"Signore, fa' di me uno strumento della tua pace;
dove è odio, fa’ ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono
dov’è discordia, ch’io porti l’unione".
Conoscete tutti questi versi della preghiera per la pace attribuita a Francesco d'Assisi. In questo spirito si collocano i vostri incontri per la pace, da quando papa Giovanni Paolo II per la prima volta invitò i rappresentanti di tutte le religioni ad Assisi, nella patria di quel Francesco di Assisi, che si è speso incessantemente per la pace e che è venerato ancora oggi, e non solo dai cristiani. Desidero aprire il mio intervento con questa richiesta di pace. Purtroppo, è più attuale di quanto non lo sia stata per molto tempo.
Saluto,
Sono molto lieto di dare il benvenuto a tutti voi qui a Berlino! Grazie mille, caro professor Impagliazzo, per l'invito! Voi della Comunità di Sant'Egidio avete riunito ancora una volta alti rappresentanti delle religioni mondiali - per la prima volta a Berlino - per cercare insieme, nella fede e nella preghiera, nel mutuo dialogo, vie per rendere il mondo più pacifico. Ci date speranza in un tempo che è tutto fuorché pacifico. In cui i conflitti armati e le guerre non diminuiscono, ma aumentano: in Sud Sudan, in Medio Oriente, in Etiopia e in molti altri Paesi. È anche un tempo in cui un incubo è diventato realtà per noi europei: per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, una crudele guerra di aggressione sta infuriando nel nostro continente. Le sue conseguenze sono avvertite da molti Paesi del mondo. Questo rende ancora più importante il vostro incontro di pace qui a Berlino!
Voi tutti sapete, cari ospiti, quanto sia prezioso il bene della pace e quanto sia difficile il cammino per raggiungerla. Sapete anche quanto spesso nella storia la religione sia stata abusata per giustificare la violenza, quanto spesso guerre devastanti siano state condotte in nome della religione. Ma tutti condividete una profonda convinzione: Che la fede è una grande forza di pace.
Caro Marco Impagliazzo, caro Andrea Riccardi, cari membri di Sant'Egidio, cari ospiti,
La guerra non porta solo morte, sofferenza e distruzione. La guerra è "la madre di tutte le povertà", fin dala fondazione della vostra comunità questa è stata per voi una certezza. Da allora, avete lavorato con incrollabile perseveranza per una maggiore pace nel mondo - vorrei solo citare lo storico accordo di pace in Mozambico più di 30 anni fa. E continuate a farlo oggi in molte zone di conflitto in tutto il mondo.
Nel vostro impegno per la pace, siete sempre stati sostenuti dalla forza che traete dalla vostra fede. Siete sempre stati sostenuti dalla fiducia in Dio e dalla consapevolezza di essere uno strumento di Dio. Spesso avete mediato in situazioni in cui la politica aveva fallito. Le persone in zone di crisi e di guerra vi hanno percepito e vi percepiscono tuttora come imparziali e credibili, si fidano di voi - ed è per questo che potete costruire la fiducia anche tra parti in conflitto. È così che avete reso il mondo un luogo più pacifico, più volte. Per questo, oggi vorrei ringraziarvi dal profondo del cuore!
Già durante il mio mandato di Ministro degli Esteri, ci univa un forte legame. Ricordo con piacere anche la mia ultima visita a Roma nel 2017, durante la quale abbiamo avuto un intenso scambio di opinioni sulle crisi e i conflitti attuali, ma anche sulle altre grandi e pressanti problematiche dell’umanità: povertà, migrazione e movimenti dei popoli, disuguaglianza sociale e lotta al cambiamento climatico. Non c'è bisogno di convincervi che possiamo trovare soluzioni a queste grandi questioni dell’umanità solo insieme, nel dialogo. Solo così riusciremo a creare un mondo più pacifico.
