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FORUM 2 - LA GRANDE OCCASIONE: MIGRAZIONI E FUTURO

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2023 20:46
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Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
Sesso: Maschile
15/09/2023 20:41



Fabio Baggio

Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Santa Sede
 biografia

LA GRANDE OCCASIONE: MIGRAZIONI E FUTURO
P. Fabio Baggio C.S.,
Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale
Ringrazio gli organizzatori per l’invito ad intervenire in questo forum oggi. Mi onoro
di rappresentare qui il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che,
dalla sua creazione nel 2017, ha il mandato di assistere il Santo Padre e tutti i vescovi
del mondo nella promozione dello sviluppo umano integrale. Rientra in questo
mandato anche l'interlocuzione con i vari attori sociali che, a vario titolo, sono
impegnati nella difesa dei diritti e della dignità di tutti gli abitanti delle periferie
esistenziali, tra i quali ci sono molti migranti e rifugiati.
L’ascolto come metodo
All’interno del nostro Dicastero, Papa Francesco ha voluto istituire e dirigere
personalmente, la Sezione Migranti e Rifugiati (M&R), un piccolo ufficio che aiuta la
Chiesa Cattolica nel mondo ad accompagnare coloro che sono costretti a fuggire e
assicurarsi che non vengano esclusi o lasciati indietro e possano invece partecipare
alla crescita comune. Dietro indicazione precisa del Santo Padre, la Sezione M&R si è
messa in ascolto delle Chiese locali, delle organizzazioni cattoliche e delle
congregazioni religiose che si misurano con i fenomeni migratori nei paesi di origine,
transito e destinazione. Ne ha raccolto le difficoltà, le sfide e soprattutto le buone
pratiche con l’intenzione di offrire ausilio a tutti gli operatori sopra citati,
amplificandone la voce e fornendo maggiore visibilità a quelle risposte concrete che
sono state già messe in essere localmente. Senza ambire a restituire la ricchezza delle
riflessioni raccolte, desidero accennare brevemente a tre punti del magistero del
Santo Padre che ritengo particolarmente rilevanti ai fini del tema di questa tavola
rotonda. Si tratta di tre indicazioni magisteriali che hanno raccolto ampio consenso
nella Chiesa, pur nella diversità degli approcci e delle sensibilità particolari.
La prima indicazione è un invito a spostare l’attenzione dalle “migrazioni” ai
“migranti”, ossia da un fenomeno anonimo alle persone che migrano. La tentazione
della semplificazione e della relativa riduzione a fenomeno anonimo ci distrae dal
riconoscimento dell’altro, della persona migrante, come soggetto portatore della
dignità umana intrinseca in ogni fratello e sorella. Nella Fratelli Tutti Papa Francesco
suggerisce quattro passi necessari. Il primo è “riconoscere” un fratello o una sorella
Sezione Migranti e Rifugiati | Sviluppo Umano Integrale | Palazzo San Calisto | 00120 Città del Vaticano
Tel. +39 06 698 87376 | info@migrants-refugees.va | www.migrants-refugees.va
1
in difficoltà. Ma per riconoscerli bisogna innanzitutto “accorgersi” della loro
presenza, dare un nome, ascoltare una storia. Il secondo passo è “provare
compassione”. A questo proposito, il Santo Padre sottolinea che «Vivere indifferenti
davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno
rimanga “ai margini della vita”. Questo ci deve indignare, fino a farci scendere dalla
nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana» (Ft 68). Il terzo passo è
“farsi prossimi”. Il Santo Padre evidenzia come il samaritano sia stato «colui che si è
fatto prossimo del giudeo ferito. Per rendersi vicino e presente, ha attraversato tutte
le barriere culturali e storiche” (FT, 81). Il quarto passo è prendersi cura. Nella visita
a Lampedusa del 2013 Papa Francesco richiamava questa responsabilità comune:
«”Dov’è il tuo fratello?”, la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa
non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di
noi.»1
La seconda indicazione del Santo Padre è l’incoraggiamento a formulare politiche
lungimiranti per uscire dall’emergenzialità. Esiste anche qui la tentazione della
semplificazione, il rischio di non riconoscere la complessità della mobilità umana
nello scenario globale. La lettura meramente emergenziale del fenomeno migratorio
non aiuta la ricerca e l'elaborazione di soluzioni sostenibili non solo per i migranti,
ma anche per le comunità locali nei paesi di transito e destinazione. Occorre invece
farsi promotori di politiche migratorie lungimiranti e giuste. E lo stesso pontefice
chiarisce che «Politica giusta è quella che si pone al servizio della persona, di tutte le
persone interessate; che prevede soluzioni adatte a garantire la sicurezza, il rispetto
