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Una via purifica una illumina una conduce a Dio (San.G.PaoloII)

«“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Gesu'

 
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FORUM 10 - MEDITERRANEO, IL MARE PLURALE

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2023 20:42
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Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
Sesso: Maschile
21/09/2023 20:42




«Il Mediterraneo è mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà̀, ma una serie di civiltà̀ accatastate le une sulle altre, insomma, un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere» (F.Braudel).
Il Mediterraneo è “un mare bello, diventato una tomba per uomini, donne e bambini”, come ha ricordato papa Francesco a Lesbo. Dal cuore delle grandi religioni e delle civiltà che vi si affacciano, la diversità e la capacità di essere plurali possono diventare un segreto di convivenza e di sviluppo umano per l’Europa, il Medio Oriente, l’Africa, il mondo.





Joan

Metropolita ortodosso, Albania
 biografia

 L'inevitabile processo di globalizzazione presenta diverse sfide per l'intera comunità umana e da queste sfide la nostra regione non può essere esclusa. In questo mondo globale, aumentano le influenze di diversi gruppi provenienti dall'estero, sia quelle positive che possono aiutare il dialogo e il rafforzamento dei valori, sia quelle negative che possono chiudere le comunità al loro interno, rendendo difficile il dialogo e frammentando la società e, quindi, indebolendo la pace, la convivenza e la comprensione reciproca. Siamo consapevoli che non possono esserci pace e stabilità in un Paese, se i Paesi vicini non hanno pace e stabilità. L'intera regione è influenzata l'una dall'altra.

Viviamo in una regione multireligiosa e, sebbene in forme diverse, tutti i paesi della regione affrontano le stesse grandi sfide. Dopo la caduta del comunismo, nel crollo istituzionale, economico e politico e nel grande vuoto morale e spirituale che ne è derivato, molte correnti estreme hanno trovato terreno fertile. Vari gruppi politici hanno cercato di sfruttare i sentimenti nazionali e religiosi per realizzare i loro obiettivi politici, creando così un grande vortice di odio, confusione e sofferenza. Inoltre, a volte hanno tentato di dare alle loro guerre un carattere religioso, sebbene non avessero nulla a che fare con la religione, volendo sfruttare le potenti emozioni che si innescano quando si crede che la propria religione sia in pericolo. Molte persone nei Balcani, ironicamente, hanno soprannominato queste guerre "le guerre di religione degli atei". La stessa cosa, sebbene in forma diversa, è avvenuta anche in alcuni altri paesi della grande regione del Mediterraneo: l'uso distorto della religione per raggiungere obiettivi politici. Pertanto, il ruolo della religione, dopo il fallimento di molte ideologie, ha assunto una priorità e le nostre comunità devono affrontare queste sfide e trovare soluzioni originali e creative, come parte della nostra responsabilità globale, per il bene dell'intera regione e oltre.

La società umana odierna si trova a un bivio e in una grande confusione spirituale in cui la manipolazione potrebbe rapidamente aver luogo. Grandi conflitti, sia tra individui che tra gruppi più ampi, scontri tra popoli e stati diversi possono rappresentare un grande pericolo per la pace. È importante che le credenze religiose siano chiaramente articolate contro la violenza e l'intolleranza. Tutte le comunità religiose sono chiamate ad essere più esplicite e a rafforzare il dialogo e la cooperazione, raggiungendo tutte le strade attraverso le quali può passare la propaganda estrema che incita all'odio e alle divisioni. La religione dovrebbe servire a promuovere e accrescere la pace e l'armonia come parte importante della propria predicazione. Dobbiamo predicare, con le parole e con i fatti, senza sosta, come le nostre religioni vedono la persona umana e quale atteggiamento dovrebbero assumere verso gli altri. Inoltre, queste non dovrebbero rimanere solo questioni riservate a circoli ristretti di teologi e a testi dogmatici, ma da diffondere ed essere assorbite da tutti i nostri credenti. La cooperazione interreligiosa, il dialogo e la comprensione sono necessari affinché la nostra regione mantenga la pace, la convivenza e la stabilità.

Poiché i rappresentanti delle altre comunità religiose della nostra regione mediterranea spiegheranno meglio di me la loro posizione sulla pace, sulla convivenza e su come considerano la persona umana, parlerò principalmente della posizione della Chiesa ortodossa.

