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Forum 3 - Democrazie in bilico: sfide e prospettive nel mondo contemporaneo

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2023 20:19
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13/09/2023 20:04



 

Jean-Dominique Durand

Storico, Presidente dell'Amicizia Ebraicop Cristiana di Francia
 biografia
La democrazia, in quanto forma di governo politico e sociale in grado di garantire al popolo la facoltà di esprimersi per scegliere le proprie modalità di governo, il rispetto dei diritti umani fondamentali, le libertà di movimento e di espressione, l’uguaglianza per tutti, resta un ideale fragile. L'antica democrazia ateniese è spesso evocata (ma può realmente una società schiavista definirsi democratica?); alcuni testi fondamentali elaborati a partire dall’avvento dell’era moderna: il Bill of Rights in Inghilterra nel 1676, la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti nel 1787, la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino in Francia nel 1789, le costituzioni liberali dei diversi stati nel XIX secolo, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. La democrazia fondata su un parlamento liberamente eletto, che va a costituire lo stato di diritto, era divenuto il modello con la vittoria sul nazismo e anche nel periodo delle decolonizzazioni. Milioni di uomini e donne continuavano a vivere sotto regimi che violavano le libertà più basilari, dall’Unione Sovietica con i suoi stati satellite, alla Cina ai numerosi stati dell’America del Sud. Ma la democrazia era un modello per molti popoli, un miraggio o una aspirazione lontana. Il papa Pio XII, nel suo messaggio del Natale 1944, aveva definito la democrazia come la forma di governo più favorevole per la preservazione della pace e il rispetto degli esseri umani. Conosciamo poi le parole di Winston Churchill: «La democrazia è la peggior forma di governo, se non consideriamo tutte le altre forme che hanno potuto essere sperimentate dal genere umano finora». Il 1989, il crollo dei regimi comunisti in Europa sembrava marcare la vittoria definitiva della democrazia, chiamata a svilupparsi nel mondo intero.
 
Oggi siamo ancora lontani da questo. La democrazia viene messa in discussione in molti paesi. Nell’Europa stessa, alcuni Stati membri dell’Unione Europea si definiscono “illiberali”, con uno Stato di diritto a geometria variabile, lasciando spazio a leggi che riducono gli spazi di libertà. Anche negli Stati Uniti, che sembravano essere la roccaforte della democrazia, l’assalto  del 6 gennaio 2021 al Campidoglio, simbolo della democrazia americana, ha mostrato la fragilità del governo. La democrazia non è più il modello scontato che poteva apparire alla fine della guerra. I numerosi colpi di Stato nell'Africa subsahariana mettono in pericolo le istituzioni create all’indomani della conquista dell’indipendenza, troppo rapidamente compromessa.
 
Fior di autori, filosofi, storici, sociologi, politologi hanno riflettuto sulla democrazia, a partire da Alexis de Tocqueville nel XIX secolo con la sua Democrazia in America, fino a Pierre Rosanvallon con La Contro-Democrazia. La Politica nell’Era della Sfiducia (2006), o Tzvetan Todorov con I nemici della democrazia (2012). Egli parla di un sistema “consumato dall’interno” . Tutti, e avrei dovuto anche citare alcuni autori americani, inglesi, tedeschi e italiani, quelli che si dedicano ai cosiddetti Democratization Studies constatano che l’ideale democratico è contestato. Propongo di elencare le dinamiche che la minacciano. Ne ho contate sette.
 
1. In primo luogo, ho osservato la crisi dei partiti politici in quanto strutture di mediazione, con dei militanti, una cultura condivisa, portatori di un progetto societario. Sono rimpiazzati da alcune personalità che si ritrovano a raccogliere intorno a sé politici provenienti da contesti diversi e per un tempo determinato (Emmanuel Macron in Francia), senza ottenere (né tantomeno tentare di)  strutturare una entità solida. Il vuoto partitico è riempito da movimenti populisti, ben strutturati, che tentano di appellarsi direttamente al popolo, si relazionano alle paure (per esempio riguardo le migrazioni) e si basano sul tracollo della cultura. Dal momento che assistiamo a una separazione tra politica e cultura, la riflessione e la formazione dei militanti risultano ormai assenti. Il populismo si costruisce sulle macerie della cultura, della conoscenza. Quello che hanno fatto i democratici cristiani delle grandi encicliche pontificie, relazionandosi alle teorie capitaliste; quello che hanno fatto i socialisti dei loro riferimenti socio-umanitari, mutando il sociale per il societario, proprio come i liberali hanno mutato la libertà per il mercato.
 