dei diritti e della dignità di tutti; che sa guardare al bene del proprio Paese tenendo
conto di quello degli altri Paesi, in un mondo sempre più interconnesso» Va
2
comunque ricordato che assieme al diritto di emigrare - e prima di questo - deve
essere garantito il diritto a non dover migrare. In tal senso la comunità
internazionale è chiamata ad impegnarsi, assieme a tutti gli altri attori, affinché
sussista per tutti e ciascuno la possibilità di realizzare il proprio sviluppo integrale
nel proprio paese di origine. Non sfuggirà che il primo requisito per realizzare
questa condizione è assicurare la pace, che è premessa di ogni prosperità.
Papa Francesco offre una terza indicazione, spronando tutti e tutte a diffondere la
cultura dell’incontro in contrapposizione a quella dello scarto. L’arrivo e la presenza
di tanti migranti e rifugiati e le diverse reazioni delle comunità che li accolgono ci
permettono di esemplificare la pericolosità della cultura della scarto, alla quale il
Santo Padre oppone perentoriamente, come antidoto, la cultura dell’incontro. La
cultura dello scarto trova facile applicazione nei processi migratori, lì dove, a causa
delle innegabili diversità, diventa più semplice distinguere tra “noi” e gli “altri”,
giustificandone l’esclusione. Per salvare l’umanità e i suoi ideali, perché questa possa
2 Francesco, Omelia, 6 luglio 2018.
1 Francesco, Omelia, 8 luglio 2013.
2
realizzare il progetto creativo di Dio, Papa Francesco invita tutti a promuovere la
cultura dell’incontro. L’incontro cui si riferisce il Santo Padre non è casuale o
estemporaneo, ma è uno stile di vita, che è fortemente voluto perché appassiona, un
impegno costante a «cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che
coinvolga tutti» (FT, 216). Si tratta di un incontro che fa crescere in umanità tutte le
persone coinvolte.
Costruire il futuro con i migranti e rifugiati
Nei momenti di maggiore crisi, come quelli causati dalla pandemia e dalle guerre a
cui stiamo assistendo, nazionalismi chiusi e aggressivi (FT, 11) e l’individualismo
radicale (FT, 105) spaccano e dividono il noi, sia nel mondo che all’interno della
Chiesa. Il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare ‘gli
altri’: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, coloro che abitano le periferie
esistenziali.
3
Richiamando il tema scelto da Papa Francesco per la 108a Giornata Mondiale del
Migrante e del Rifugiato e parafrasando quello scelto per questo forum, mi sembra
di poter dire che la nostra grande occasione, a beneficio delle nostre società di oggi e
di domani, è quella di costruire il futuro con i migranti e i rifugiati. Come ci insegna
il Santo Padre, il futuro va costruito “con” i migranti e i rifugiati, così come con tutti
gli abitanti delle periferie esistenziali, con gli scartati e gli emarginati, affinché
nessuno rimanga escluso. In una prospettiva squisitamente cristiana, questa
inclusione è conditio sine qua non per la costruzione di un futuro che assomigli sempre
più di al Regno di Dio, perché «senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole.»4
Ma “costruire con” significa anche riconoscere e promuovere il contributo dei
migranti e dei rifugiati a tale opera di costruzione, perché solo così si potrà edificare
un mondo che assicuri le condizioni per lo sviluppo umano integrale di tutti e tutte.5
Secondo il Santo Padre, costruire il futuro è un imperativo che si declina in prima
persona plurale. E’ un dovere e un impegno di tutti e tutte che deve cominciare da
subito «Perché il futuro comincia oggi e comincia da ciascuno di noi.»6
Vorrei concludere questo breve intervento con una provocazione di Papa Francesco,
che sempre ci interpella a livello personale, stimolando un lavoro di riflessione sul
nostro operato.
Fratelli e sorelle, verifichiamo se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi
dove lavoriamo e che ogni giorno frequentiamo, siamo capaci di camminare insieme
agli altri, siamo capaci di ascoltare, di superare la tentazione di barricarci nella nostra
6
Ibidem.
5 Cfr. Ibidem.
4 Francesco, Messaggio per la 108ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 25 settembre 2022.
3 Francesco, Prefazione, in Sezione Migranti e Rifugiati, Orientamenti per la Pastorale Migratoria
Interculturale, Città del Vaticano 2022.
3
autoreferenzialità e di pensare solo ai nostri bisogni. [Questo camminare insieme] è
anche la vocazione della Chiesa. Chiediamoci quanto siamo davvero comunità aperte
e inclusive verso tutti; [...] se abbiamo un atteggiamento accogliente – non solo con le
parole ma con gesti concreti – verso chi è lontano e verso tutti coloro che si
avvicinano a noi, sentendosi inadeguati a causa dei loro travagliati percorsi di vita. Li
facciamo sentire parte della comunità oppure li escludiamo?