Lei, caro professor Riccardi, una volta ha detto che il dialogo è iscritto nei geni di Sant'Egidio. Ed è proprio questo DNA che l'ha resa un'autorità rispettata a livello internazionale - basta guardarsi intorno in questa sala. Un'autorità che cerca e promuove il dialogo tra le religioni, ma anche il dialogo tra le comunità religiose, la politica e la società civile. Quanto è importante il dialogo, soprattutto in questo momento in cui le nostre democrazie liberali vengono sempre più contestate; in cui si aprono anche profonde fratture nelle nostre società e si riduce la disponibilità al dialogo. Per questo abbiamo così tanto bisogno di voi, comunità religiose, investite di una, ancora più grande, responsabilità!
Signore e signori, cari ospiti
Questo è il vostro secondo incontro di pace dal 24 febbraio 2022, dall'invasione russa dell'Ucraina. Ogni singolo giorno che è trascorso da allora ha portato sofferenza, distruzione e morte agli ucraini. Essi resistono e si fanno valere, lottando per la loro libertà con un coraggio ammirevole.
Ma questa guerra ci pone anche di fronte a grandi domande, non solo a noi cristiani, ma a tutte le persone di fede: come è compatibile con la fede dare armi in una zona di guerra? Come si concilia con il comandamento della pace? Non stiamo forse prolungando la sofferenza? E non è forse nostra responsabilità fare tutto il possibile perché la pace prevalga il prima possibile? D'altra parte, ci è permesso rifiutare l'aiuto alle vittime di questa crudele guerra di aggressione? La solidarietà e l'umanità non ci impongono di stare al fianco degli aggrediti? Sono tutte domande che molti credenti, molti cristiani, vivono come un profondo dilemma. Come cristiano praticante, anch'io ne sono turbato.
Sì, la pace è una delle promesse più grandi e profonde di tutte le religioni del mondo, siano esse l'Islam, l'Ebraismo, l'Induismo, il Buddismo o il Cristianesimo.
Sì, è la pace a cui le religioni possono e devono contribuire insieme - è questo che vi riunisce anche quest'anno.
Sì, sono le religioni che possono fornire un grande, indispensabile servizio come promotrici di pace e come forza di riconciliazione per l’umanità. Ma in questa occasione desidero anche dire chiaramente che chiunque, in nome della religione, si schieri con un violento signore della guerra che vuole sottomettere con la forza un paese vicino pacifico e democratico; chiunque, in qualità di guida di una chiesa cristiana, sostenga le atrocità inimmaginabili che vengono commesse contro la gente di questo Paese, anzi contro le proprie sorelle e i propri fratelli nella fede; chiunque agisca in questo modo sta fondamentalmente violando il comandamento della pace della fede!
Possiamo essere diversi nella nostra fede. Ma dobbiamo essere uniti in questo: la religione non deve mai essere una giustificazione per l'odio e la violenza. Questa è la responsabilità di tutti noi credenti!
Cari ospiti,
L’audacia della pace è il motto del vostro incontro di quest'anno. L’audacia della pace: solo tre parole. Tre parole piccole e allo stesso tempo così grandi. Ci portano a guardare al nostro tempo. L’audacia della pace fa pensare a noi tedeschi a Willy Brandt, al suo appello a osare più democrazia. L’audacia della pace, ecco che arriviamo a Dietrich Bonhoeffer e al suo discorso a Fanö nel 1934. Il grande teologo aveva già intuito quanto la pace fosse in pericolo a causa di quanto stava accadendo in Germania. Tanto più urgente era il suo appello a confidare in Dio nell'impresa della pace.
Alcuni di voi ora si chiederanno: non dobbiamo forse anche noi oggi osare l’audacia della pace? La guerra in Ucraina non deve finire al più presto?
Ma, signore e signori, il 24 febbraio 2022 ha cambiato tutto. Con il suo attacco distruttivo, Putin vuole annientare i valori su cui si fonda la nostra comune Europa: la validità del diritto internazionale, il riconoscimento delle frontiere, la coesistenza pacifica di tutti i popoli in libertà su questo continente.
Credo che per noi europei opporsi a questa aggressione sia una conseguenza delle lezioni apprese dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale. Questa lezione è: "Mai più!".