Viviamo in un mondo dove non c'è pace, in un mondo di crudeltà e tumulti dove ingiustizie, povertà, conflitti e guerre stanno causando grandi sofferenze, distruzione e miseria, perché non c'è pace dove c'è il male, come dice il profeta Isaia (Is 48,22). È dovere di ogni cristiano tendere alla pace, perché la nostra pace personale si realizza nella pace di tutti e assume una dimensione comunitaria. Cristo è la nostra pace - scrive san Basilio il Grande - chi cerca la pace cerca Cristo..., senza un atteggiamento di pace verso tutti gli uomini, nessuno può essere chiamato vero servitore di Cristo.

A partire dall'antropologia cristiana, che Dio «creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini» (At 17,26), la Chiesa vede più profondamente l'unità umana e la necessità del dialogo e dell'amore tra gli uomini come indispensabili. Sebbene la Chiesa ortodossa non si sia attenuta a nessuna dottrina di guerra santa o giusta, deve essere sempre vigile e deve avere una voce più forte e chiara contro la guerra, soprattutto contro l'uso della religione nei conflitti e nelle guerre. Negli ultimi anni si sono levate molte voci contro l'uso della religione nei conflitti etnici. Una delle voci più forti è quella dell'arcivescovo Anastasios d'Albania, il cui motto è stato "l'olio della religione non deve mai essere usato per infiammare i conflitti ma per lenire i cuori e sanare le ferite". È diventata un'affermazione classica, non solo nella Chiesa ortodossa in tutto il mondo, ma anche in ambienti più ampi. Inoltre, la Dichiarazione interreligiosa del Bosforo afferma specificamente che "un crimine commesso in nome della religione è un crimine contro la religione".

Il cristianesimo rimane sempre positivo nei confronti di ogni persona, tenendo sempre presente che ogni persona è creata ad immagine di Dio e tutti gli esseri umani sono associati tra loro, perché l'origine divina di ogni persona non va mai perduta, anche se le sue concezioni religiose e le credenze sono sbagliate (si veda la parabola del samaritano, Lc 10, 25-37). Dobbiamo essere consapevoli che rispettando la dignità di ogni persona umana, non stiamo facendo loro un favore, perché questa dignità è stata data loro da Dio, ma stiamo aiutando di più noi stessi, perché solo così la nostra natura umana può essere soddisfatta. Senza illuminazione spirituale, senza valori religiosi, coltivati nei secoli, senza giustizia e perdono, senza amore e rispetto per ogni essere umano, chiunque esso sia, è difficile raggiungere la pace.

Un altro pericolo per la pace sociale, senza la quale non può esserci pace tra i popoli e gli Stati, è il grande divario tra ricchi e poveri. I paesi ricchi della nostra regione dovrebbero aiutare i poveri, perché senza ridurre il divario sociale ci saranno sempre rivolte e fioriranno l'estremismo e il populismo. Al giorno d'oggi, l'egoismo è un grande nemico della pace.

Dio ci ha benedetto con una bellissima regione, quindi tutti i nostri sforzi dovrebbero essere concentrati per impedire che la nostra regione si trasformi in una tomba, ma per trasformarla in una regione in cui prevalgono la pace, la comprensione e la convivenza, perché è così che adempiamo la volontà di Dio. Dobbiamo contrastare ogni forma di violenza e di persecuzione e, certamente, contrastare gli istigatori della guerra e dell'odio, perché l'odio non viene da Dio. «Dio non è il Dio della guerra», scrive san Giovanni Crisostomo. “Fare guerra è dichiararsi contro Dio oltre che contro il prossimo. Essere in pace con tutti gli uomini è ciò che Dio, che li salva, ci chiede. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Come dobbiamo imitare il Figlio di Dio? Cercando la pace e perseguendola”.

Tarek Mitri

Presidente dell'Università San Giorgio di Beirut, Libano
 biografia

Le nazioni che si trovano sul Mediterraneo sono diventate largamente plurali. Indipendentemente da come i loro governi gestiscono il pluralismo, all’interno delle società il dialogo e l’interazione nella vita quotidiana sono diventati inevitabili, anche se spesso fragili. Non si può ignorare il pervasivo risorgere del nazionalismo, del campanilismo e del populismo. Decisamente, le politiche identitarie sono spesso diventate una determinante fondamentale nelle relazioni all’interno e tra le nazioni. Nello sconcerto di molti credenti, la religione viene sempre più strumentalizzata nella mobilitazione politica, esagerando le paure o re-inventando il cosiddetto odio ancestrale tra le comunità. Nelle mie brevi considerazioni, tenterò di riflettere su come l’appartenenza alla regione mediterranea potrebbe tratteggiare politiche di leale vicinato. 