2. La crisi della cultura porta anche verso il rifiuto dell’”Altro”, il rifiuto di ogni diversità, o piuttosto la paura di tutto ciò che non sia noi stessi. Dalla paura all’odio, basta un passo: razzismo, xenofobia, antisemitismo. L’antisemitismo in particolare ha attraversato i secoli, toccando tutte le società. E’ un virus dalle varianti multiple, sempre rinnovato, che avvelena le nostre democrazie. Eppure la democrazia si nutre di diversità, diversità di provenienza, diversità di religione, e di dialogo necessario tra individui, della conoscenza e della riconoscenza reciproca. La crisi della cultura è legata anche alla globalizzazione, che induce a uno spaesamento dell’individuo, secondo l’espressione di  Tzvetan Todorov che parla di “uomo spaesato”. Questo può condurre ad una ricerca frenetica delle proprie radici, ovvero al fondamentalismo. Già negli anni ‘60, il patriarca di costantinopoli Athenagoras, osservava “l’avvento dell’uomo planetario in una società che diventa mondiale”, con la conseguenza che “ogni popolo si ripiega sulla propria originalità”.
 
3. La libertà di stampa è connessa alla democrazia: non c’è democrazia senza libertà di espressione o senza una stampa libera che eserciti un contro-potere; ma la stampa minaccia la democrazia allorché si fa cassa di risonanza di emozioni e paure, senza cercare di gerarchizzare i problemi, pensandoli in maniera razionale, senza fare appello alla riflessione.
 
4. Gli effetti di questa rivoluzione sono amplificati dall’irruzione dei cosiddetti “social“ network, che le democrazie, in nome dei propri valori di libertà, si rifiutano di regolare. Qui si diffondono informazione e controinformazione, cospirazionismo, fake news, delazioni, odio di ogni tipo e le paure collettive che nutrono il pessimismo.
 
5. L’eccesso democratico, quello che Tocqueville identificava nella rivendicazione dell’uguaglianza assoluta, quello che Rosanvallon ha definito società degli uguali : mettere sullo stesso piano lo studioso, l’erudito e il semplice cittadino.
 
6. L’eccesso liberale, con il neoliberismo e la crisi degli Stati. Il liberismo, che è stato portatore di un ideale di libertà, si è trasformato in un ideale di mercato. Ci dimentichiamo la frase di Lacordaire del 1848: tra il forte e il debole, tra il ricco e il povero, tra il padrone e il servitore, c’è la libertà che opprime e la legge che riscatta”. Il liberalismo senza freni esacerba la rivendicazione individualista, il ripiegamento su se stessi, la frammentazione dei comportamenti, il rifiuto di riconoscere l’idea di bene comune.
 
7. La guerra non si ritira: ha trovato vigore perfino in Europa, dopo gli anni ‘90, nel continente che sembrava guarito dalla guerra. Le nostre società sono divenute plurali, diverse. Il mondo è entrato in una fase particolarmente pericolosa della sua storia con l’emergere del terrorismo. L’11 settembre 2001, a distanza di esattamente 22 anni, ha aperto la strada a un pericolo terrificante, confermato per di più da numerosi cruenti attentati, il cui obiettivo è creare una psicosi e distruggere il tessuto di fiducia e solidarietà. Nessuna società democratica, anche se unita e culturalmente uniforme, può funzionare senza queste fondamenta. E ciò è ancora più vero per le società multiculturali. Fiducia e solidarietà sono i suoi due cuori pulsanti. Se il terrorismo, che fa leva sulle differenze culturali e sulla strumentalizzazione della religione, riuscisse a seminare insidiosamente la paura, la diffidenza (e dunque l’odio), allora la stessa concezione di società multiculturale sarebbe perduta. La sfida è qui: il conflitto di civiltà, definito da Samuel Huntington, The Clash of Civilizations, minaccerebbe la società e dunque la pace tra nazioni. Questo i vertici del terrorismo l’hanno perfettamente compreso, nella loro follia: servirsi delle tensioni naturali tra culture per impedire ogni possibilità di vivere insieme.
 
 
 
Dove sono gli amici della democrazia? Chi sono?
 