Quanto voi, le chiese e le comunità religiose, quanto noi tutti abbiamo sperato e lavorato affinché una guerra del genere non si ripetesse. Che il nostro continente non ricadesse nuovamente in un'epoca di aggressioni, odio e sofferenza. Ma è esattamente quello che è successo.
Sì, vogliamo tutti la fine dell'orrore. Sì, vogliamo tutti la fine della guerra. Vogliamo la pace. Lo vuole soprattutto il popolo martoriato dell'Ucraina.
Ma, signore e signori, questa pace deve essere una pace giusta. Una pace giusta, che non è solo l'assenza di guerra. Deve essere una pace a lungo termine e non solo una tregua nei combattimenti che permetta alla Russia di portare nuove truppe al fronte. Un cessate il fuoco da solo servirebbe solo alla Russia per consolidare la sua occupazione illegale dei territori ucraini.
L'Ucraina sta combattendo per la sua integrità territoriale, per la sua libertà, per il suo futuro democratico in Europa. Il popolo ucraino si sta ribellando contro il furto e l’asservimento delle terre, contro le terribili ingiustizie, contro i crimini verso bambini indifesi, le donne, gli anziani, contro il terrore e la distruzione delle bombe. In breve, l'Ucraina sta combattendo per ciò che ogni Paese del mondo rivendica per sé - e che è un prerequisito per una pace giusta e duratura.
Non sono l'Ucraina o i Paesi che la sostengono a rifiutare la pace. È la Russia che rifiuta la pace. Putin ha la possibilità di ordinare al suo esercito di rientrare e porre fine a questa guerra. Se l'Ucraina smette di difendersi, sarà la fine dell'Ucraina. Ecco perché noi europei e anche noi tedeschi sosteniamo l'Ucraina, anche con le armi.
Quando si potrà osare l’audacia della pace, la decisione spetterà all'Ucraina. Per questo è importante pensare insieme all'Ucraina, a livello politico, a come potrebbe essere una soluzione di pace. I colloqui di Copenaghen e Gedda hanno dimostrato quanto sia ampio il sostegno alla ricerca di una soluzione di pace. Sono stati un primo passo importante. Ogni piccolo progresso verso una pace giusta dà speranza agli ucraini. Ogni piccolo progresso dà speranza a noi e al mondo!
Cari ospiti,
Immaginare la pace in tempo di guerra è la più difficile delle cose inimmaginabili, ha detto una volta il caro Andrea Riccardi. Immaginare l'inimmaginabile significa: anche in tempo di guerra, non dobbiamo mai perdere di vista la pace. Mantenere la prospettiva della pace, anche se la strada per raggiungerla non è ancora evidente, di questo si tratta. Per noi europei in particolare, questa è e rimane una responsabilità tutta particolare, non solo per la nostra storia, ma soprattutto per il nostro futuro comune. Un futuro basato sui valori di cui ho già parlato: la convivenza pacifica di tutti i popoli nella dignità, nella libertà e nella democrazia. Non dobbiamo mai rinunciare alla speranza di pace, alla lotta per la pace!
Grazie di cuore!
Nel nome di Allah Misericordioso, Compassionevole.
Lode ad Allah, e le preghiere e la pace siano sul Messaggero di Allah e sui suoi fratelli profeti e messaggeri.
Egregio pubblico!
La pace sia su di voi, la misericordia di Allah e le sue benedizioni.
Vorrei iniziare il mio intervento esprimendo le mie condoglianze al popolo del Regno del Marocco, dopo questa immane tragedia che ha infranto il cuore a noi tutti. Invoco dall’Altissimo perdono e misericordia per tutte le vittime, pazienza per i loro famigliari, consolazione per i loro cuori, come invoco dall’Altissimo pronta guarigione per i feriti.
Vorrei ringraziare la Comunità di Sant’Egidio per avermi invitato a questo incontro che si tiene a Berlino, la capitale della Germania, la locomotiva del progresso europeo nella scienza, nell'industria, nell'economia e nella cultura. Questo incontro, che riflette la determinazione di Sant’Egidio nell’adottare l'appello per la fratellanza umana e la pace mondiale, che l’ha qualificata per l’assegnazione del "Premio Internazionale Zayed per la Fratellanza Umana" quest’anno.
