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Una via purifica una illumina una conduce a Dio (San.G.PaoloII)

«“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Gesu'

 
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FORUM 13 - LA RESPONSABILITÀ DELLE RELIGIONI NELLA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2023 23:04
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21/09/2023 23:03

 




La globalizzazione ha unificato negli ultimi decenni i mercati e avvicinato le popolazioni. La globalizzazione incompiuta si è trovata in affanno, contraddittoria, per la libera circolazione delle merci, ma non delle persone e dei popoli. La globalizzazione si è rotta, dopo una crescita di tensioni, con la guerra in Ucraina e le sue conseguenze. La globalizzazione dello spirito e della solidarietà non c’è mai stata, non è cresciuta al pari della ricchezza prodotta, mentre sono crescite esponenzialmente le disuguaglianze. Le religioni hanno di fronte a sé la responsabilità di aiutare ognuno a pensarsi assieme all’altro e non contro l’altro, oltre i confini personali e nazionali, etnici, religiosi, sociali. Per una nuova globalizzazione.



 





Katherine Marshall

Vice Presidente, G20 Interfaith Association, USA
 biografia

Buongiorno, un cordiale saluto a questa autorevole tavola rotonda e al pubblico in ascolto, vicino e lontano.

Oggi sentiamo spesso ripetere il termine “policrisi”. Riflette la convergenza di tante sfide diverse e gravi che le comunità di tutto il mondo si trovano ad affrontare, tutte nello stesso momento: le tre grandi “C”: Conflitto, Covid e Clima, a cui aggiungere la crisi economica globale e il fardello debitorio, più la migrazione forzata, il tutto aggravato da una morsa di disorientamento e da quella che Andrea Riccardi ha descritto qualche anno fa come vertigine. Per rendere le cose ancora più complesse, le crisi sono interconnesse, sfidando coloro i cui mondi si sono chiusi nei loro silos. E le profonde e spesso rabbiose divisioni all'interno delle comunità e tra di esse, rendono il dialogo e l'incontro che ardentemente desideriamo molto più difficili del normale.

Il “cattivo” additato da molti è la globalizzazione. E’ vista come qualcosa che spersonalizza, che toglie alle persone, alle comunità e persino alle nazioni la capacità di plasmare i loro immediati destini, e la loro stessa identità. Alcuni la descrivono come una forza irresistibile, una tempesta guidata dall'economia. Ma invece di essere una forza che livella, come si sperava in alcuni momenti, essa può alimentare o perpetuare le disuguaglianze, favorendo i ricchi e i potenti e condannando le comunità più povere a restare ai margini e a soffrire.

La storia, che tutti conosciamo, credo sia più complessa di così. La globalizzazione porta con sé molti doni, come la condivisione della cultura, l'apertura a nuovi incontri, la possibilità quasi illimitata di scegliere. Per molti ha aperto nuovi mondi di opportunità. Abbiamo, come testimoniamo qui a Roma, la grande opportunità di condividere il meglio dei nostri valori e nuove speranze. Il gigante percepito del neoliberismo è un fenomeno a più teste, alcune guidate dall'avidità e dall'egoismo, altre dalla generosità e dalla ricerca di nuovi e migliori modi di servire e di agire. 

I lati oscuri della globalizzazione, che hanno incoraggiato la pandemia di COVID-19 e le nuove forme di diffusione dei discorsi d’odio (hate speech) e delle pulsioni violente, hanno tuttavia messo in evidenza anche segni di bene e di speranza simboleggiati da immagini e storie di coraggio e sofferenza, idee e [violazioni]. Anche facendo riunire persone di buona volontà.

La nostra tavola rotonda di questa mattina si concentra sulle responsabilità che vi sono, in questo complesso momento di crisi, e in particolare sulle responsabilità religiose. Le tradizioni religiose, come abbiamo sentito spesso in questo contesto, trascendono i confini nazionali e di altro tipo. Portano con sé una profonda eredità storica, ma anche una forte attenzione al presente. Il valore condiviso e il sogno della pace sono profondamente radicati, direi che hanno radici robuste. Come possono queste intuizioni, doni, eredità e molteplici occhi e orecchie aiutare ad affrontare le “policrisi” di oggi e in particolare quelle che si accompagnano ai fenomeni di globalizzazione?

Esploreremo molte dimensioni, dagli intricati dibattiti sui mercati globali, ai diritti fondamentali alla salute e all'istruzione, alla libertà di parola e di manifestare, e soprattutto al desiderio di pace che noi condividiamo.

Margaret Karram

Presidente Movimento dei Focolari
 biografia


Il Grido della Pace
Religioni e culture in dialogo
Roma, 23-25 ottobre 2022

25 ottobre 2022
Ore 9.30 – La Nuvola (EUR)
Forum 13

LA RESPONSABILITÀ DELLE RELIGIONI
NELLA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE

Intervento di Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari

Sono particolarmente felice di essere qui oggi e per questo ringrazio la
Comunità di Sant’Egidio per avermi invitata ad essere parte di questo evento che
ci permette di incontrarci per implorare il dono della Pace, o meglio: “gridarlo”
come recita in modo molto efficace il titolo di queste giornate.
Da anni è sotto gli occhi di tutti la forte crisi della globalizzazione; e specie
da quando è scoppiata la guerra in Ucraina – senza dimenticare gli altri conflitti
meno raccontati dai media – si parla di una frantumazione dei rapporti
internazionali. Il mondo si presenta sempre più diviso e polarizzato. In effetti,
per decenni, in molte aree del mondo, la globalizzazione è stata percepita e
spesso sofferta come risultato dell’influenza dei Paesi sviluppati; e non ha
portato né inclusione, né pari diritti.
Stiamo vivendo, come dice Papa Francesco, una “guerra mondiale a
pezzi”; l’alternativa, come spiega nell’Esortazione apostolica Evangelii
Gaudium, è una vera “pace mondiale” che non si accontenta di una pace
“effimera”, riservata solo ad una “minoranza felice”, frutto di situazioni di
squilibrio e dipendenza1

. Questa sarebbe una pace senza futuro, perché
conterrebbe in sé il “seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza”.
2

Una globalizzazione senza solidarietà ha creato maggiori diseguaglianze
non solo tra Paesi e popoli, ma anche dentro gli Stati. Persino durante la
pandemia, abbiamo assistito, ad esempio, alla tentazione del nazionalismo delle
mascherine e degli stessi vaccini.
1 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24 ottobre 2013) n. 218
2
Ibid. n. 219

2

Via Frascati, 306 - 00040 ROCCA DI PAPA (Roma) – Italia – Tel. +39-0694798-9
karram.margaret@focolare.org – www.focolare.org