Fortunatamente la democrazia ha degli amici e dei sostenitori. Li troviamo tra coloro che mettono l’essere umano al centro della struttura sociale, che aprono instancabilmente in favore dell’incontro, della pace e della riconciliazione. Li troviamo tra coloro che si impegnano nell’azione politica e nelle istituzioni, ma anche nelle opere di solidarietà. I papi non hanno mai smesso di esortare i cattolici a impegnarsi al servizio della cittadinanza, ovvero del bene comune. E’ un atto di carità al servizio del prossimo. Nel 1965, la costituzione conciliare Gaudium et Spes  ha valorizzato l’impegno del cristiano in politica, nel quadro delle democrazie moderne: “La chiesa tiene in grande considerazione e stima l’attività di coloro che si consacrano al bene della cosa pubblica, facendosene carico per il bene di tutti”. (n.75). Potremmo proseguire  a lungo con le citazioni in questo senso. E’ a questo impegno che invitava papa Francesco rivolgendosi agli studenti universitari di Roma il 30 novembre 2013: 
 
“Sapete, cari giovani studenti, che non possiamo vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. [..] Vi prego, non guardate la vita dall’alto di un balcone! Siate partecipi lì dove si trovano le sfide, che vi chiedono aiuto per far andare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta alla povertà, la lotta per i valori e le tante lotte che affrontiamo ogni giorno.”
 
E’ ciò che hanno ben compreso coloro che si sono impegnati nella Comunità di Sant’Egidio, che ci riunisce e ci invita a lavorare insieme.
 

[Modificato da MARIOCAPALBO 13/09/2023 20:12]
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Mohamed Alì Bahr Al-Uloom


Direttore del Bahr al-Uloom Institute of Political Sciences, Iraq
 biografia
Affronterò questo argomento lungo tre assi
 
Il primo asse: le basi per l'applicazione della democrazia in Iraq
 
Esiste un ampio divario tra il governo dell’individuo e il governo del popolo, poiché ciascun sistema include Concetti e strutture con caratteristiche proprie. L'umanità ha vissuto per secoli sotto il governo di un [unico] individuo, che è la corruzione della tirannia, dell’ingiustizia e della persecuzione, mentre in pochi e rari periodi ha vissuto nella sicurezza e nella giustizia. Quando c’è stata l’opportunità per il genere umano di liberarsi dal governo di un individuo e di giungere a far governare la volontà del popolo, allora la democrazia è stata la ricetta efficace per molti dei popoli di fondare uno Stato moderno con i relativi principi e rappresentanza radicata nella pratica della volontà del popolo. 
 
Questo concetto ha subito molte trasformazioni e cambiamenti nei differenti ambiti di applicazione, lo mostrano numerosi concetti come la cittadinanza, i diritti umani, le elezioni etc, tra i concetti che si sono sviluppati col crescere della democrazia nelle sue molteplici realizzazioni.
 
Poiché la democrazia rappresenta lo spirito del governo popolare, certamente l'accettazione popolare e l'ambiente adatto ad esso, è di largo impatto sull’accettazione del sistema democratico e la misura in cui influenza e viene influenzato e il modo in cui questa pratica democratica rimane costante nonostante il verificarsi di numerose crisi che minacciano ciò che i fondatori aspirano a non trasformare in tirannia anche se fosse in nome della democrazia.
 
Nella nostra giovane esperienza irachena, iniziata nel 2003, sebbene sia stata un’esperienza irta dei pericoli dell’occupazione e delle peculiari condizioni regionali, tuttavia l’insistenza sull’attuazione delle strutture dello Stato moderno è stata la cosa più importante per le persone sincere (con questo intendo la suprema autorità religiosa) che volevano che il popolo dell’Iraq fondasse correttamente il proprio Stato, e quindi insisteva a scrivere la costituzione attraverso un comitato eletto dal popolo. Questo comprendeva l’accettazione delle strutture democratiche ma, poiché lo spirito della democrazia è il governo del popolo, la fede e le convinzioni del popolo devono avere un’influenza affinché possa accettare il nuovo regime. Pertanto, combinare fondamenti religiosi con principi democratici e la protezione dei diritti e le libertà pubbliche è la sfida più importante che, se vinta, è considerata una vittoria per il principio di governo del popolo, poiché il successo della democrazia è rappresentato dall’accettazione popolare di essa. Il popolo non può rimanere unito e conservare il suo pluralismo e la sua diversità se non inserendoli all'interno delle loro strutture di pensiero; cioè può essere fatto solo intrecciandosi con le altre strutture di pensiero, e non attraverso una scelta elitaria o fatta dalla maggioranza, ma piuttosto una scelta popolare che preservi i diritti di tutte le minoranze e le confessioni.
 
 
Il secondo asse: le sfide affrontate nella sua applicazione
 
Le gravi sfide che la giovane democrazia nel nostro Paese deve affrontare sono le crisi esterne ed interne che ha dovuto affrontare negli ultimi vent’anni:
 
Alcune di esse sono connesse alla stabilità politica le quali passano dalle urne, le quali non sono ancora state istituite per raggiungere quella stabilità a causa della grande frammentazione tra i gruppi popolari e delle differenze intellettuali...
 