Signore e signori!
Sarete d'accordo con me che il nostro mondo odierno è bisognoso di ascoltare la voce delle religioni celesti, la voce della ragione, della saggezza e della conoscenza reciproca, mai come nel passato. L'era degli orrori e dei disastri, degli abusi contro la vita e la sacralità del sangue, della derisione dei valori religiosi ed etici e della natura umana, voluta da Allah, l’era del disprezzo dei diritti degli oppressi, dei deboli e dei sofferenti sulla terra. Pensavamo, anzi, ci aspettavamo nei primi decenni del terzo millennio di vedere più civiltà e compassione nell'umanità e più conoscenza reciproca, nella stessa misura del progresso stupefacente registrato e dei balzi in avanti nei campi del progresso scientifico, industriale e di civiltà materiale, con tutti i benefici che l'umanità ha raggiunto nel campo della vita materiale. Eppure, la dolorosa realtà ha dimostrato che questo progresso non è stato accompagnato, purtroppo, da un progresso parallelo nel campo della responsabilità morale, secondo il richiamo della coscienza e rispondendo all'istinto divino che Dio ha elargito agli uomini. E si è visto che il rapporto tra progresso tecnico e di civiltà si è sempre più accompagnato - sfortunatamente – a guerre, nonostante le previsioni dei filosofi del Rinascimento, i quali avevano asserito che il progresso umano nella scienza e nella civiltà avrebbe messo un termine definitivo alle guerre e alle loro cause e che la pace avrebbe accompagnato il progresso civico di pari passo. Difatti il famoso filosofo francese Condorcet disse nel 1787: "Una graduale espansione della civiltà sulla terra, sarà accompagnata dalla scomparsa della guerra, così come dalla scomparsa della schiavitù e della miseria" .
Tuttavia, questi desideri si sono rapidamente rivelati un sogno ad occhi aperti. Il clamore delle armi, i tamburi di guerra, il gemito delle vittime e la perdita di denaro contata in miliardi e trilioni fu l'amara realtà e la dolorosa realtà a cui oggi l'uomo si è risvegliato in Oriente e anche in Occidente. Il filosofo bulgaro contemporaneo Tzvetan Todorov, scomparso cinque anni fa, ha detto il vero quando affermava che «le culture con tutte le loro componenti tecniche e artistiche si diffondono sempre più rapidamente in tutta la terra, e sono conosciute da ampi segmenti della popolazione mondiale, eppure le guerre non si sono fermate, la miseria non si è ritirata e persino la schiavitù è stata abolita soltanto dalle leggi, ma a livello di pratica, essa rimane ancora".
La mia esperienza personale, signori, nella mia vita, che sta per toccare la sua ottava decade, conferma quello che dice questo filosofo. Sono nato dopo la seconda guerra mondiale nel 1946, e non appena ho raggiunto l'età di dieci anni, la mia città è stata distrutta: la città di Luxor, che comprende un terzo del patrimonio archeologico mondiale, è stata colpita dall’aggressione tripartita nel 1956 con la distruzione dell’aeroporto civile. Ho conosciuto - con i miei coetanei nella nostra prima infanzia - il significato di orrore e paura, trascorrendo le notti nell'oscurità totale, e nelle grotte sotto le montagne dove ci rifugiavamo con l'ultima luce del giorno, per uscirne dopo l'alba, per sfuggire ai razzi illuminati bengala seguiti da esplosioni terrificanti. Undici anni dopo l’Egitto ha vissuto la guerra del ‘67, e abbiamo vissuto dei giorni peggiori della guerra del ‘56, seguiti da anni duri di economia di guerra e perdita di vite umane; e non posso dimenticare una bomba lanciata su una scuola elementare affollata di bambini, insegnanti e lavoratori, trasformandoli in pochi attimi in corpi smembrati in mezzo alle macerie. Poi ci fu la guerra di liberazione del Sinai nel ‘73, e con essa abbiamo conosciuto il significato di orgoglio, dignità e fortezza.