Certo, l’aspirazione a veder diventare il Mediterraneo un lago di pace, come Robert Schuman aveva propugnato, non è irreversibilmente in declino. Ma non ha suscitato una politica duratura e neppure un principio di speranza. Oggi, il Mediterraneo è un lago di fiamme, di sangue e di lacrime. Piuttosto che avvicinare le persone, sembra, agli occhi di molti, un mare di divisione. È vero che ci sono stati molti promettenti tentativi di dialogo e di cooperazione attraverso il Mediterraneo. Molti [di essi] parrebbero falliti. Si direbbe che siamo passati da partnership motivate dal bene comune a relazioni interstatali condizionate da considerazioni di sicurezza. 

Una delle primissime espressioni politiche della ricerca della pace nel Mediterraneo si è centrata sul perseguimento di una pace giusta e duratura in Medio Oriente. Nel 1980, il Consiglio Europeo ha adottato la dichiarazione di Venezia, che riconosceva i diritti del popolo palestinese come nazione e sosteneva un’equa sistemazione a livello regionale. Quindici anni più tardi, il Processo di Barcellona, insieme alla politica di vicinato, sperava di creare una zona euro-mediterranea di prosperità condivisa, oltre che di libero commercio. Ma la componente politica del processo non è stata in grado di dar vita a nuove realtà. 

Al contrario, c’è stata una chiusura delle frontiere, sia reali che immaginarie, nel periodo successivo all’11 settembre 2001. Agli occhi di molti, il Mediterraneo non era più considerato uno spazio in cui le divergenze potevano essere appianate. Esso separava i Paesi e le persone piuttosto che avvicinarli di più l’un l’altro. I problemi dell’immigrazione e del terrorismo hanno diviso ancor più le due sponde. Le questioni della sicurezza sono risultate dominanti e non sono state affrontate in una logica di autentica partnership. 

Oggi, ci troviamo di fronte a un doppio fallimento. Da una parte, le nazioni arabe hanno fallito la transizione democratica che le rivolte del 2011 avevano fatto sperare. Dall’altra, le nazioni europee non sono riuscite ad influenzare favorevolmente quella stessa transizione e si sono ritratte in un atteggiamento difensivo contro le ripercussioni della violenza e il flusso di rifugiati. Ci siamo allontanati da una cultura di cooperazione tra vicini, di reciproca utilità e, cosa più importante, basata su valori condivisi, in direzione di un maggior ripiegamento, provincialismo e chiusura mentale. La paura del terrorismo e le strategie dell’anti-terrorismo hanno aggravato la crisi dei rifugiati e il molto paventato e mal gestito problema dei rifugiati. Tali problemi hanno messo in ombra gli scambi e l’amicizia. Non possiamo sottovalutare lo sviluppo del nesso migrazioni-sicurezza. Il terrorismo ha provocato l’inserimento delle questioni legate all’immigrazione nell’agenda dell’anti-terrorismo.

L’Europa sta affrontando un numero record di migranti, di richiedenti asilo e di rifugiati. Ciò ha innescato più gravi difficoltà nella gestione di questi flussi, testimoniate dalla detenzione in massa dei nuovi arrivati, dalla mancanza di organizzazione e risorse nei campi profughi, dai negoziati bilaterali con le nazioni di transito, dall’incremento delle reti di traffico di esseri umani e dalla mancanza di solidarietà. 

Più in generale, la politica identitaria ha cessato di essere un indicatore delle società tradizionali del Sud, essa sta vieppiù attaccando le fondamenta stesse delle democrazie basate sulla cittadinanza e sullo stato di diritto. La determinazione ad incoraggiare partecipazione ed inclusione si è seriamente ridotta. 