Per dirla con un’espressione cara a Papa Francesco, si sono moltiplicate
le periferie, cioè gli esclusi, gli espulsi, gli scartati e non solo in senso
economico, ma nel senso più profondo della negazione della dignità di ogni
persona e del valore insostituibile di ogni popolo e di ogni cultura.
Eppure, il mondo in cui viviamo è già globalizzato, perché siamo partecipi
di un destino comune. Pensiamo al cambiamento climatico, alla sicurezza
alimentare, a quella energetica, ai rischi legati al commercio e all’uso degli
armamenti.
La nostra patria comune è oggi l’umanità, oltre alla terra da cui
proveniamo. Tuttavia, anche se spesso sperimentiamo la fragilità, facciamo
molta fatica a prenderci cura gli uni degli altri.
In una parola, più che della globalizzazione, avremmo bisogno di un
mondo fraternizzato.
È un’utopia? Non direi. Ma una tale visione dell’umanità per non sembrare
ingenua richiede molto coraggio; richiede capacità di dialogo fondato su un
concreto amore per il prossimo che – come disse Chiara Lubich, la fondatrice
del Movimento dei Focolari – “lungi dal chiudersi orgogliosamente nel proprio
recinto, sa aprirsi verso gli altri e collaborare con tutte le persone di buona
volontà per costruire insieme l'unità e la pace nel mondo.”
3

E continua:
“E per rispondere a questa sfida senza precedenti, il contributo delle religioni è
decisivo. Da chi, se non dalle grandi tradizioni religiose, potrebbe partire quella
strategia della fraternità capace di segnare una svolta persino nei rapporti
internazionali?”.
4

Fin qui Chiara Lubich.
Al di fuori delle strumentalizzazioni di cui talvolta sono oggetto, le
religioni hanno al cuore del loro messaggio una prospettiva universale, che va
molto al di là della stessa idea di politica internazionale.
Non si tratta solo di collaborare per la salvezza del pianeta: per il clima, il
cibo, l’acqua. Si tratta di riconoscere un’identità condivisa del genere umano
anche nel suo rapporto con il creato e nel suo rapporto con Dio.

3 Chiara Lubich, “Quale futuro per una società multiculturale, multietnica e multireligiosa”, Londra, 19 giugno
2004
4
Ibid.

3

Via Frascati, 306 - 00040 ROCCA DI PAPA (Roma) – Italia – Tel. +39-0694798-9
karram.margaret@focolare.org – www.focolare.org

In questa prospettiva, il dialogo interreligioso non può restare solo una
conversazione amichevole e fraterna, deve trasformarsi in progetti al servizio
non solo del bene comune ma dei “beni comuni” e cioè di tutto ciò che è
necessario perché la vita delle persone e dei popoli si svolga all’insegna della
dignità e della condivisione.
Notevoli sforzi vengono fatti a livello internazionale; non possiamo non
menzionare l’impegno instancabile della Comunità di Sant’Egidio e il lavoro
prezioso di Religions for Peace; il “Documento sulla Fratellanza Umana” di Abu
Dhabi5
, solo per citare alcuni esempi.
Anche l’esperienza di dialogo tra persone di diverse religioni che il
Movimento dei Focolari sta portando avanti da oltre 40 anni ci sta insegnando
che un ambito di incontro molto promettente è quello locale: lavorare, cioè, in
rete sul territorio, insieme alle diverse organizzazioni per rispondere ai bisogni
specifici delle popolazioni. La collaborazione tra persone di diverse fedi
religiose non solo offre soluzioni sociali, civili, solidali, ma mostra che l’umanità
può essere una famiglia.
Per concludere, le religioni possono contribuire a ricomporre questo
nostro mondo in frantumi, possono davvero essere delle fabbriche di pace e di
fraternità, “Perché – termino con alcune parole di Chiara Lubich – di fronte ad
una strategia di morte e di odio, l'unica risposta valida è costruire la pace nella
giustizia; ma senza fraternità non c'è pace. Solo la fraternità fra individui e
popoli può assicurare un futuro di convivenza pacifica”.
6

Vi ringrazio dell’ascolto.

Margaret Karram
Presidente

Walter Kasper

Cardinale, Santa Sede
 biografia

Crisi della globalizzazione - Contributo della Chiesa

Origine e storia

La globalizzazione è un termine giovane, che esiste solo dal 1960 circa. Si riferisce al processo di interconnessione mondiale nell'economia, nella politica, nella cultura, nell'ambiente e nella comunicazione tra individui, società, istituzioni e Stati. Una globalizzazione così ampia è stata possibile solo grazie alle innovazioni tecniche, ai moderni mezzi di comunicazione e di trasporto, tra le altre cose.

La speranza di uno shalom universale di tutti i popoli si trova già nell'Antico Testamento (Is 2,1-5; 60; Ap 21,22 ss). Gesù ha annunciato il Vangelo della pace, che si conclude con l'invio dei discepoli a tutti i popoli (Mt 28,16-20). Secondo Paolo, le differenze etniche, sociali e di genere hanno perso significato per i cristiani, perché in Cristo tutti sono diventati uno (heîs) (Gal 3,28; 1 Cor 12,13). In epoca moderna si è assistito a un movimento missionario e di colonizzazione a livello mondiale. Basta citare questi due termini per rendersi immediatamente conto che la Chiesa non ha fatto tabula rasa di questa "globalizzazione precorritrice". Se si pensa alle crociate, alle guerre religiose e confessionali, le religioni e le chiese erano spesso più parte del problema che della soluzione. 

Solo nel XX secolo la terribile esperienza di due guerre mondiali ha portato a una svolta. Benedetto XV ha dato inizio alla moderna politica di pace papale durante la Prima guerra mondiale. Giovanni XXIII ha inteso l'unificazione della famiglia umana come un segno dei tempi (Pacem in terris (1962), soprattutto 23 s). Nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes (1965), il Vaticano II ha esordito con l'affermazione: "La gioia e la speranza, il dolore e l'angoscia degli uomini d'oggi sono anche la gioia e la speranza, il dolore e l'angoscia dei discepoli di Cristo" (GS 1), per poi parlare più volte - come si diceva allora - della socializzazione dell'umanità di oggi (GS 6; 25; 42; 75; DH 6). Il divenire uno dell'umanità era ora inteso come una sfida a testimoniare con la parola e con l'azione il messaggio cristiano dell'unico Dio, Padre di tutti gli uomini senza tener conto delle loro differenze etniche, culturali e di genere, e a intendere questo come un'espressione essenziale dell'universalità e della cattolicità proprie delle chiese.   