Pensavamo che l'era delle guerre nella nostra regione - dopo la guerra di liberazione - fosse finita per sempre e che una vita piena di sicurezza, pace e prosperità stesse ritornando, che le grandi istituzioni internazionali si impegnassero a proteggerla dal caos delle guerre, dalle decisioni avventate, dalla produzione e dal commercio delle armi, e dalla priorità di tutto questo sulla vita umana, sui diritti e sugli interessi. Tuttavia, la situazione si è rivelata ben diversa e si è arrivati - in un ordine misterioso e oscuro – all’insorgenza del terrorismo che ha provocato uccisioni nel nome dell'Islam in tutta la nostra regione. E non appena lo abbiamo sconfitto siamo stati travolti da una nuova serie di guerre i cui effetti distruttivi si riproducono e si moltiplicano in continuazione. A cominciare dalla guerra del Golfo, poi l'invasione dell'Iraq e la distruzione di molte delle sue istituzioni civili, militari ed economiche, e poi la guerra in Siria e Libano, poi la guerra nello Yemen, poi il suo volto orribile si è diretto verso la Libia. E dopo il mondo arabo, è toccata ai paesi del Sahel in Africa, poi ha attraversato il Mediterraneo dividendo il mondo intero in due campi che si combattono, fino al flagello di quest'ultima guerra con un impatto mondiale. E se sappiamo com’è iniziata questa sequenza, di certo non sappiamo coma andrà a finire né come sarà il mondo dopo di essa.
Signore e signori,
non sono pessimista o superstizioso, ma vi confesso che - dal mio punto di vista, e a quanto vedo – questa crisi mondiale non ha via d’uscita se non con la luce della religione rivelata da Allah, guida e misericordia per l’umanità, diversamente da alcuni credenti che la usano come merce nel souk della politica e delle competizioni elettorali. Per questo motivo, mi sono recato dal caro amico Papa Francesco, portando avanti uno scambio negli anni, culminato con la dichiarazione del Documento sulla Fratellanza Umana, firmato ad Abu Dhabi nel 2019, un documento che si basa sui valori umani e religiosi. Siamo stati spinti da una fedele lettura della realtà che ha confermato che la logica della "forza" e dell'"ingiustizia" è diventata la base di governo per le relazioni tra gli stati, in alternativa alla logica della compassione, della cooperazione e della giustizia. Basti sapere che l'1% della popolazione mondiale rappresenta il gruppo che gode di maggiore ricchezza e prestigio, e qui ricordo la saggezza islamica che dice: "Allah Altissimo ha incluso nei possedimenti dei ricchi il cibo dei poveri, e la fame del povero è riconducibile a ciò che possiedono i ricchi".
La lettura della realtà ci ha anche confermato una verità molto amara: l'ingerenza straniera negli affari di alcuni paesi - in particolare i paesi arabi - per trasformarli in un mercato fiorente per il commercio delle armi, con tutto quello che esso comporta come il risveglio delle sedizioni e dei fanatismi etnici, religiosi e confessionali, oltre a rafforzare l'avidità dei ricchi e dei potenti che corrompono la terra e distruggono l'ambiente e fanno pagare ai paesi poveri le conseguenze dei loro crimini.
I recenti sviluppi hanno confermato a tutti - e con profondo rammarico - un odio verso le religioni che non ha precedenti e un’aggressività nei confronti dei loro simboli e valori sacri. È ovvio che bruciare il Sacro Corano in alcuni paesi occidentali, noi in Oriente lo avevamo ritenuto un comportamento individuale insensato, sintomo di uno stato d'animo deviante o di una malattia nervosa, se non avessimo letto del sostegno di alcuni governi a questo comportamento provocatorio nei confronti di due miliardi di fedeli che santificano questo libro sacro, con il pretesto della "libertà di espressione", che è un ingenuo disprezzo per la mente e per l’ovvia differenza cruciale tra libertà di espressione e libertà di creare scompiglio nell'offendere gli altri e i loro valori sacri.