Valentina Brinis

Open Arms, Italia
 biografia

Buongiorno e grazie dell’invito a nome di Open Arms, l’organizzazione che qui rappresento. 

Open Arms nasce nel 2015 da un’azienda che si occupa di offrire soccorso sulle spiagge catalane. In quell’anno, il nostro fondatore, Oscar Camps, rimase folgorato dall’immagine del corpo privo di vita, riverso su una spiaggia turca, del piccolo Alan Kurdi in fuga dalla Siria insieme alla sua famiglia. Come loro, migliaia di persone siriane si erano messe in fuga in seguito alla proclamazione dello “Stato islamico” nella seconda metà del 2014, entrando in Turchia, Libano e Giordania. Di lì a poco anche gli iracheni cominciarono il proprio esodo. Una delle rotte più battute in quel periodo per arrivare in Europa era quella marittima: attraverso la Turchia, le persone raggiungevano le isole greche più vicine, tra cui Coo, Lesbo, Samo e Chio. 

Alla fine di quell’anno si conteranno, lungo quella frontiera, oltre 800.000 arrivi via mare.

La foto di Alan Kurdi fece il giro del mondo fino a divenire uno dei simboli di quanto stava accadendo, senza che l’Europa provvedesse a garantire il diritto di protezione di chi si era messo in fuga da Paesi in cui non poteva più vivere. 

 

I soccorritori di quella che sarebbe diventata la Open Arms, decisero, proprio di fronte a quella morte, di andare a vedere cosa stava succedendo, con l’intento di mettere a disposizione le loro conoscenze e capacità pratiche in ambito di soccorso marittimo. 

Lo scenario che si trovarono di fronte fu a tal punto drammatico da convincerli a rimanere nell’isola di Lesbo per diversi mesi e fondare la Open Arms. A partire da qui, negli anni, sono state coinvolte centinaia di volontarie e volontari da tutto il mondo, che hanno contribuito a trarre in salvo oltre 65 mila persone: quindicimila solo nei primi mesi. 

Questa esperienza è emblematica perché dimostra come in ambito umanitario la preparazione e la conoscenza di un argomento permettano di affinare un intervento in grado di salvare sia la vita propria che quella altrui. 

 

Oggi Open Arms opera nel Mediterraneo Centrale e attraverso ogni missione, ribadisce il significato del soccorso: ovvero che non è solo un diritto ma è anche un dovere. Le più antiche leggi marinare, come raccontano i comandanti delle navi, prevedono che chiunque si trovi in difficoltà in mare vada aiutato senza che ai naufraghi vengano poste domande sulla loro provenienza o destinazione. Il contrario, ovvero il mancato intervento, si configura come un’omissione di soccorso in capo a chi quel gesto non lo ha compiuto. Su questo semplice assunto, ricco di una storia centenaria, si basa l’intera legislazione sul diritto del mare, in cui il ruolo del comandante e quello degli Stati si rivelano centrali nel valutare la situazione di pericolo e prendere decisioni rispetto alla modalità di intervento. 

 

A oggi, però, sono ancora migliaia le persone che ogni anno perdono la propria vita nel tentativo di raggiungere l’altra sponda del Mediterraneo chiedendo di essere protette. 

Dal 2017 a oggi, a fronte di 680 mila persone arrivate in Europa attraverso il  Mediterraneo, circa il 2 per cento è morta o scomparsa. Una cifra che corrisponde a 12 mila persone, 12 mila biografie, 12 mila famiglie che attendono di ricevere notizie. E questo numero raddoppia se si considera il periodo di tempo che va dal 2014 a oggi. 