Non c’è un modello universale da emulare, caso dovessimo vivere insieme in pace al di sopra delle linee di divisione. Le storie specifiche delle nostre nazioni determinano le molte e differenti condizioni dell’armonia intercomunitaria. In sé, i sistemi politici non costituiscono garanzie. Oggi, le culture politiche e le strategie di mobilitazione mettono a rischio le nostre capacità di attingere alle ricchezze del pluralismo.  

Credo che ci sia un certo numero di questioni che determinano il futuro della convivenza. La pace in Medio Oriente, o la sua mancanza, non possono essere lasciate al cosiddetto “accordo del secolo” [il piano Trump per la Palestina, NdT]. L’Europa non può rinunciare al suo ruolo, per quanto sia difficile, per porre fine alla perdurante politica di colonizzazione ed annessione. 

Le relazioni euro-mediterranee risultano gravemente danneggiate, se si focalizzano, in maniera esagerata, sul contrasto al terrorismo e sulla protezione delle frontiere contro un maggior numero di rifugiati. Hanno bisogno di recuperare un’utopia, non nel senso di un sogno impossibile ma come un principio di speranza, di ricostruzione del vicinato sulla base di valori condivisi. È vero che i valori condivisi non sono dati una volta per tutte, la loro riscoperta e ricognizione è un processo, creativo e talvolta arduo. 

A questo riguardo, le persone di fede hanno un ruolo impareggiabile nel ristabilimento del primato dell’etica universale sull’affermazione dell’identità. Papa Francesco continua a ricordarci questo imperativo. Più in particolare, ci ricorda che i rifugiati sono in pericolo piuttosto che essere, di per sé, un pericolo. Egli critica energicamente la tendenza a creare un maggior isolamento in nome della sovranità, col rischio di bloccare i coraggiosi sogni dei fondatori dell’Europa.

La metafora del giardino e della giungla (Borrell)  mi ha fatto pensare ad un’altra metafora: quella dell’ulivo. Esso è stato associato alle affinità e agli scambi attraverso il Mediterraneo. Fernand Braudel ha detto: laddove l’ulivo si ritira finisce il Mediterraneo. Ma c’è anche un significato simbolico, e oserei dire spirituale, della metafora dell’ulivo. Nelle Scritture, l’ulivo è correlato alla luce. Nelle parole del profeta Zaccaria e nel libro dell’Apocalisse, leggiamo di alberi di ulivo e di candelabri. Nella Sura della Luce del Corano, l’ulivo non è né orientale nè occidentale, il suo olio è come illuminante, sebbene non toccato dal fuoco.

Possano i nostri ulivi, qui e laggiù, fiorire di grazia.

David Rosen

Rabbino, consigliere speciale della Casa della Famiglia Abramitica (AFH) di Abu Dhabi, Israele
 biografia

Le sfide di coesistenza nel Mediterraneo oggi variano a seconda del contesto.  Nel Mediterraneo settentrionale, principalmente le comunità musulmane di migranti devono competere con la nuova realtà di vita in una società secolare, oppure in una che è molto cristiana, (anche se ciò in termini di credo e pratica oggi molto spesso significa poco) mentre nel Mediterraneo meridionale la sfida della coesistenza riguarda essenzialmente i non-musulmani che vivono in territori musulmani.

Ciò che hanno in comune è naturalmente la sfida, che poi riguarda le società dell’intero pianeta, di superare le percezioni autoreferenziali e ad excludendum, oltre a una certa bigotteria nei confronti di coloro che non sono membri della propria comunità.

Mi sembra (anzi) che vi siano due sfide principali, la prima delle quali è vivere, incarnare autenticamente lo spirito dell’uomo che sia l’Islam che il Cristianesimo considerano il proprio comune antenato, Abramo, o Ibrahim.

Nelle nostre tradizioni Abramo è presentato come l’incarnazione dell’ospitalità. In Genesi, capitolo 18, Abramo è presentato seduto all’ingresso della propria tenda, pronto a offrire ospitalità a qualsiasi viandante.  Anzi secondo la tradizione ebraica, la tenda di Abramo aveva sempre i lembi sollevati su tutti e quattro i lati durante il giorno, così che nessun viandante passasse senza essere invitato a godere dell’ospitalità (di Abramo).

Nel racconto biblico, vede tre uomini, (che in seguito scopre essere messaggeri Divini) e si affretta a offrire loro un ristoro.