Alcune di esse sono legate al comportamento dei partiti al potere, che ha influenzato i giovani, i quali  si sono sollevati per esprimere il loro rifiuto del dominio dei partiti in manifestazioni spontanee, che si sono trasformate in proteste organizzate che sono durate per molti mesi, sconvolgendo le istituzioni governative e quasi eliminando il sistema democratico se non fosse stato per l’intervento dell’autorità religiosa nel cristallizzare le rivendicazioni popolari e spingere i manifestanti a legittimare le loro richieste in un progetto all’interno del quadro costituzionale. Tale intervento dell’autorità religiosa ha impedito che il potere si trasformasse in una spada tagliente e mortale, e ha impedito ai giovani manifestanti di trasformarsi per distruggere il sistema democratico.
 
Alcune di queste sfide sono esterne, la più importante delle quali è il terrorismo, che ha voluto distruggere questo moderno Stato dalle sue fondamenta attraverso l'organizzazione dell'Isis, che in pochi giorni è riuscita a impadronirsi di un terzo del territorio del Paese. Anche qui, per preservare il sistema democratico, vediamo come la religione si sia unita per sostenere la sopravvivenza di tale realtà e per affrontare il terrorismo. La motivazione religiosa si è unita alla motivazione nazionale per affrontare il terrorismo attraverso l’invito dell’autorità suprema a opporsi al terrorismo dell’ISIS affrontandolo. In effetti, le elezioni sono rispettate, i tempi previsti durante la crisi e non hanno impedito il trasferimento pacifico del potere. Piuttosto, il cambiamento è stato un elemento attivo e utile per ottenere la vittoria. La crisi non ha causato l’interruzione dell’approccio democratico.
 
Ciò che possiamo capire da questi incidenti e dal conflitto nascosto in corso tra coloro che vogliono distruggere il giovane sistema democratico e coloro che vogliono mantenere l’Iraq come stato legale, è che democrazia non significa importare concetti e applicarli in ogni modo nel paese, senza sottoporli a ricerche scientifiche e sistematiche e traendo ispirazione dai loro contenuti per adattarli alla natura del popolo e del suo  ambiente e alla sua fede, anche se ciò può cambiare alcuni aspetti del quadro democratico e gli dà un nuovo significato che gli si addice, ma non c'è nulla di male purché ne preservi lo spirito, che è quello di far rispettare la volontà del popolo, lottare per ottenere la giustizia e impedire un ritorno alla tirannia e alla dittatura.
 
La quantità di risultati raggiunti finora, come una costituzione permanente, molteplici elezioni parlamentari, la formazione di molti governi, un trasferimento pacifico del potere e una limitata audacia nel ritenere i corrotti responsabili, significa che ci sono seri tentativi di stabilire uno stato di diritto e cittadinanza e realizzare una democrazia particolare con una visione irachena, e si teme ancora che alcune crisi possano affliggere il sistema democratico.
 
 
Il terzo asse: Il futuro della democrazia in Iraq
 
Provvedere ai bisogni della società, soddisfare le sue esigenze e stabilire le priorità per garantire una vita dignitosa ai cittadini è considerato uno dei pilastri e dei frutti del successo del sistema democratico. Altrimenti, avviene una spaccatura nel sistema dei diritti e dei doveri che porta a battute d’arresto politiche, sociali ed economiche. È responsabilità dello Stato raggiungere questo obiettivo, in quanto è titolare della pianificazione e dell’attuazione.
 
Pertanto, democrazia e sviluppo sono sufficienti a completare il ciclo di doveri e diritti dei cittadini per evitare battute d’arresto. Pertanto, la democrazia come sistema politico per lo Stato diviene zoppa quando questo non riesce a fornire servizi di base, soprattutto nell’istruzione e nella sanità, e a contrastare la povertà, attraverso strategie di giustizia sociale per ridurre la disparità economica e sociale, lavorando secondo il principio delle pari opportunità, e allo stesso tempo frenando le manifestazioni di corruzione amministrativa e finanziaria, contribuendo a creare un ambiente per l’applicazione della legge. Si tratta di questioni fondamentali che garantiscono il rafforzamento dell’identità nazionale e la solidarietà tra gli individui membri della società, il che garantisce un’atmosfera di uguaglianza. Forse la crisi che l’Iraq si trova ad affrontare oggi può essere affrontata in questo contesto. Forse l’indicatore più importante è la debolezza della partecipazione politica alle elezioni. I problemi che hanno afflitto il sistema politico, come le quote, la preferenza per gli interessi di parte rispetto a quelli pubblici, la continua sfiducia tra le componenti del popolo e, ovviamente, i sogni curdi, rimangono fonte di preoccupazione nella transizione verso la completa stabilità, e può ridurre la fiducia dei cittadini nel sistema politico e creare divari più ampi.