A ciò bisogna aggiungere il fatto che, anche chi riesce a raggiungere l’Europa, racconta di aver subito indicibili violazioni dei diritti umani - su una scala probabilmente più alta e più grave delle stime già allarmanti. Si tratta di una tragedia documentata, di lunga durata e ampiamente trascurata.

Nel 2013 il terribile naufragio che il 3 ottobre ha causato la morte di oltre trecento persone, ha dato avvio a un percorso che ha portato all'istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione e così ogni anno si ricorda chi è partito senza alcuna certezza di sapere cosa avrebbe trovato davanti a sé. 

Chi, come molti di noi qui presenti, segue, commenta e si occupa di questi argomenti lo fa anche per poter continuare a raccontare quanto ha visto e quanto vede, per estrarre da quel buco nero che è la narrazione di massa ogni singola biografia e ridarle dignità. 

Sappiamo quanto ciò sia difficile e quanto la rimozione sia una facile scorciatoia per non affrontare problemi difficili anche per il nostro Paese. Un Paese, il nostro, che purtroppo non è stato capace di fare della vicenda di emigrazione di quaranta milioni di italiani un positivo fattore dell’identità collettiva e dell’immaginario condiviso . Un Paese che, di conseguenza, ha difficoltà a riconoscere nei volti e nelle sofferenze di chi sbarca sulle nostre coste i volti e le sofferenze dei nostri nonni. E così, come accade anche per altri aspetti dell’immigrazione, si rischia anche di volersi “liberare” in fretta di un’esperienza importante e di un ricordo positivo quale potrebbe essere il soccorso prestato in un anno ai 135.000 migranti salvati dall’operazione Mare nostrum. Il nostro paese, ad oggi, non è stato capace di dare valore a quella straordinaria operazione di soccorso prestato a persone in pericolo di vita, operazione che avrebbe meritato continuità, dignità, che avrebbe meritato orgoglio. Un orgoglio per quanto il nostro Paese e la nostra Europa hanno potuto, e potrebbero ancora fare, un orgoglio capace di trovarci più cosmopoliti, più europeisti, più patriottici. Oggi invece la mano che abbiamo teso al prossimo sembra meritare addirittura vergogna, ne abbiamo dimenticato il valore.

 

In quanto esseri umani abbiamo il dovere di raccontare cosa continua ad accadere nel Mediterraneo centrale, poiché, a rifletterci bene, la pulsione etica che ha animato in questi due anni i medici dei nostri ospedali, assediati dal Coronavirus, è la medesima pulsione dei soccorritori che si trovano in mare. E la sola ipotesi, che spesso viene paventata, di una specie di classifica dei morti dovrebbe far rabbrividire. 

 

Noi, insieme ad altre organizzazioni impegnate nel soccorso in mare, negli anni abbiamo chiesto con forza a chi si occupa di formulare le politiche in materia di gestione dei flussi che queste siano elaborate sulla base di dati verificati e coerenti e non adottando la strategia delle emozioni. 

E’ per noi importante che sia promossa una missione di soccorso europea nel Mediterraneo a tutela del diritto alla vita e nel rispetto degli obblighi internazionali;

-  che vengano revocati gli accordi con la Libia e il finanziamento della cosiddetta Guardia costiera libica;

-  che siano impostate delle politiche in materia di immigrazione che vadano nella direzione dell’accoglienza, dell’integrazione, del riconoscimento della diversità come un valore e, ancor prima, della promozione e della tutela dei diritti umani fondamentali;

-  che siano promosse le vie di accesso legali e sicure per chi è in cerca di un futuro più dignitoso, a cui non è data altra possibilità che percorrere rotte migratorie pericolose e irregolari per arrivare in Europa. Un esempio sostenibile e replicabile sono sicuramente i corridoi umanitari a cui si dedica da anni la Comunità di Sant’Egidio ai quali abbiamo, come Open Arms, avuto l’onore di collaborare nei mesi scorsi. 

 

E infine, quello che ci auguriamo e che chiediamo è l’attuazione di una politica di gestione delle frontiere che sia davvero orientata alla salvaguardia della vita umana.