Alla domanda se la globalizzazione debba essere vista come una benedizione o una maledizione per l'umanità, il mondo risponde in modo molto diverso. Le diverse valutazioni sono probabilmente dovute principalmente al fatto che i vantaggi e gli svantaggi della globalizzazione sono distribuiti in modo ineguale a livello mondiale. I vantaggi sperati per l'economia, per lo scambio culturale e scientifico, per l'avvicinamento delle culture, per una più facile comunicazione e mobilità, tra gli altri, sono evidenti. Anche gli svantaggi si sono manifestati molto presto: per i Paesi poveri, invece di uscire dal sottosviluppo e aumentare il tenore di vita, ha portato al loro sfruttamento come Paesi a basso salario e all'aumento delle disparità; le crisi locali potevano diventare rapidamente crisi globali, la maggiore mobilità all'aumento della criminalità internazionale e al livellamento delle culture, la crescita incontrollata dell'economia ai danni ambientali, ecc. 

Critica della globalizzazione e crisi della globalizzazione

Nel 1961, il presidente statunitense John F. Kennedy proclamò un "Decennio dello sviluppo" e diede inizio all'Alleanza per il progresso, che prevedeva ampi aiuti allo sviluppo e investimenti economici per l'America Latina da parte degli Stati Uniti. L'obiettivo del governo statunitense era quello di impedire ai Paesi dell'America Latina di approfondire la cooperazione con l'Unione Sovietica. Tuttavia, l'euforia si è spenta relativamente presto. Invece di una riduzione della povertà, in molti luoghi si è assistito solo a una "modernizzazione della povertà" (Ivan Illich), a crisi finanziarie e di crescita, di cui hanno fatto le spese soprattutto i poveri. 

Mentre F. Fukuyama, in La fine della storia (1989), dopo il crollo del blocco orientale, prevedeva la fine delle ideologie e l'universalizzazione della democrazia liberale occidentale e quindi la speranza di un secolo americano, S. Ph. Huntington, in Lo scontro delle civiltà (1996), prevedeva che nel XXI secolo le guerre tra nazioni sarebbero state sostituite da conflitti tra culture, religioni e sistemi politici diversi. All'epoca pensava al confronto con l'Islam militante e con la Cina come futura potenza mondiale. Oggi, nella guerra in Ucraina, assistiamo al drammatico e sanguinoso confronto tra la Russia di Putin e la civiltà democratica occidentale. Stiamo vivendo non solo le critiche alla globalizzazione, ma anche il crollo dell'ordine mondiale globalizzato così come si è sviluppato dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la conseguenza che la fame sta aumentando nel mondo (830 milioni di persone muoiono di fame!) e stiamo affrontando una crisi energetica, la recessione economica e l'inflazione. 

Alcune osservazioni su questo tema. Il crollo del blocco orientale (Unione Sovietica) e il successivo decennio di caos in Russia sotto il presidente russo Eltsin sono stati un'umiliazione per l'orgogliosa Unione Sovietica e il suo glorioso esercito, vissuta personalmente da V. Putin quando è fuggito da Danzica. Ciò ha portato a una riflessione in Russia sui valori propri della Russia, sulla "idea russa", in contrasto con la civiltà liberale occidentale, considerata decadente. Queste idee risalgono parzialmente al panslavismo dell’ottocento. A questo si collegava la rinascita del mito della Rus' di Kiev e dell'unità di tutti i popoli slavi. Queste idee erano legate alle idee imperialiste della Russia zarista e ancor più di quella comunista (l'idea della rivoluzione mondiale), all'imperialismo euro-asiatico e alle preoccupazioni per la coesione della federazione russa, composta da popoli diversi. Si temeva un effetto domino se una parte come l'Ucraina fosse diventata indipendente e incline alle idee occidentali. Con la guerra, Putin ha deliberatamente distrutto il già fragile ordine di pace mondiale globalizzato che era stato stabilito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato della sua invasione in Ucraina è stato un'indicibile sofferenza umana e gravi conseguenze economiche e sociali non solo in Ucraina, ma anche nel mondo intero. La situazione che stiamo vivendo in Ucraina è molto più di una guerra locale: è uno scontro globale di culture e sistemi sociopolitici. In tale situazione ci troviamo di fronte alla domanda: come è possibile costruire un nuovo ordine mondiale e quale può essere il contributo della Chiesa?

Cosa può fare la Chiesa? 

La Chiesa è Mater et Magistra: è come una madre o il Buon Samaritano che si prende cura dei poveri, dei feriti, dei perseguitati, di chi è in lutto e dei malati, dei bambini che muoiono di fame e delle donne abusate e violentate che giacciono sul ciglio della strada. La Chiesa è, per così dire, un ospedale da campo universale (Papa Francesco). Fa quello che Sant'Egidio si è proposto di fare. Lo fa insieme ad altre istituzioni caritatevoli e sociali di tutto il mondo: Negli Stati Uniti il Catholic Relief Services, in Germania Misereor, Adveniat, Renovabis ecc. Il messaggio della Chiesa è innanzitutto la sua azione di aiuto. Anche se il bisogno nel mondo è troppo grande e non è possibile aiutare tutti i bisognosi, un aiuto anche "selettivo" per molti individui dà coraggio a molti altri ed è un segno per loro che la speranza di un mondo migliore è possibile.   

La fede attiva è anche fides quaerens intellectum. Così anche la Chiesa Madre deve diventare Magistra. Andrea Riccardi ha evidenziato il punto centrale di Münster: Le considerazioni e gli aiuti puramente economici non sono sufficienti. Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo spirituale universale, non individualista ma solidale. La Global Ethic Foundation, ispirata da Hans Küng, ha indicato come base la Regola d'Oro, che si trova anche nel Discorso della Montagna (Mt 7,12) e in tutte le religioni a noi note: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te". "Questo è il comandamento dell'amore che esprime positivamente lo stesso comandamento: "Amerai l'altro come te stesso" (Mt 22,39), cioè farai a lui ciò che vorresti per te stesso se ti trovassi nella situazione dell'altro. Hannah Arendt lo ha detto ancora una volta in modo diverso: la politica non può seguire solo le necessità, ma deve essere creativa nell'ambito della libertà nel senso dell'etica di Immanuel Kant. 

Di seguito, vorrei menzionare quattro pilastri su cui si può costruire un tale umanesimo della solidarietà. 

1. protezione dei diritti umani. Ci è voluto molto tempo perché la Chiesa riconoscesse i diritti umani; solo il Vaticano II ci è riuscito con la Gaudium et Spes. Già nella prima frase si legge: "La gioia e la speranza, il dolore e la paura degli uomini, specialmente dei poveri e degli afflitti di ogni genere, sono anche la gioia e la speranza, il dolore e la paura dei discepoli di Cristo" (GS 1). Seguono ripetute enumerazioni dei diritti umani dati da Dio e scritti nel cuore delle persone (GS 21; 16; 41 s; 59; 73, DH 6). L'Atto finale di Helsinki (1975) ha dimostrato che i diritti umani non sono solo un pio desiderio; ha scosso l'ex blocco orientale e ne ha provocato il crollo. Oggi, la dignità di tutti gli esseri umani senza distinzione di origine etnica, sesso, religione, lingua e cultura, il diritto alla vita e alla libertà, la proibizione della schiavitù e della tortura, l'uguaglianza di fronte alla legge, il diritto alla privacy, all'espressione e alla libertà di movimento devono essere nuovamente messi al centro. Ci sono poi i diritti umani di seconda generazione: il diritto al lavoro, alla sicurezza, alla ricreazione, al tempo libero, all'istruzione, alla partecipazione alla vita culturale, e infine quelli di terza generazione: il diritto a uno sviluppo olistico, a un ambiente intatto, alla partecipazione al patrimonio comune dell'umanità, all'autodeterminazione dei popoli.