Ram Madhav

Presidente della India Foundation ed ex Segretario generale nazionale del BJP
 biografia
In Matteo 4:4, si dice che Gesù abbia risposto che "non di solo pane vivrà l’uomo". Gesù predicò che l'uomo vive della parola di Dio. Un famoso filosofo indù, il saggio Aurobindo, ha affermato che ogni creatura vivente desidera la libertà. Storicamente, tutti gli sforzi dell'uomo sono stati rivolti alla liberazione da schiavitù di ogni tipo, economiche, politiche e sociali.
 
È stato l'anelito di libertà dell'uomo a far nascere la politica democratica, secoli fa, nelle città-stato greche come Atene. La "volontà del demos" era considerata fondamentale e ha portato all'evoluzione della democrazia come forma di governo.
 
Le democrazie si sono evolute nel corso dei secoli dopo i primi esperimenti nelle città-stato greche. Gli ateniesi si riunirono in uno stadio e dichiararono all'unanimità la condanna a morte di Socrate, in una delle prime espressioni di politica democratica. Da quella fase di democrazia anarchica all'odierna democrazia liberale, le democrazie sono maturate in forme più strutturate di governo "dal popolo, del popolo e per il popolo".
 
Le democrazie hanno garantito agli esseri umani le dovute libertà per perseguire la loro esistenza personale, professionale e sociale. Hanno anche garantito i diritti politici di scegliere e cambiare i leader quando lo ritengono necessario.
 
Le espressioni che sentiamo oggi, come "recessione democratica" o "arretramento democratico" o "deficit democratico", denotano le sfide che queste libertà devono affrontare. L'ascesa dei regimi autoritari e della politica dei leader forti fa temere a molti che l'istituzione stessa della democrazia si stia sgretolando.
 
Quanto è seria e reale questa preoccupazione?
 
Non è mai stato detto che le democrazie fossero perfette. Uno statista indiano ha descritto la democrazia come la seconda migliore forma di governo. "La forma migliore deve ancora essere inventata", ha ironizzato.
 
Le democrazie hanno le loro debolezze e i loro difetti. La più antica democrazia che ha liberato il suo popolo dalla monarchia e dall'aristocrazia è stata la Gran Bretagna. Tuttavia, le sue istituzioni democratiche sono diventate oggi una fonte di instabilità. Negli ultimi 7 anni, nel Regno Unito si  sono succeduti altrettanti governi, con due ministeri che sono durati appena 40 giorni ciascuno.
 
La prima democrazia nata da una rivoluzione popolare è stata quella francese. È stata anche la prima democrazia a codificare i diritti umani fondamentali. Tuttavia, oggi si trova ad affrontare un conflitto importante, con un assetto politico instabile e perennemente sollecitato in direzioni diverse.
 
Negli Stati Uniti, le lunghe e irrisolte rimostranze della minoranza nera, che hanno portato a massicce rivolte in tutto il Paese durante il "movimento Black Lives Matter", evidenziano i problemi della democrazia. Il Campidoglio, la rivolta del 6 gennaio 2021, che è stata variamente descritta come un'insurrezione o un colpo di Stato, ha messo a nudo il ventre molle della politica americana.
 
Sebbene abbia più di 230 anni, la politica costituzionale americana ha sempre dimostrato di avere tendenze antidemocratiche. I padri della Costituzione americana del 1789 non volevano certo una democrazia a tutti gli effetti. Il diritto di voto era negato ad ampi settori della società americana e la schiavitù era sostenuta. Solo dopo due secoli, con le lotte e i sacrifici di leader come Martin Luther King Jr, i neri hanno ottenuto pieni diritti politici.
 
La Costituzione americana ha disposizioni che tradiscono caratteristiche antidemocratiche. Almeno 5 volte nella storia recente, i candidati presidenziali che hanno ottenuto il maggior numero di voti si sono visti negare la carica a causa di uno strano sistema di collegio elettorale. Il Senato degli Stati Uniti, potente organo del Congresso, è tecnicamente un'istituzione antidemocratica. Il Wyoming, con mezzo milione di abitanti, manda tanti senatori quanto la California, che ha una popolazione 80 volte superiore.
 
Questa storia è importante da ricordare quando si discute delle sfide attuali che le democrazie stanno affrontando. Perché la credibilità dell'argomento ne risente quando la democrazia viene usata più come un bastone per battere gli avversari politici che per introdurre una vera riforma.
 
È innegabile che la politica democratica in diverse parti del mondo stia attraversando una fase di transizione. L'ordine democratico liberale, promosso con vigore a partire dagli anni Novanta, sta affrontando una sfida con l'ascesa di regimi illiberali in tutto il mondo. I diritti e le libertà dei cittadini sono sempre più in pericolo. L'indipendenza dei media, del sistema giudiziario e del mondo accademico è minacciata. L'opposizione politica, un elemento importante in una democrazia di successo, è ferocemente limitata e oppressa.
 