Daniela Pompei

Comunità di Sant’Egidio, Italia
 biografia

La Comunità di Sant’Egidio parla di migrazione come chance, come opportunità -come grande occasione appunto - dal 1986. Nel volume stranieri nostri fratelli verso una società multirazziale, libro pubblicato nel 1989, ma che portava a maturazione una riflessione che si andava facendo da qualche anno, Andrea Riccardi affermava: “l’immigrazione è una chance, molto più di quanto non sia un pericolo. Anche gli operatori economici in un realismo piuttosto crudo se ne vanno accorgendo (…) Nel quadro dell’invecchiamento della popolazione italiana (oggi diremmo europea) rappresenta una chance indubitabile”. Questa lucida riflessione è del 1989. 

E oggi? nel 2022? È possibile riproporre lo stesso ragionamento?

Da notare che, oggi come ieri, i più consapevoli sostenitori della migrazione come opportunità siano proprio gli imprenditori, gli economisti e i demografi. Azzardo: talvolta più consapevoli e più convinti del mondo dell’associazionismo. Periodicamente, è proprio il mondo economico e imprenditoriale a lanciare allarmi sul bisogno di lavoratori. Per alcuni settori, penso a quello turistico, dell’agroalimentare, del trasporto, così come nel settore sanitario e di cura alle persone, si potrebbe parlare di “Fame di immigrazione” perché i lavoratori non ci sono.

Un recente rapporto della Banca Mondiale ha valutato le conseguenze della pandemia traendo delle indicazioni importanti sulle future politiche migratorie nella regione del Mediterraneo. La Banca Mondiale esorta “i paesi del Nord e del Sud del Mediterraneo a mettere in campo dei sistemi di migrazione più resilienti per resistere meglio agli shock futuri, (..) e, in modo sorprendente sottolinea la Banca Mondiale - il bisogno urgente di politiche più progressiste(,…) di rinforzare la cooperazione tra paesi del Nord e del Sud  e di costruire dei sistemi migratori che guardano al futuro, che favoriscano una integrazione economica per affrontare  delle nuove crisi” . Si pensi alla sfida dell’emergenza ecologica.

Eurostat ha previsto che per impedire un calo cospicuo delle persone in età da lavoro, l’Italia dovrebbe avere più di 200 mila nuovi migranti l’anno. 

La penuria di manodopera tocca anche la Francia, la Spagna e i paesi del Nord Europa, Germania e Gran Bretagna.

In questo quadro si comprende la recente dichiarazione del presidente  Macron ai prefetti francesi. Annunciando una nuova proposta di legge sull’asilo e sull’immigrazione, il presidente francese ha dichiarato: “la nostra politica oggi è assurda” e “Dobbiamo integrare più rapidamente e meglio coloro che hanno anche solo un titolo provvisorio attraverso la lingua e il lavoro”. Macron ha poi auspicato una migliore distribuzione degli stranieri accolti sul territorio, soprattutto nelle “aree rurali, che stanno perdendo popolazione”. 

Per inciso, ricordo che la Francia non ha i problemi di denatalità che ha invece l’Italia. Al 1°gennaio 2022, secondo i primi dati provvisori, la popolazione residente in Italia scende a 58 milioni e 983 mila unità, cioè 1 milione e 363 mila individui in meno nell’arco di 8 anni. 

Ammetto di essere colpita e preoccupata da alcuni dati riferiti all’Italia che evidenziano come i nostri giovani, siano essi italiani o stranieri, vedano il loro futuro fuori dal nostro paese. Il rapporto Istat 2022 ci dice che tra i giovani stranieri sotto i 18 anni il 59% sogna un futuro in altri paesi europei, insieme al 42% dei loro coetanei italiani il loro desiderio è di andare negli Stati Uniti, Regno Unito, Germania. (sono queste le mete più gettonate). E sono le ragazze straniere a voler vivere più spesso il proprio futuro all’estero. 

Del resto per gli studenti stranieri, anche per i nuovi cittadini, il percorso scolastico è spesso più difficile, risultando più svantaggiati dei nativi rispetto al rendimento scolastico, alle ripetenze e agli abbandoni. Questi giovanissimi non vengono sostenuti nel percorso scolastico per l’apprendimento della lingua, nel sostegno e l’accompagnamento nella conoscenza del sistema scolastico, si pensi ai ricongiungimenti famigliari degli adolescenti. 

Per la prima volta dal 1983 nell’anno scolastico 2020/2021 si è registrata una diminuzione del numero degli alunni stranieri, il calo non riguarda evidentemente solo gli alunni stranieri ma anche gli alunni italiani, il dato è comunque significativo perché si sta invertendo una tendenza che resisteva da poco meno di 30 anni. 