2. la democrazia e lo Stato di diritto. In passato, gli Stati occidentali hanno spesso collaborato con dittature de facto che non avevano alcuna base demografica. Questo non ha reso gli aiuti allo sviluppo occidentali popolari o di successo. La Chiesa non è legata a nessun sistema politico, nemmeno alla democrazia parlamentare occidentale. Tuttavia, è importante cooperare con Stati e istituzioni che soddisfino almeno le esigenze democratiche di base, che rispettino i diritti di libertà e di uguaglianza e che si preoccupino di un giusto ordine interno. Già Montesquieu e Machiavelli avevano notato il legame tra pace interna e tranquillità esterna. Il contributo della Chiesa può quindi essere anche quello di sostenere e promuovere la democratizzazione e, soprattutto, di prendersi cura della libertà religiosa. Senza pace religiosa non ci può essere pace nel mondo.  

3. la cooperazione per un ordine economico al servizio dell'umanità, in cui al centro ci sia la dignità delle persone, soprattutto dei poveri, e non i valori di borsa. Questo tocca una preoccupazione fondamentale di Papa Francesco, che ha già espresso in Evangelii gaudium (EG 53; 203 s), Laudato si' e in Fratelli tutti, oltre che nel suo libro "Osare sognare. Uscire dalla crisi con fiducia" (2020). Il Papa invita a una conversione ecologica e si oppone alla globalizzazione dell'indifferenza e all'iperinflazione dell'individuo. Ad Assisi, il 24 settembre 2022, in occasione del forum economico Economia di Francesco, ha esortato a riportare le attività economiche alle loro radici umane e a sviluppare un'economia al servizio della vita che sia globale e locale. L'idea fondamentale di pace oggi non può più essere solo la guerra giusta, ma piuttosto lavorare per una pace giusta.  

4. Interdipendenza sovranazionale. Grazie alla globalizzazione, gli Stati nazionali stanno perdendo il controllo sul destino dei propri cittadini. Tuttavia, un'autorità internazionale nel senso di una sorta di governo mondiale è molto lontana. È necessario un sistema intergovernativo di negoziati e organizzazioni internazionali con il riconoscimento di diritti e doveri pre-statali e sovranazionali come la sussidiarietà e la solidarietà e l'ulteriore sviluppo del diritto internazionale. È quindi importante la partecipazione costruttiva e critica della Chiesa, in particolare della Santa Sede e delle nunziature, all'ulteriore sviluppo di istituzioni transnazionali e universali, come l'ONU, l'UNESCO, la FAO, l'OMS e altre. 

Per concludere, torno all'inizio. Shalom è una parola chiave della Bibbia e il Vangelo è un messaggio di pace. Dal Concilio Vaticano II (1962-65), la Chiesa cattolica è diventata la Chiesa universale nel senso concreto del termine (parallelamente al WCC 1948 Amsterdam). La sola presenza di 1,34 miliardi di cattolici sparsi in tutti i continenti fa della Chiesa cattolica un movimento di pace mondiale. Non può e non deve interferire nella politica operativa quotidiana, ma può essere una luce e una forza (GS 42 f) per la ricostruzione di un ordine mondiale libero e giusto. Anche la promozione del dialogo ecumenico e interreligioso serve a questo scopo. 

Per essere credibile in questo servizio, la Chiesa deve partire da sè stessa; deve trasformare la sua globalizzazione rispettando le tradizioni locali, le libertà personali e la libertà di coscienza dei suoi membri. L'unica Chiesa oggi non può più essere una Chiesa unificata, ma deve essere un'unità sempre più sinodale nella diversità.  Infine, se ci impegniamo per un ordine di pace mondiale umano, questo può essere credibile solo se viviamo l'unità al nostro interno e non la oscuriamo con polarizzazioni infruttuose e polemiche poco obiettive. Solo così possiamo contrastare il pessimismo dilagante, tenere alta la fiaccola della speranza e dimostrare non solo con le parole ma anche con i fatti: Un altro mondo è possibile.  

È possibile con l'aiuto di Dio. Come cristiani dovremmo essere consapevoli: La preghiera è il potere più forte di questo mondo e la preghiera per l'unità e la pace nel mondo è oggi più urgente che mai. La preghiera è il contributo più importante della Chiesa a un nuovo ordine di pace mondiale e a una globalizzazione umana. 

Syuhud Sahudi Marsudi

Presidente della “Nahdlatul Ulama”, Indonesia
 biografia

Desidero ringraziare la Comunità di Sant'Egidio per l’occasione e opportunità di partecipare a questo Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace.  

È una grande opportunità per me personalmente e per il Consiglio degli ulema indonesiani che rappresento come vicepresidente.    

Sento che è particolarmente importante, oggi, riunirsi per lanciare questo (grido di pace) e per affrontare un mondo futuro che sta sperimentando più terrore, molte minacce di guerra e conflitto, sia che sia accaduto in paesi musulmani o in Russia e Ucraina recentemente.

Tutti sentiamo il peso e la gravità della situazione di questo conflitto, in modo particolare lo sentono loro e penso al dolore e alla sofferenza di tutte le persone che hanno perso la vita in una guerra insensata, penso al dolore di tante donne e bambini e alle numerose vittime di questa guerra inutile e penso anche all'insensata uccisione di tanti civili e militari.  

Credo che ciascuno di noi oggi sia chiamato a vivere in prima linea l'urgenza della pace, per questi motivi:   

1) La pace non è uno strumento che può essere usato solo da specialisti, ma è una vocazione dei popoli alla pace, a cui tutti sono chiamati a rispondere e a prendersene cura. 

Sento che, in base alla nostra esperienza, il dialogo è l'unico strumento che ci mette in condizione di poter costruire la pace. Come viene affermato negli insegnamenti della mia religione, quando affrontiamo ogni problema, di qualsiasi portata, dobbiamo risolverlo tramite il dialogo e la deliberazione, il Corano dice: (وشاور هم في الامر) E consultali sulla questione, consigliali sulla questione.

E questo dialogo è l'esperienza dei nostri incontri nello Spirito di Assisi dal 1986 con San Giovanni Paolo II e fedelmente proseguiti dalla Comunità di Sant'Egidio per aprire un grande spiraglio nell'orizzonte oscuro in cui tutti viviamo: siamo tutti qui per parlare di pace, quando tutti gli altri parlano di guerra e rivendicazioni, di difesa dei confini dalle invasioni, o di riarmo.

