere necessario ‘deglobalizzare le tensioni interreligiose e interculturali’. L’attenzione alle cause locali specifiche di tensioni e conflitti aiuta a identificare delle soluzioni. Questo non è possibile a meno che I leader di entrambe le comunità non si rifiutino di essere attirati nei conflitti altrui quando viene chiesta una risposta acritica di solidarietà tra gli aderenti a una fede. Fede e convinzioni religiose sincere possono allora costituire una base per un impegno critico nei confronti della debolezza umana e degli ordini sociali ed economici difettosi.
 
La cultura di vivere insieme è la cultura del dialogo di vita. I principi di cittadinanza, uguaglianza, legge e diritti umani sono al cuore del ‘dialogo di vita’. Per le persone di fede è cruciale affermare l’indivisibilità dei diritti umani, riconciliare i diritti dell’individuo con quelli delle comunità e aiutare le vittime, qualsiasi sia la loro identità etnica o religiosa. Di conseguenza, la difesa dei diritti umani non può essere condizionata dalla solidarietà confessionale, non importa quanto legittima.
 
Allo stesso modo una lucida comprensione dei rapporti tra violenza e religione deve essere l’oggetto di rinnovata attenzione. A volte sembra esserci una tendenza impaziente a cercare una spiegazione degli attacchi criminali nella giustificazione della violenza nelle Scritture o nella religione. Di conseguenza, i fattori non religiosi che determinano la violenza simbolica e storica non vengono esaminati in maniera adeguata - tanto meno esaustiva - prima di rivolgersi alla sfera religiosa. Si privilegia ‘l’anatomia’ della violenza rispetto alla sua ‘genealogia’. Quando alcuni ritengono l’educazione religiosa tradizionale responsabile di diffondere una cultura dell’odio non riescono a vedere che non sono i valori religiosi tradizionali a condurre la gente alla violenza bensì la loro perdita, senza molto in contraccambio: il che spiega la frustrazione, il lamento e la ripugnanza. La violenza non può essere spiegata dall’odio ancestrale, poiché l’odio ancestrale è reinventato e persino creato dalla violenza moderna. Resta vero, tuttavia, che le tensioni e i conflitti riguardanti l’identità e i valori sono più difficili da prevenire e risolvere perché il loro oggetto non è quantificabile, non è parte di quello che hanno ma piuttosto costitutivo di quello che sono. 
 
Questo è il motivo per cui vivere insieme – o il dialogo della vita – non può obbedire alla logica della negoziazione, poiché esso implica essere pronti a sospendere il proprio giudizio sui valori e tale sospensione invita all’umiltà intellettuale. L’umiltà non è un concetto che la maggior parte della gente è disposta a sostenere. Si può concedere che sia una virtù solo degli uomini e delle donne di profonda fede. Il tratto che definisce la nostra epoca sembra essere l’arroganza, non solo tra coloro che esercitano il potere o accumulano ricchezza.  
 
L’umiltà intellettuale è la condizione necessaria per il dialogo. Non è un invito al relativismo, ma un modo per ricordarci che molte questioni sono soggette al dubbio. 
 
Trovare un equilibrio tra umiltà intellettuale e convinzione morale è una lotta difficile. Il rispetto per le rivendicazioni di verità altrui e la volontà a sospendere il nostro giudizio sulla fede di coloro con cui siamo in disaccordo possono essere caratteristiche salienti dell’umiltà intellettuale. Ma l’umiltà non contraddice la certezza morale. Ci sono stati molti modi di rendere universale e legittimare la certezza morale. Alcuni hanno evidenziato la convergenza dei comandamenti religiosi – il primo di questo ‘la regola d’oro’, il principio di trattare gli altri come si desidera essere trattati. Altri hanno basato la loro certezza morale sulla legge naturale o la funzionalità sociale. 
 
In conclusione, abbiamo bisogno di ricordarci che né le contingenze storiche, né le differenze nel colore della pelle, etnia, lingua, eredità culturale e credo religioso sono contro la nostra comune umanità. Ma, mentre affermiamo la comune umanità, è necessario diffidare di un universalismo anonimo o astratto. È necessario ampliare lo spazio tra universalismo anonimo, incline al controllo egemonico, e fanatismo etnocentrico. Questo mi riporta all’inizio del mio discorso. Condizioni di parità e uguale partecipazione sono una condizione necessaria per il dialogo di vita, per questo non sono un atto di condiscendenza o carità da parte del più forte verso il più debole. In realtà il più debole può benissimo possedere la forza, reale o potenziale, di dare legittimità al potente. Inoltre, coloro che si ritengono invincibili devono ricordare di essere vulnerabili. 

Abdul Mukti

Segretario generale della Muhammadiyyah, Indonesia
 biografia
1. Il pluralismo è il destino umano. Dio creò l'umanità in diverse razze, etnie, lingue, culture e religioni. Le differenze non indicano divisione, segregazione e supremazia di uno sull'altro. La diversità è un tesoro. È un fondamento sociale, culturale, intellettuale, spirituale e morale per la bellezza, la pace, la felicità e la prosperità del mondo.
 
2. In realtà, tuttavia, le differenze potrebbero diventare fonti di tensione, conflitto o persino guerre tra culture, religioni e nazioni.  Questi accadono a causa di contrasti di interessi, sindrome di superiorità, avidità, estremismo, odio e sete di potere. La discriminazione, il razzismo, la xenofobia e altri comportamenti negativi verso gli altri permangono ancora oggi. 
 
3. È anche una realtà che persone di diversa estrazione culturale, religiosa, politica e nazionale possono vivere insieme pacificamente. Nonostante lo scontro di culture che sfida la società multiculturale, ci sono realtà di convergenze culturali, politiche e -persino- religiose. Le persone non solo vivono insieme in pace, ma costruiscono anche una nuova società e cultura in modi davvero unici. 
 
4. Ci sono almeno cinque basi per costruire una cultura del vivere insieme. Primo, avere una mente aperta verso il diverso con la convinzione che le differenze sono espressione della natura umana come voluta da Dio. Secondo, accettare gli altri con pieno rispetto e sincerità. Terzo, esplorare i valori comuni per favorire l'unità, tollerare e fare spazio agli altri con piena comprensione. Quarto, costruire un terreno comune basato su interessi comuni, benefici e scambi reciproci. Quinto, lavorare insieme per i beni comuni condividendo, ricevendo e prendendosi cura della società. 
 
5. Nel costruire una cultura del vivere insieme abbiamo bisogno di un'educazione inclusiva. Dobbiamo aprire porte all’educazione per tutti, dove non ci sia posto per discriminazione, esclusione e rifiuto sulla base di religione, cultura, razza e classe sociale. È importante creare scuole come punto di incontro e di fusione intensificando l'interazione e la comprensione interculturale, oltre a consentire agli studenti di sperimentare la convivenza con altri provenienti da contesti diversi. 

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