I musulmani, a cominciare da Al-Azhar Al-Sharif e dal Consiglio dei Saggi Musulmani, hanno condannato il crimine di bruciare e demolire le chiese in Pakistan. Al-Azhar ha dichiarato che questo è equivalente al crimine del rogo del Corano, ed è un peccato e una aggressione. Questa è la posizione ferma dei musulmani, di tutti i musulmani, a partire dal Sacro Corano che impone lo stesso rispetto per il Profeta dell'Islam e per i suoi predecessori, per il Corano e per gli altri libri celesti che lo hanno preceduto, che il Corano descrive come guida e luce per l’umanità, come anche tutela le chiese e i templi, esattamente come tutela le moschee.
Concludo sottolineando tre questioni:
punto primo: questa ingiustizia nei confronti della donna musulmana in un antico stato islamico come è l'Afghanistan, negandole il diritto all'istruzione e all’insegnamento e il suo diritto a servire la propria società e l’esercizio di funzioni appropriate per la sua natura, ebbene, tutti questi diritti della donna sono riconosciuti dall'Islam e predicati da quasi mille e cinquecento anni.
Punto secondo: l'ingiustizia contro la famiglia come l'umanità l’ha conosciuta dai tempi di Adamo, la pace sia su di lui, che deturpa la sua natura e mette in gioco il futuro e i diritti dei bambini, oltre agli orientamenti che le religioni rifiutano, avvertendo dalla loro pericolosità, e che questo percorso errato porterà inevitabilmente all’estinzione del genere umano.
Punto terzo, e ultimo, tra le tragedie e sofferenze: la somma ingiustizia che dura da tempo: la privazione del popolo palestinese dei propri diritti e della vita sulla propria terra e il silenzio del mondo civile di fronte a questa tragedia umana di lunga durata.
Infine, se concorderete con me – signore e signori – sul fatto che il mondo intero oggi è come un villaggio, vorrei dire che la pace del mondo è più strettamente legata alla pace dei popoli e ribadire il principio secondo cui non c’è pace se non è per tutti: e cioè, non c'è pace in Europa senza la pace del Medio Oriente, in particolare in Palestina, nessuna pace in Asia senza la pace dell'Africa, nessuna pace in Nord America senza la pace del Sud America.
Grazie per il cortese ascolto.
La pace sia su di voi, la misericordia di Allah e le sue benedizioni.
Illustri Alti Rappresentanti delle Grandi Religioni del Mondo, Eminenze, Eccellenze,
Signor Presidente della Repubblica Federale di Germania;
Signori Ministri e Ambasciatori,
Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant'Egidio e cari amici,
Questo incontro si inscrive nella lunga storia di dialogo promossa dalla Comunità di Sant'Egidio, che ci ha invitati tutti qui. Questo dialogo procede dal 1986 nel solco di quello che viene chiamato "spirito di Assisi ", dal nome della città dove Papa Giovanni Paolo II volle tenere il primo incontro delle religioni del mondo. È un sogno di costruire la pace iniziato in piena guerra fredda e che continua in questo tempo di disordine globale, tempo imprevedibile di conflitti e terrorismo.
Ci incontriamo mentre continua la guerra in Ucraina, ma anche nel mio continente, in Africa, si moltiplicano le guerre e le violazioni della democrazia.
L'idea non è solo quella di un dialogo tra esperti, ma tra responsabili religiosi e politici, che rappresentano i loro rispettivi mondi. È il tentativo di dimostrare che è buono e necessario imparare a vivere insieme, perché vivere insieme è un'arte di cui abbiamo urgente bisogno.
Venendo dall'Africa, voglio rendervi testimonianza di quell'arte del dialogo e della pace che coltiviamo nel nostro continente e nel mio Paese, la Guinea Bissau. Le religioni e le culture possono e devono parlare al cuore dell'uomo con un linguaggio fatto di fiducia, e non di paura e aggressività.