Per resistere a queste situazioni possiamo fare di tutto: per esempio la solidarietà di chi resiste in guerra, quando siamo sotto le bombe, è come una luce in fondo al tunnel. Penso che il dialogo possa aiutare a creare la storia di cui abbiamo bisogno ora, per vivere in armonia con gli altri. 

2) Il mondo globale oggi è in fiamme a causa di molte guerre, di conflitti all’interno di un paese, tra una nazione e un’altra, di guerre in un paese anche se la religione degli abitanti è la stessa, e anche conflitti con altre religioni. Per queste situazioni, alcuni credono che la fonte del conflitto venga addirittura dal pensiero religioso.

Ecco perché personalmente credo che, a partire da questo dialogo, rendiamo chiaro che gli insegnamenti religiosi devono essere in grado di diventare soluzioni al conflitto e risolutori di problemi. Perché in realtà la nostra responsabilità come persone religiose è diffondere un senso di pace, come i pensieri e la dottrina della nostra religione.

3) La guerra è una strada senza ritorno. La violenza è una strada senza ritorno.  Quando inizia una guerra, si creano tante vittime e feriti. Non c’è ritorno per chi muore. Che tipo di futuro possiamo costruire per i nostri figli? Credo che costruire la pace, investire nella pace, sia il nostro modo di costruire le basi del futuro per i nostri figli. 

4) Le comunità o organizzazioni svolgono un ruolo grande e importante, perché le loro religioni danno una speranza che spesso è assopita nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. La mia esperienza come Vicepresidente di Nahdlatul Ulama e oggi come Vicepresidente del Consiglio degli Ulema Indonesiani è aiutare sempre le persone a vivere in armonia con gli altri e in pace.

Per questi motivi il Consiglio degli Ulema Indonesiani sostiene la conferenza ‘Religions 20’ che discuterà la responsabilità della religione nel superare la crisi globale, e che avrà luogo in occasione dell’incontro del G20 a Bali, in Indonesia. Sostiene anche un incontro internazionale tra i capi religiosi che avrà luogo a Giacarta tra il 4 e il 6 dicembre 2022.

 

Oggi sono qui con mio fratello, dottor Din Syamsudin, che è stato anche Presidente Generale del Consiglio Generale degli Ulema.

Abbiamo bisogno di vivere e costruire un unico futuro per tutti.  Il tema che Sant'Egidio ha scelto negli ultimi anni mi sembra particolarmente appropriato.  "Nessuno si salva da solo", e oggi più che mai lo esprimiamo insieme, esprimiamo questo "Grido di pace" e preghiamo per la pace, come comunità e come organizzazioni, come una grande famiglia umana rappresentata qui dalle tante diversità culturali e religiose.   

Per concludere, lasciatemi pregare:

 اللهم انت السلام، ومنك السلام، واليك يعود السلام، فحينا ربنا بالسلام، وادخلنا جنة دار السلام.

Oh Dio, tu sei pace e la pace viene da Te, e la pace ritorna a Te, poiché il nostro Signore ci ha salutato con la pace e noi siamo entrati nel paradiso della dimora della pace.

È il cammino che ci avvicina a Dio, mentre il dialogo, l'amicizia e la solidarietà trovano spazio nella vita degli uomini e delle donne per vedere finalmente la pace di Dio che regna nel cuore di ogni creatura.

Questa è la strada, questo è il cammino, questo è il modo giusto per vivere il ‘Grido della pace’ e per pregare per la pace. 

Grazie!