L’Italia è sempre meno attrattiva e le famiglie di migranti non vi rimangono.  Questo è un serio problema e richiama l’urgenza di politiche che potenzino efficacemente le opportunità da offrire ai giovani ragazzi stranieri per non perdere il potenziale prezioso che essi rappresentano.

Qui si pone con urgenza la domanda su quali politiche di integrazione siano necessarie per permettere ai nuovi cittadini europei di desiderare di fermarsi e costruire il loro futuro con noi. Un elenco non esaustivo degli obiettivi e delle azioni più urgenti: 

-  Facilitazione e semplificazione del riconoscimento dei titoli di studio, in particolare quelli relativi alle professioni sanitarie. Quante infermiere latinoamericane, ucraine, indiane  impiegano anni e non sempre riescono a farsi riconoscere il loro titolo;

-  Erogazione di borse di studio consistenti per l’adeguamento professionale;

-  Stanziamento di  fondi per l’apprendimento della lingua italiana;

-  Formazione professionale per i giovani adulti;

-  Investimento  sull’istruzione, dalla scuola materna all’università;

-  Semplificazione delle procedure amministrative per garantire un accesso rapido all’ingresso nei paesi europei e al sistema sociosanitario;  

Se il percorso di ingresso e inserimento è accompagnato e sostenuto, i  migranti sono veramente una grande chance per le nostre società, da non farsi sfuggire, diventano dei veri patrioti. Penso alle storie positive degli ormai tanti  giunti in Italia e in alcuni paesi europei con i corridoi umanitari. 

Partecipare a pieno titolo alla nostra comunità, contribuire a renderla migliore, questa è l’aspirazione di tanti giovani che arrivano da paesi e storie dolorosissime. Questo è il loro desiderio appena giungono nei nostri paesi ed è nostro interesse non deludere questo desiderio.  Anna è una donna siriana venuta in Italia con i corridoi umanitari, nel 2020, fa la badante di una signora anziana,  e ha le idee chiare sul suo contributo all’Italia in cui ora vive. Così risponde in una intervista: «Non siamo qui per mangiare e per dormire, siamo qui per studiare, lavorare e collaborare. Vogliamo partecipare alla comunità che ci ha accolti». Ma è proprio di questo che abbiamo bisogno.

È nota la parabola di Gesù che racconta di un uomo che sulla strada da Gerusalemme a Gerico viene aggredito dai briganti, che gli tolgono tutto e lo lasciano mezzo morto lungo la strada.  Di volta in volta gli studiosi hanno cercato di dare un nome ai briganti e un volto all’uomo mezzo morto. Ma certo è che la pandemia, le guerre, le catastrofi ambientali stanno colpendo le nostre società come i briganti della parabola evangelica e tutti in un certo senso potremmo essere su quella strada: colpiti, impoveriti, feriti, privati della speranza e impotenti.

Ho iniziato citando il volume Stranieri nostri fratelli e termino con una riflessione presa dallo stesso volume. Jaques Dupont, è stato un grande teologo e amico caro della Comunità di Sant’Egidio, e proponeva nel 1989 una riflessione validissima anche oggi sullo straniero e i vangeli di Gesù. E a proposito della parabola evangelica del buon samaritano Dupont osservava che quell’uomo aggredito dai briganti, e in fin di vita non è uno straniero. Gesù  ci dice che il samaritano è colui che aiuta, che ha avuto compassione; ed è Gesù stesso cioè un samaritano, uno straniero considerato odioso. “Egli ha voluto fare di un samaritano (di uno straniero) il modello del comportamento esemplare (…)  - conclude Dupont. In questo modo il rifiuto di ogni frontiera mi pare diventi più forte.”

La grande occasione rappresentata dalla presenza di persone immigrate non è solo quella di braccia che con il loro lavoro migliorino il nostro PIL, o di giovani che rendano meno rigido l’inverno demografico dei paesi europei, o di contribuenti che pagando le tasse possano garantirci ancora per un po’ di tempo il nostro alto tenore di vita. Tutto questo è vero e non è poco, ma la chance, l’opportunità offerta dalla presenza dei cittadini stranieri nei nostri paesi è molto più di tutto questo. È la Grande Occasione oggi non più rinviabile di riconoscere che non ci si può salvare da soli. Papa Francesco in piena pandemia così pregava a Piazza San Pietro: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme…. tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti“  Grazie


[Modificato da MARIOCAPALBO 15/09/2023 20:46]
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