A peggiorare lo scenario è la giustificazione ideologica che tali regimi antidemocratici e autoritari adducono in nome della retorica "anti-occidentale". I regimi autoritari hanno la tendenza a usare l'Occidente come un'esca nella loro ricerca del potere assoluto e nella soppressione del dissenso e delle libertà democratiche. Tali forze, siano esse leader politici antidemocratici o crudeli dittatori o spietate giunte militari - dalla Corea del Nord al Myanmar, dalla Siria allo Yemen - hanno forti  appoggi da parte di regimi potenti ma autoritari come la Cina, che sognano di costruire un ordine mondiale basato sulle proprie concezioni illiberali.
 
Per affrontare questa sfida è necessario innanzitutto smettere di usare la democrazia come arma politica. Negli ultimi due decenni, gli autoritari di tutto il mondo hanno tratto ossigeno in parte dalle omissioni e dalle colpe delle potenze occidentali in nome del cosiddetto "progetto democratico". Le potenze americane ed europee hanno usato l'argomento della democrazia per rovesciare i regimi che non erano di loro gradimento. Le guerre condotte in nome del "progetto democrazia" hanno portato all'erosione della credibilità dell'istituzione stessa. Alla fine, quei Paesi non hanno ottenuto una democrazia stabile, ma economie distopiche e regimi politici inefficaci. Invece della democrazia, hanno finito per avere l'anarchia assoluta.
 
È importante capire che la democrazia non è solo un sistema politico, ma una cultura politica. Per coltivare questa cultura è necessario apprezzare i costumi della società, le storie nazionali e le esperienze di civiltà. In un Paese come l'Afghanistan, la Loya Jirga - o il "Grande Consiglio" degli anziani di centinaia di tribù diverse - può essere una versione della democrazia.
 
In tutta questa crisi e confusione, l'India si distingue come un faro di democrazia. L'India è la democrazia più grande e di maggior successo al mondo. A parte le critiche infondate, l'India presenta un modello che può essere descritto come una "Dharmocrazia" - la versione indiana della democrazia. Il coinvolgimento e la partecipazione popolare al governo della nazione sono unici nell'esperienza indiana. Decine di programmi governativi - dalla pulizia, alla qualificazione dei giovani, alle campagne di avviamento e di digitalizzazione, sono tutte gestite con massicce iniziative popolari.
 
La crisi del Corona virus ha fatto emergere il lato migliore della gloria democratica dell'India. Sono state le iniziative della gente a prendersi cura di nutrire, ospitare ed estendere l'assistenza medica a 1,4 miliardi di indiani. La storia dei vaccini in India non è solo storica, ma anche stimolante.
 
La democrazia dal basso verso l'alto, in cui il potere è decentrato e delegato alle unità più basse chiamate Village Panchayats, è una caratteristica importante della democrazia indiana. La tradizione secolare dell'India ha alimentato innumerevoli istituzioni di base di gruppi religiosi e sociali che si sono occupati del benessere della popolazione con o senza il coinvolgimento del governo. Ciò ha portato all'idea di "minimo governo - massimo governo", che è alla base della Dharmocrazia.
 
L'attuale ordine mondiale si trova ad affrontare molteplici sfide. Il mondo sta assistendo non solo al multipolarismo, con molti Paesi e minilateral che stanno emergendo come poli importanti, ma sta anche entrando in una fase che può essere descritta come "eteropolarità". In un ordine eteropolare, non solo gli Stati, ma anche gli attori non statali come le multinazionali, le grandi aziende tecnologiche, le organizzazioni non governative, i guru religiosi e spirituali e persino i gruppi terroristici sono emersi abbastanza potenti da sfidare l'autorità sovrana delle nazioni. Nuove sfide come il cambiamento climatico, le pandemie, le migrazioni illegali, le tecnologie guidate dall'intelligenza artificiale e le ideologie "woke" minacciano il futuro delle nostre civiltà.
 
In questo scenario, i cittadini di molti Paesi chiedono una leadership forte e determinata per garantire i loro interessi nazionali sovrani. Non tutti i leader forti devono essere visti come una minaccia per la democrazia. Oggi il mondo ha bisogno di leader abbastanza forti da non limitarsi a proteggere i propri Paesi e le proprie popolazioni, ma anche di collaborare con gli altri per mitigare le  sfide.
 
La posta in gioco oggi non è solo il futuro della democrazia, ma il futuro stesso dell'umanità.