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21/09/2023 23:04





Paolo Naso


Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI)
 biografia

Il titolo di questo panel contiene una tesi: esso menziona, infatti, la “crisi della globalizzazione. È una tesi che condivido e che la Comunità di sant’Egidio ha fatto bene a tematizzare. Alla sua origine, la globalizzazione è stata celebrata e persino idolatrata come il processo che avrebbe ridotto le conflittualità, allargato i confini e promosso i diritti umani. Poi ci siamo accorti che le cose andavano diversamente e che, se le merci fossero state libere di circolare, questo avrebbe prodotto un terribile imbatto ambientale che sradicava colture e culture, che produceva inquinamento e generava nuovo sfruttamento. Quanto ai diritti, non solo non venivano globalizzati ma, addirittura, si adottavano provvedimenti che limitavano la circolazione degli individui e finivano per negare il diritto alla protezione persino ai richiedenti asilo. Oggi la crisi della globalizzazione si esprime anche in nazionalismi e sovranismi che celebrano le identità nazionali in contrapposizione a quelle sovranazionali; lo specifico etnico e religioso in contrapposizione alla universalità dei diritti e dei doveri; gli interessi di piccole patrie in contrapposizione a quelli più generali. Giusto, quindi, assumere e denunciare la crisi della globalizzazione.
Questa crisi si esprime con evidente durezza nelle politiche migratori degli Stati, compresi quelli della UE. In questa sede lo possiamo dire credibilmente riconoscendo il percorso che, noi protestanti e voi cattolici della Comunità di Sant’Egidio,  abbiamo fatto insieme: un cammino che ci ha portato a realizzare la più concerta avventura ecumenica di questi anni: l’impegno a ideare, realizzare e promuovere in Europa i corridoi umanitari.
I corridoi sono stati una grande avventura umanitaria, che negli anni, ci ha messo di fronte al nostro prossimo nei campi profughi in libano, nei lager della Libia; che ci ha fatto incontrare ragazze desiderose di vita in Afghanistan; uomini e donne in fuga che hanno trovato un temporaneo rifugio in Pakistan, in Grecia, in Etiopia.
Oggi possiamo riconoscere che questa è stata anche un’avventura della fede! Con il diritto europeo in una mano e la Bibbia dall’altra, abbiamo cercato di aprire vie sicure e legali per profughi che le leggi internazionali e la coscienza cristiana ci impongono di proteggere e di tutelare.
E così è accaduto il miracolo: di fronte alle parole vuote della politica o a proposte irragionevoli e immorali di muri o di blocchi navali, i corridoi umanitari hanno costituito un’azione concreta ed efficace che ha consentito a migliaia di persone di riprendersi la loro vita. In questi anni mi è capitato spesso d parlare dei Corridoi umanitari in riferimento a dei passi biblici: uno, ovviamente, è quello del samaritano che, camminando lungo la strada, vede un uomo ferito e si ferma a soccorrerlo, a dispetto dell’indifferenza generale, delle regole religiose e delle convezioni sociali.
L’altro è quello della resurrezione di Lazzaro. In questi anni abbiamo incontrato migliaia di vite spezzate, vite che si spegnevano nella disperazione, nella tragedia della guerra o nel dolore delle persecuzioni. I corridoi umanitari hanno riacceso la vita in persone che morivano, hanno ridato fiato, sangue, muscoli a corpi esanimi. In questo senso, sono stati una predicazione ecumenica nello spazio politico europeo: il nostro modo di dire che le leggi sull’immigrazione sono sbagliate e che devono essere cambiate. Una predicazione ecumenica ma anche un’azione laicamente politica, tesa a costruire lobby, a cercare consensi e sostegni in sede europea.
L’altro tema che evidenzia la crisi della globalizzazione è la guerra, questa guerra che ancora una volta si combatte in Europa. La globalizzazione ha promesso qualcosa che non ha mantenuto: un ordine internazionale che, orientato alla sovranazionalità e proteso al massimo sviluppo economico, avrebbe garantito la pace. Non è andata così e, di nuovo, siamo di fronte alla più classica delle guerre. Ovvio che, come cristiani, reagiamo invocando la pace tutto appare più complicato. Mentre preghiamo perché tacciano le armi e ci mobilitiamo perché questo avvenga al più presto, infatti, sentiamo di avere di fronte anche un altro problema e un’altra sfida: la resistenza al male. Il male di un’invasione militare illegittima sotto ogni punto di vista; il male di una violenza militare che non risparmia neanche i bambini e i civili; il male di un’evoluzione del conflitto che ancora oggi esclude la via del negoziato e del compromesso diplomatico.
Invocare la pace è giusto e doveroso, così come pregare per la pace e mobilitarsi per la pace. Eppure, dopo mesi di bombe cadute sulle città martire dell’Ucraina, da Mariupol a Zaporizia, sentiamo l’urgenza di un intervento, di una decisione, di una tregua che non arrivano. Il male della guerra sembra destinato a proseguire sine die.
Ma il cristiano non accetta il male. Bonhoeffer non si rassegnava al male totale e assoluto che veda crescere attorno a lui negli anni del nazismo; Martin Luther King non si è rassegnato al male razzista che impregnava la società e  la stessa comunità cristiana di cui era pastore; Desmond Tutu non si è piegato al male dell’apartheid e di un sistema di norme che creava gerarchie sociali, economiche e giuridiche basate sul colore della pelle. Ognuno di loro, a suo modo,  si è posto il problema del contrasto al male. Ed è questa la sfida che abbiamo di fronte noi oggi. Come accade sulle migrazioni globali, la politica non sembra trovare soluzioni. Né vediamo quel “popolo della pace” che in passato marciava compatto per il disarmo nucleare o per la guerra in Iraq.
Nel tempo della post-politica – uso un’espressione nuova che si sta affermando perché riflette un processo reale - tutto è frammentato e incerto, confuso, fluido, l’unica certezza e che domani ci sarà un altro bombardamento.
Di fronte a questo scempio di umanità, persino la voce dei cristiani è divisa. Le contrapposizioni attraversano anche la nostra comunità di fede. È uno scandalo, un inciampo drammatico alla credibilità della nostra fedele. È per questo è tempo di confessione di peccato e di preghiera.
Ma sappiamo che possiamo fare, che dovremmo fare anche altro.
Mi pongo tre domande.
Riusciamo a dire ecumenicamente, e cioè come cristiani di tutte le tradizioni,  che la guerra non può essere benedetta? Che utilizzare il nome di Dio per benedire armi che uccidono e distruggono è contro il disegno di Dio? Non è, questo, un pronunciamento politico sulla guerra, ma soltanto una clausola spirituale che ci impone di guardare alla guerra, sempre e comunque, come un male, il peccato che come uomini e donne ci portiamo addosso.
Riusciamo a dire, ecumenicamente uniti, che la pace deve essere giusta o, semplicemente,  non è? La giustizia vale quanto la pace. Come possiamo chiedere o perfino imporre una pace alla quale non corrisponda una quota ragionevole di giustizia? La tutela dei diritti fondamentali, il diritto all’autodeterminazioni di un popolo, la sicurezza all’interno dei propri confini. La storia ha conosciuto molte paci costruite con la forza e la sopraffazione. Non solo non sono durate a lungo ma hanno semplicemente trasformato il fragore delle armi nella violenza degli apparati di sicurezza e di controllo da parte di una dittatura. Pace è giustizia. Giustizia è pace.
Infine, riusciamo a dire insieme che l’utilizzo dell’arma nucleare non può neanche essere contemplata tra le opzioni militari plausibili? Questo vale per la Russia, certamente, ma anche per gli alleati dell’Ucraina, per gli Stati Uniti e per il campo occidentale in cui l’Italia si riconosce. Di fronte allo scenario nucleare, perde ogni senso e ogni logica il riferimento alla teoria della “guerra giusta”, sia pure quella combattuta “per una giusta causa”, secondo l’antica formula scolastica.
Non so se il movimento ecumenico riuscirà a trovare l’unità attorno a queste tre grandi questioni ma è su questi temi che, tra qualche decennio, sarà giudicato e sarà valutata la sua credibilità e la sua coerenza evangelica. Le religioni non sono “naturalmente” vie di pace; al contrario, la storia europea ci dice quanto esse si siano generosamente e convintamente spese per la guerra. Sappiamo però che in certi momenti hanno agito per la pace e che dispongono di un soft power, di un “potere” che non si misura con i carri armati né con i dispositivi di dissuasione o  l’ampiezza dei confini. È la forza che deriva loro dall’autorevolezza morale, dalla coerenza nel sostegno agli ultimi, dal fatto che milioni di persone, magari contravvenendo alla legge, pregano e lodano Dio, dalla loro capacità di vedere e annunciare un mondo e un futuro che altri non riescono neanche a immaginare.
Negli anni più difficili della guerra in Vietnam e poco prima di morire, in un suo sermone Martin Luther King usò la metafora della “mezzanotte dell’ordine morale”, quando tutto sembra piegato, rassegnato, governato da logiche ciniche e violente. Ma è in questa mezzanotte che si accende e si annuncia la speranza della fede cristiana.

Mohammad Sammak

Consigliere speciale del Grand Mufti del Libano
 biografia

Il mondo sta cambiando. Allo stesso modo cambiano i rapporti tra i popoli.

Il cambiamento climatico si fa sentire in tutta la sua durezza: tempeste, uragani, inondazioni, desertificazione sono in aumento, sia in frequenza che in intensità - e in impatto distruttivo. Allo stesso modo assistiamo a migrazioni dall’est all’ovest, dal sud al nord. I popoli migrano assieme alle loro tradizioni, culture e fedi religiose.

Attualmente un terzo dei 2,2 miliardi di musulmani si trovano in paesi non musulmani. Vi sono in Corea del Sud più cristiani presbiteriani che negli Stati Uniti.

Un quarto di tutti i Cristiani è africano.

Tutte queste descrizioni indicano che siamo sì, più collegati, ma allo stesso tempo più separati. 