Da molti anni conosco l'impegno di Sant'Egidio per il dialogo e la pace. Conosco le vostre mediazioni, come quelle in Mozambico (1990-1992), Burundi (1997-2000), Liberia (2002-2003), Togo (2004 e 2005), Costa d'Avorio (2003-2006) e ancora oggi i persistenti tentativi di pace in Sud Sudan (1998-2005), per non parlare del Medio Oriente, dei Balcani e dell'America Latina. Con la Guinea Bissau, Sant'Egidio è anche impegnata per risolvere la questione della Casamance.
So anche che migliaia di membri di Sant'Egidio sono africani: vorrei ringraziarli qui, in particolare per il loro impegno nella lotta alla povertà, per i programmi sanitari e di lotta all'esclusione che portano avanti senza perdere la fiducia nel futuro del continente.
L'Africa ha bisogno di essere ascoltata e compresa meglio. Ritengo che l'Europa debba interrogarsi molto di più e molto meglio davanti al mio continente, con il quale ha forti legami, ma verso il quale ha avuto anche molte mancanze e molte colpe. Bisogna trovare una nuova collaborazione tra Africa ed Europa, come quella che si realizza nell’operato di Sant'Egidio.
Il mio Paese, la Guinea Bissau, è sempre stato un modello di convivenza tra religioni. La convivenza ci spinge a pensare all'identità in termini nuovi: quando la convivenza si lacera, se ne vedono le tristi conseguenze. Il Sahel si trova oggi a dover affrontare la sfida dei jihadisti che vogliono imporre una religione trasformata in ideologia, che in realtà nasconde degli interessi materiali. È per questo e per la democrazia che stiamo combattendo. Nel mio Paese cerchiamo di creare un tessuto comune e questo è diventato una testimonianza di pace.
In tutto il mondo, la pace e la sicurezza sono le sfide più urgenti. C'è un grande bisogno di uomini e donne di religione e cultura diverse che uniscano le loro energie e le loro intelligenze per riaffermare il diritto e il dovere di tutti alla pace e alla sicurezza. A Berlino, nel cuore dell'Europa, vorrei riaffermare: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri per costruire uno spirito di fiducia reciproca, ciascuno nella propria tradizione, senza il quale nessuna sfida può essere vinta.
Il dialogo tra le religioni è il modo migliore per costruire un mondo più vivibile. È essenziale che i leader religiosi accompagnino gli Stati nella loro ricerca di una convivenza pacifica. Ci sono troppe manipolazioni in questo ambito. L'estremismo è una malattia che causa molte sofferenze. Come sapete, la povertà spinge molti giovani a lasciare il proprio Paese. Si tratta di un fenomeno che deve trovare risposta in uno sviluppo sostenibile. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico sta rendendo difficili le condizioni di vita in alcune parti dell'Africa e del mondo e sta impoverendo i terreni. La manipolazione di tutti questi problemi socio-economici da parte delle forze oscure della criminalità e del jihadismo genera violenza e distrugge gli Stati.
Il mondo delle religioni, qui rappresentato ad altissimo livello, e il mondo delle relazioni internazionali e della politica devono essere alleati in questa battaglia. L'impoverimento del dialogo è spesso il prodotto della crisi del sogno di cambiamento e del prevalere del pessimismo. Questa è una pessima scuola per i giovani. Questo pessimismo di fronte all'inevitabilità della guerra e della povertà non ci appartiene.
Come leader africano, conosco il peso di questo impegno: qui a Berlino - città distrutta dalla guerra - vi porto un sogno africano. Vi porto l'impegno assunto molti anni fa per la democrazia. Vi porto il sogno di convivenza tra popoli e continenti, questo nuovo umanesimo di cui l'Africa ha il segreto.
Grazie
Signor Presidente, Signori e signore, Amici tutti
Mi chiamo Zohra Sarabi, ho 18 anni, e vengo dall’Afghanistan. Sono arrivata in Italia con il Corridoio Umanitario di Sant’Egidio nel mese di luglio del 2022 e da più di un anno vivo a Roma.