José Manuel Rodrigues

Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Autonoma di Madeira, Portogallo
 biografia
Ringrazio per il gentile invito della Comunità di Sant’Egidio a partecipare a questo Incontro Internazionale per la Pace che, in questi tempi turbati ed incerti, costituisce un’opportunità perché riflettiamo sullo stato delle Democrazie e comprendiamo come possiamo rafforzarle e metterle al servizio della riconciliazione e della concordia tra i popoli. 
Vengo dall’isola di Madeira, la prima terra tra quelle scoperte dai Portoghesi, dove, dal XVI secolo, si incrociano persone, culture e civiltà, giacché è stata la prima Diocesi del Nuovo Mondo, che si estendeva da Funchal sino all’India, una terra di Missione e, oggi, una meta turistica, dove si conosce bene il significato dell’incontro e della comunione di culture.
Saluto tutti i partecipanti a quest’Incontro, provenienti da diversi contesti politici, e i rappresentanti delle diverse religioni che qui onorano il senso della Vita e le virtù della Pace e dell’Amicizia fra gli Uomini.
Esattamente oggi, fanno 22 anni dal momento in cui il cuore di New York fu violentemente colpito da attacchi suicidi che provocarono migliaia di morti e misero il mondo in allarme, davanti ad un attacco terrorista di quella dimensione. 
Compio questa triste evocazione perché ritengo che uno dei problemi delle nostre società stia nel non curare la c.d. “Cultura della Memoria” e nel non imparare dagli errori commessi, evitando conflitti e guerre come quella che oggi torna a distruggere l’Ucraina. 
Ed oltre a non preservare la memoria, sembra che ci si diriga verso la scomparsa dell’indignazione. 
Al contrario, si corre il serio rischio di banalizzare la violenza, di normalizzare la guerra, guardando alla sofferenza ed alla morte, oggi nel cuore dell’Europa, come se fosse una fiction cui, ogni giorno, si aggiungono nuovi episodi. 
La sola guerra che ci deve mobilitare sulla linea del fronte, come soldati scelti, è la guerra contro la povertà e l’ingiustizia e per la Libertà e la Democrazia. Questa dev’essere la guerra cui tutti si devono presentare come volontari. Questa è una guerra che chiama tutti e che umanizza tutti. Questa è una guerra per la civiltà [civilizzatrice]. 
Questa città di Berlino, che ci ospita, conosce bene, attraverso diversi momenti della sua lunga Storia, la barbarie delle tirannie, gli orrori delle guerre e le loro conseguenze sulle libertà e sulla divisione tra i cittadini. 
 