Gli scontri militari rendono questo fenomeno più difficile da affrontare, e gravido di pericoli. Lo abbiamo visto nel Medio Oriente, sin da quando i palestinesi sono stati costretti a emigrare in Libano, Siria, Giordania.

La loro migrazione ha squilibrato l’ordine sociale in quei Paesi. Ha acceso una guerra civile in Libano. È lo stesso pericolo che corriamo oggi con la migrazione dei siriani.

Le persone migrano assieme alle loro fedi e stili di vita, che sono diversi dalle fedi e dagli stili di vita dei paesi di accoglienza. In questo modo lo scontro è imminente. L’Italia, e l’Europa nel suo complesso sanno bene quali siano le conseguenze pesanti e complicate di ciò, le stesse sono conosciute e non possono essere evitate.

In fondo tutto ciò è un aspetto della globalizzazione, è un fatto che nessuno può più negare, arrestare o ignorare.

In tutte le culture viene ripetuto che tutti i popoli sono una sola famiglia, figli e figlie dell’unico Dio, che li ha creati. Ma la verità è che Dio ci ha creati nella diversità, e per essere diversi. La verità è anche che noi riaffermiamo questa teoria nelle nostre preghiere, e nelle nostre rispettive culture (il fatto di essere stati creati nella diversità) ma finiamo per non accettarla e rispettarla come una realtà della vita.

Osservate ad esempio la guerra distruttrice in Ucraina. Preti della stessa religione benedicono i soldati e i loro armamenti nei rispettivi fronti del conflitto. Abbiamo visto queste assurdità nel Medio Oriente, quando i terroristi, guidati dai leader religiosi anch’essi terroristi, hanno ucciso i cristiani, così come i musulmani, e distrutto i loro luoghi di culto semplicemente per il fatto di essere differenti.

La verità è che l’altro non può essere tale, se lui o lei non è diverso da noi. Per questo l’umanità ha bisogno di promuovere una cultura del rallegrarsi dell’esistenza di differenze tra i popoli.

Io so, e posso confermare, che Sant’Egidio sta promuovendo questa cultura da decenni, e in tutti i suoi incontri internazionali. So anche che l’UNESCO ha prodotto un documento in cui richiede a tutte le nazioni di accettare e rispettare le differenze culturali e religiose. Ma finora il risultato non è incoraggiante.

Sì, la globalizzazione e le nuove tecnologie hanno accorciato le distanze e spalancato le porte della conoscenza, ma non hanno intaccato la cultura inveterata del rifiuto dell’altro. Gli ucraini, ad esempio, hanno convissuto assieme per secoli - est e ovest, cattolici e ortodossi, russi e non russi - ma tutta questa storia dell’essere insieme non li ha risparmiati dalla guerra miserabile e distruttiva che ora li affligge. Noi stiamo al loro fianco nelle loro sofferenze. Essere insieme non vuol dire automaticamente essere legati.

Noi esseri umani abbiamo immaginato la fine del mondo fin da quando abbiamo ereditato la terra, e nella maggioranza delle nostre mitologie il mondo cessa di esistere prima di iniziare. Giove e Odino dovettero muovere guerra totale ai loro antenati per fare spazio all’uomo. La storia dell’arca di Noè prefigura molte moderne fantasie di colonizzazione interstellare. I paleontologi ci parlano di cinque importanti estinzioni, l’ultima delle quali fu portata a termine, in teoria, da un malizioso asteroide che mise fine ai dinosauri e ricoprì il mondo di sottile strato di sedimenti di iridio 66 milioni di anni fa.

Oggi la nostra specie è sufficientemente evoluta che non ha più bisogno dell’intervento di un dio, di un asteroide o di alieni guerrafondai per portarci alla fine del mondo. La domanda aperta è se siamo sufficientemente evoluti o maturi per salvarci da noi stessi.

La religione ci insegna che Dio ci ha creati per essere i suoi vicari nella cura e nell’amministrazione del mondo. La globalizzazione può essere un buon inizio, ma né gli armamenti pesanti, né il cambiamento climatico sono indizi del fatto che siamo degni di questa nobile missione. La verità è che gli armamenti sono intrinsecamente autodistruttivi. Un asteroide costruita da mani d’uomo potrà fare diventare noi umani dei moderni dinosauri.

Swami Sarvasthananda

Ramakrishna Vedanta Centre, India
 biografia

Swami Vivekananda, che ispirò l’Induismo dell’età moderna, disse: 

“Nessuna forza, governo, o crudele provvedimento legislativo cambierà le condizioni di una razza, ma saranno solo la sua cultura spirituale ed etica che potranno cambiare e migliorare gli orientamenti razziali sbagliati … Non c’è che un fondamento del benessere sociale, politico o spirituale – sapere che io e mio fratello siamo una cosa sola. Questo vale per tutti i paesi e tutti i popoli”.  

Con queste considerazioni introduttive, esaminiamo il ruolo e la responsabilità delle religioni nella crisi della globalizzazione. 

 

Nei secoli passati la globalizzazione era largamente intesa in termini di nazioni, imperi, conquiste e sfruttamento attraverso la colonizzazione. Negli ultimi cinquant’anni circa, tuttavia, la globalizzazione ha assunto la forma di una crescita delle comunicazioni, del commercio, delle interdipendenze e della suddivisione del lavoro. Sotto tutti questi “orpelli della globalizzazione”, però, le sfide più profonde sono rimaste. 

Quali sono queste sfide? 

1. Gli esseri umani hanno continuato a rimanere divisi 

  • in termini di classe, credo, razza, nazionalità,
  • nella distanza tra esseri umani, che si vede anche nella vita quotidiana, e 
  • nella mancanza di comprensione tra le comunità che seguono percorsi diversi per soddisfare quelli che, essenzialmente, sono gli stessi bisogni.

2. Il cambiamento climatico e altre questioni relative all’ambiente hanno assunto proporzioni ingestibili. Il riscaldamento globale ha raggiunto un livello critico e, tragicamente, coloro che ne sono più colpiti vivono in paesi del terzo mondo. Mentre c’è bisogno che le economie sviluppate si contengano, è difficile suggerire che paesi del terzo mondo frenino una rapida industrializzazione. Ogni essere umano, in ogni paese, merita cibo, alloggio, istruzione ed assistenza medica adeguate e uno standard di vita dignitoso. 

3. L’avidità, o il bramare le ricchezze e le risorse di altri meno potenti in un mondo globalizzato, significa prendere di più di quanto sia la parte equa per ciascuno delle risorse della terra, risorse che si stanno rapidamente esaurendo. Come il Mahatma Gandhi ha detto una volta: “C’è abbastanza nel mondo per i bisogni di tutti, ma non abbastanza per l’avidità di tutti”. Di conseguenza, la radice del nostro disastro ecologico è un risultato dell’avidità e dell’egoismo che si trovano nel cuore dell’uomo. 