Il primo di questi messaggeri gli annuncia l’imminente nascita del figlio ed erede, gli altri due si recano a Sodoma per salvare Lot e la sua famiglia dall’imminente distruzione che Sodoma e dintorni avevano causato a se stessi per la loro malvagità ed empietà. Il capitolo 19 inizia con “ e i due angeli arrivarono a Sodoma.”

A un esperto studioso hasidico (oppure chassidico, cioè ebreo ortodosso) è stato chiesto perché nel capitolo 19 ci si riferisce ai messaggeri come “angeli” mentre per Abramo sono soltanto “uomini.”  Ha risposto che ad Abramo non era necessario dire che si trattava di angeli, perché Abramo vedeva un angelo in ogni persona.

Questa mi sembra la più grande sfida di coesistenza specialmente in un momento storico di recessione economica e instabilità politica – cioè essere capaci di vedere ogni persona nella società come qualcuno creato a immagine e somiglianza di Dio e rispettarne la dignità e individualità.

Tuttavia c’è pure la sfida di assicurare che le nostre tradizioni teologiche lascino e facciano spazio ad altre. Questa forse è una sfida minore nei contesi in cui la religione non si pratica, che è l’ethos, il costume dominante.  Ma dove la religione è il principale e più importante fattore culturale che determina e informa il comportamento della gente, assicurare che la dignità di ciascun individuo sia rispettata, anche e soprattutto quando non appartiene alla cultura dominante, è essenziale, è il fattore chiave per garantire una coesistenza pacifica, positiva e creativa.

A tal riguardo un significativo numero di iniziative sono emerse nel mondo musulmano negli ultime anni e ritengo di dover fare una speciale menzione dell’opera di Sheik Abdullah Bin Bayyah e del Forum per la Promozione della Pace con base ad Abu Dhabi.

Due documenti di particolare rilevanza sono stati pubblicati da questo Forum.  Uno è la DICHIARAZIONE DI MARRAKESH pubblicata nel 2016 in occasione della Conferenza di Marrakech e sotto il patronato del re Mohamed VI del Marocco, basata sulla Costituzione di Medina del profeta Mohammad. Il secondo è la Nuova Alleanza di Virtù Condivise promulgata alla fine del 2019. Entrambi i documenti sono radicati nella tradizione islamica e affermano i valori più inclusivi ed estesi di cittadinanza per i non-musulmani nei territori musulmani e intendono, estendendo e garantendo ai non musulmani gli stessi diritti umani dei musulmani.  Questi documenti e questa visione illuminata e istruita è di cruciale importanza.

Comunque, in fondo il vero multiculturalismo positivo e creativo richiede quell’essenziale incontro umano, tra uomini, che l’ospitalità di Abramo incarna.

Vorrei concludere con due versi. Il primo viene dalla Bibbia Ebraica ed è del profeta Malachia che profetizza un tempo di armoniosa convivenza in cui “coloro che hanno adorato il Signore si sono parlati, han parlato l’uno con l’altro e il Signore li ha sentiti e ascoltati e ha scritto i loro nomi in un libro che tiene dinanzi a sé, i nomi di coloro che lo hanno adorato e hanno venerato il Suo nome.”

L’altra citazione è del Corano

“O genere umano, vi abbiamo creato da una sola coppia e moltiplicato in tribù e nazioni, per far conoscere gli uni agli altri.”

Riguardo al profeta Malachia perché è tanto importante parlare l’uno con l’altro da far sì che il Signore annoti i nomi di coloro che lo fanno in un libro speciale?

E riguardo al verso del Corano, potremmo chiederci, perché è così importante conoscersi reciprocamente?

La risposta naturalmente è che se non ci conosciamo, cadiamo vittime di qualsiasi tipo di pregiudizio negativo e perfino di ostilità. Per vivere in pace e armonia gli uni con gli altri è necessario conoscerci.  Similmente, quando non ci parliamo, diventiamo vulnerabili a ogni tipo di incomprensione e percezione erronea. Il vero dialogo, che significa parlare con l’altro, non all’altro, ci rende capaci di conoscerci e comprenderci reciprocamente.

Il Mediterraneo ci pone di fronte a una sfida e a un’opportunità uniche: essere in grado di vivere e incarnare questi valori e ideali che accomunano in modo tanto particolare le nostre religioni, patrimonio di questa parte del mondo.




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