Non ero ancora nata quando nel 1996 i talebani hanno conquistato per la prima volta il mio paese. A Kabul, con la presenza delle forze occidentali, la vita era ricominciata. I problemi c’erano ma almeno c’era anche la speranza.
In quegli anni ho avuto la fortuna di poter studiare e soprattutto di poter sognare. Poi il buio è tornato, quel 15 agosto del 2021, e tutto è cambiato. Voglio raccontarvi il mio 15 agosto. Ero a scuola con i miei compagni quando i professori ci hanno detto che i talebani stavano avanzando in città. L’incubo che conoscevamo solo dai racconti diventava realtà anche per noi. Ci hanno detto “andate subito a casa”. In quei giorni tutti volevano fuggire. C’era una grande confusione e tutti cercavano qualcuno in occidente che potesse portarli fuori dal paese. Dopo la bomba all’aeroporto di Kabul la situazione è precipitata. Per me e la mia famiglia – come per tanti altri - la vita era in pericolo perché mio padre, prima dei talebani, lavorava per il ministero della difesa. Era considerato un nemico. Non uscivamo più di casa. Eravamo disperati.
Oggi in Afghanistan le donne non possono più studiare, ma non possono neanche uscire di casa da sole senza uomini: non puoi nemmeno lavorare e mantenere la famiglia e la povertà cresce ogni giorno di più. Le ragazze non possono scegliere chi incontrare o avere amici. Per loro la vita è diventata impossibile perché manca la libertà. E la libertà è tutto.
Per arrivare in Europa, l’unico modo che esiste oggi per gli afgani è andare in un paese vicino. Ma è molto difficile avere il visto.
Sono dovuta partire in fretta, senza mio padre e mia madre: per lui era troppo pericoloso chiedere il passaporto. Lo avrebbero riconosciuto. Ma non mi ha chiesto “vuoi andare?”: mi ha detto “DEVI ANDARE”. Ero molto triste. Anche lui era triste, ma mi ha voluto salvare. Alcuni, in Europa, pensano che noi vogliamo solo un futuro migliore: noi non vogliamo un futuro migliore, vogliamo SOLO UN FUTURO.
Siamo andati in Pakistan. Ci sono milioni di afghani in Pakistan e in Iran, senza soldi, lavoro, scuola. Aspettano. Aspettano che qualcuno li porti via. Si cominciava a parlare di un corridoio umanitario. Tra i rifugiati ogni notizia è un appiglio per guardare al domani. A maggio del 2022 ho sentito che Sant’Egidio era arrivato a Islamabad e ci voleva intervistare. Ho cominciato a stare meglio… A sperare di nuovo. Mi ricordo il giorno in cui la Comunità ci ha invitati in una sala per conoscerci.
Anche se l’attesa mi è sembrata lunga, non ero disperata, perché dentro di me pensavo “qualcuno mi vuole, qualcuno mi sta aspettando”. Il 27 luglio, finalmente partivamo con un aereo, legalmente, per l’Italia! Sembrava una festa. 217 persone, quasi tutti giovani e bambini che caricavano i bagagli e salutavano. Mi ricorderò sempre quel giorno.
Ora posso parlare e fare amicizia con tutti. L’Italia mi piace. Sono andata tante volte anche io ad accogliere a Fiumicino gli afghani che sono arrivati dopo di me con i corridoi umanitari. L’accoglienza fa bene al cuore di chi deve dimenticare la sofferenza ma anche al cuore di chi accoglie, perché insieme stiamo costruendo una società migliore. Tornata da Berlino comincerò l’università. Voglio studiare la mediazione culturale e aiutare gli altri immigrati. Questo mi rende felice.
Alla fine vorrei ringraziare per l’opportunità di fare questa testimonianza sul mio paese davanti a voi tutti che rappresentate le religioni e gli Stati, e vorrei chiedere a tutti di non dimenticare l’Afghanistan, i suoi bambini, le donne, i giovani, tutti coloro che soffrono, grazie.