Di solito, i capi della società e i politici mirano a rispondere alle sfide citate adeguando le condizioni esterne. Credono che la scienza e la tecnologia siano sufficienti a far sì che la società possa alleviare le miserie della gente e promuovere il suo benessere. Provano anche ad introdurre nuovi sistemi sociali, economici e politici, ad emanare leggi, nazionali ed internazionali, a fare patti e trattati tra i paesi per affrontare queste sfide. Questi provvedimenti si dimostrano inadeguati in quanto non vanno alla radice dei problemi dell’uomo.  

Se ne indaghiamo l’origine, scopriamo che questi derivano, nella maggior parte dei casi, non esattamente dalla condizione esterna dell’uomo ma dalle sue debolezze morali. Il progresso materiale, non supportato da ideali morali, è insicuro e ingannevole. La ricchezza, la prosperità e il potere si dimostrano una maledizione quando non sono usati per il beneficio del bene comune dell’umanità e, se male indirizzati, possono anche dimostrarsi decisamente malvagi. La libertà politica o economica, senza un meccanismo regolatore, fa più male che bene. 

La vera religione o spiritualità viene in nostro aiuto e offre una soluzione a tutti i problemi, aiutandoci ad affrontare le sfide di una globalizzazione rapida e indiscriminata. Ma ci deve essere uno spirito di armonia tra le diverse religioni. Dovrebbero essere reciprocamente inclusive per essere veramente efficaci nel promuovere un ordine globale sano e pacifico. Nonostante le divergenze di dottrine, credenze e pratiche, tre verità fondamentali formano le basi comuni, o il fondamento, di tutte le religioni.

Primo, tutte le religioni accettano una Realtà Ideale che risponde al concetto umano di perfezione. Questa Realtà Ideale o Essere Supremo è puro spirito, che trascende il regno dei fenomeni psicofisici.

Secondo: tutte le religioni accettano, direttamente o indirettamente, un rapporto intrinseco tra l’uomo e l’Essere Supremo, e quel rapporto è nel regno del puro spirito. L’uomo è essenzialmente un essere spirituale. Questa è la nota dominante di una vita sinceramente religiosa.

Terzo: lo scopo più alto della vita umana e la realizzazione ultima dell’uomo consistono nell’essere consapevoli di questo rapporto con l’Essere Supremo. Tutti gli altri traguardi intermedi dovrebbero progressivamente condurre a questo scopo più alto. Swami Vivekananda una volta ha detto: “La storia della civiltà è la lettura progressiva dello spirito nella materia”  .

Quindi, l’auto-realizzazione ha come base l’espansione di sé. Più senti la tua unità con gli altri in spirito, più ti avvicini all’Essere Supremo, che unisce tutte le anime individuali come l’Anima di tutte le anime. Più ti avvicini all’Essere Supremo, più profonda è la tua preoccupazione e il tuo rapporto con le altre creature tue simili. Solo allora si può seguire questo precetto: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’. Per riassumere, questa visione spirituale ispirata dalla religione trasforma la vita interiore dell’uomo, rimodella i suoi rapporti con gli altri e per questo porta a un ordine mondiale sano, alla sicurezza e alla pace. 

L’Induismo, anche noto come Sanatana Dharma, Religione Eterna, offre un nuovo modo di guardare alla globalizzazione.

In questa visione della globalizzazione non partiamo dall’alto verso il basso (ossia dalla prospettiva e dagli interessi delle nazioni e istituzioni potenti), ma piuttosto dal basso verso l’alto (ossia dai bisogni e scopi dei singoli, delle famiglie e delle comunità).

L’unità primaria della globalizzazione, dal punto di vista Induista, è l’individuo. Ciascun individuo è potenzialmente divino, il che implica che ogni altro essere umano è anch’esso divino. In altre parole, condividiamo tutti un’identità comune, un’“unità”, una solidarietà con ogni altro essere umano sul pianeta. 

L’unità successiva della globalizzazione, dal punto di vista Induista, è una famiglia forte.  È la famiglia che risponde al nostro bisogno essenziale di essere connessi con gli altri esseri umani.

Nell’Induismo questa idea si è allargata progressivamente fino a considerare “il mondo come una famiglia”, ossia Vasudhaiva Kutumbakam. In altre parole, così come siamo profondamente interconnessi in una famiglia, così siamo anche profondamente interconnessi con ogni altro essere umano nel mondo. 

La terza unità di globalizzazione, dal punto di vista Induista, è a livello di comunità e cultura. L’Induismo non solo accetta ma incoraggia molteplici percorsi per arrivare a Dio e molteplici modi per vedere la verità più alta. Questa idea di accettazione e non semplice tolleranza permette alla diversità di prosperare senza perdere gli elementi unificanti. 

Senza questa idea di accettazione reciproca non può esserci vera globalizzazione. 

Per questo la visione Induista propone una profonda solidarietà tra gli esseri umani:

  • Una solidarietà nata dalla nostra divinità individuale e collettiva, (l’opposto sono le differenze razziali, di classe e nazionali);
  • Una solidarietà nata da nostro essere interconnessi e dalle nostre “relazioni familiari” come essere umani, (l’opposto sono l’alienazione e l’ansia);
  • Una solidarietà nata dall’accettazione reciproca l’uno dell’altro, e quindi dal garantire libertà a ciascun individuo o gruppo perché trovino il proprio percorso verso la Verità (l’opposto sono il fanatismo e l’essere bigotti).

In questa prospettiva, qual è il ruolo di ogni religione? 

È responsabilità della religione affermare veramente l’individuo. E’ anche responsabilità della religione rafforzare la famiglia. È anche responsabilità di ciascuna religione liberare il suo popolo dalle catene del dogma perché possa seguire il proprio percorso verso la Verità. 

Non possiamo e non dobbiamo aspettarci che lo stato o le istituzioni ci tolgano questa responsabilità. Né possiamo lasciare che gli individui o le famiglie vadano alla deriva in un mondo complesso e in cambiamento. La vita dell’individuo è la vita dell’insieme, la felicità dell’individuo è la felicità dell’intero; senza l’intero non si può concepire l’esistenza del singolo – questa è una verità eterna di tutte le religioni ed è la base su cui è costruito l’universo.

Per questo è solo la religione che deve essere all’altezza del compito di costruire una globalizzazione sostenibile del mondo.

 

Stiamo già affrontando le conseguenze distruttive causate dall’ 1% di aumento del riscaldamento globale, ma ci vantiamo del fatto di essere in grado di produrre una bomba 5 volte più grande del centro del sole. 

Fin qui, l’umanità si trova schiacciata in modo distruttivo tra il cambiamento climatico e gli armamenti. Entrambi sono frutto dell’azione dell’uomo. Entrambi possono e devono essere smantellati.

Come? Se c’è una volontà, c’è anche una strada

Quando? Adesso, prima che sia troppo tardi.

Perché? Semplicemente per restare umani, e vicari di Dio.


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