Gentili Signore e Signori
Venendo al problema che ci chiama a questo forum, è indiscutibile che la strada migliore verso la Pace è che ci battiamo per l’applicazione dei Diritti Umani, senza transigere, portando a compimento i Diritti e i Doveri dei cittadini, cioè garantire che lo Stato di Diritto è per tutti, che nessuno è al di sopra della legge e che per tutti c’è uguaglianza di opportunità nelle proprie comunità. 
Orbene, non c’è Stato di Diritto se non esiste una Democrazia autentica e in salute. 
Quando, dopo la caduta del muro che divideva questa città, lacerava una Nazione e separava un popolo, emerse dalla fine del totalitarismo sovietico, in Europa centrale ed orientale, un gruppo di paesi indipendenti, poggiante sui valori della Libertà, sorse una consistente Speranza che la fine della Guerra Fredda avrebbe costituito non solo la fine di un potenziale conflitto nucleare, ma anche l’inizio di una globalizzazione della democrazia, in tutti i continenti. 
Questo era il nostro auspicio, ma la realtà non è stata così. 
Purtroppo, gli ultimi studi sulla Democrazia nel Mondo attestano che questa forma politica regredisce e che, ogni anno che passa, ci sono [nuove] dittature che si sostituiscono agli Stati di Diritto, un po’ in tutto il Mondo. 
Per ogni Stato che avanza in direzione della Democrazia, ce ne sono due che si indirizzano verso l’autoritarismo e questo è il peggior risultato dell’ultimo decennio, secondo il rapporto dell’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale (International IDEA). 
Ora, noi tutti sappiamo che le dittature e le cosiddette “democrazie muscolari” potenziano tensioni, odi e violenze, che generano repressioni, conflitti e guerre. 
È vero che alcune Nazioni democratiche hanno dato il via ad interventi militari, alcuni giustificati, per evitare mali maggiori, altri perfettamente illegittimi, cioè in violazione delle regole del Diritto Internazionale, ma la verità è che i grandi conflitti della Storia e della nostra epoca sono stati scatenati da tiranni e da regimi totalitari. 
Nonostante ci troviamo in un tempo in cui abbiamo più domande che risposte, è il caso di analizzare le ragioni per le quali le Democrazie sono malate e in crisi e perché molte di esse soccombono ai populismi e agli estremismi. 
Ovviamente, i rischi e le minacce per le Democrazie variano da continente a continente e da paese a paese, ma esistono cause comuni a tutte e che hanno a che fare con la crisi delle istituzioni dello Stato e il discredito dei suoi poteri, cioè il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, e con l’allontanamento dei cittadini dalla partecipazione alla vita politica, che trova la sua espressione più significativa nei crescenti livelli di astensione alle elezioni. 
Si conoscono le conseguenze di questa erosione della democrazia: la distanza tra eletti ed elettori; il discredito dei risultati elettorali; la corruzione e la mancanza di trasparenza nell’attività di governo e la disillusione dei giovani verso la politica. 
Il risultato è la crescita degli estremismi, cui danno corpo i partiti populisti, o il farsi assorbire in movimenti disorganici che mettono in causa la stabilità dei regimi e la pace sociale. 
Quel che è accaduto negli Stati Uniti e in Brasile, democrazie che ritenevamo stabilizzate; la crescita e l’ascesa al potere di partiti estremisti in Europa, impensabile dopo quello che è accaduto nella Seconda Guerra Mondiale, devono essere motivo di profonda riflessione da parte di tutti coloro che lavorano per la res publica, ma devono soprattutto muovere all’azione. 
A questo proposito, ritengo cruciale un ritorno all’istituzionalismo, rafforzando e restituendo dignità agli organi giudiziari, esecutivi e legislativi, nel pieno rispetto della separazione dei poteri, ma cooperando istituzionalmente per il rafforzamento dello Stato di Diritto. 
Il clima di sospetto che imperversa nelle nostre società, alimentato da violazioni del segreto nel corso dei procedimenti giudiziari e dal regolamento di conti tra politica e giustizia, corrode la fiducia della società nei propri dirigenti e mette in discussione la Democrazia. 
La subordinazione dei poteri finanziario ed economico al potere politico dev’essere accresciuta, naturalmente senza mettere a rischio la [loro] auspicabile collaborazione a beneficio della crescita e dello sviluppo delle comunità. 
Il Bene Comune dev’essere anteposto a qualsiasi interesse privato. 
I Parlamenti devono essere più vicini ai cittadini e gli eletti agli elettori, rafforzando i meccanismi di partecipazione dei cittadini ai procedimenti legislativi ed anche ai processi decisionali, affinché le persone non provino la sensazione che la Democrazia si riduce al rituale delle elezioni e che la loro parola, tramite il voto, conta solo negli atti elettorali, di solito ogni quattro anni. 
I referendum vincolanti, su questioni molto concrete della vita delle comunità, devono essere una prassi e non un’eccezione, in un salutare esercizio di democrazia partecipativa. 
Le cariche di governo, ai diversi livelli dell’amministrazione, devono essere sottoposte a un limite di mandato, perché non si realizzi un’occupazione permanente del potere e si rinnovino e ringiovaniscano [i titolari delle] cariche di governo. 
Gli organi di controllo, come le Corti dei Conti, devono esser visti come organi essenziali per il buon governo e per una gestione rigorosa dei fondi pubblici, non considerati come ostacoli per le opportune decisioni esecutive e per la celerità nell’esecuzione delle politiche pubbliche. 
Abbiamo bisogno di rafforzare i freni e i contrappesi delle nostre Democrazie e, a questo proposito, bisogna recuperare il ruolo essenziale degli strumenti di comunicazione sociale di riferimento, il cui potere e la cui [capacità di] intervento sono stati gravemente ridotti dalla comparsa dei social network, affinché possiamo rafforzare un’informazione veritiera ed imparziale che contribuisca a formare cittadini preparati. 
Si deve effettuare la regolamentazione dell’informazione – o della disinformazione – che circola su internet e nei social network, altrimenti, in nome delle libertà individuali, finiremo per sopprimere la Libertà e la Democrazia. 
Il funzionamento del regime democratico e del sistema politico e i Diritti, la Libertà e le garanzie dei Cittadini devono costituire una preoccupazione permanente ed essere presenti nei programmi dei vari cicli del sistema educativo. 
L’Educazione alla Cittadinanza Attiva dev’essere prioritaria nelle nostre scuole e la partecipazione politica dev’essere vista come un diritto irrinunciabile ed un dovere nei confronti della comunità tutta. 
Le istituzioni democratiche devono colmare lo sfasamento oggi esistente tra la loro agenda e quelle che devono essere le nuove Cause di mobilitazione dei giovani, come, ad esempio, l’Ambiente, i Cambiamenti Climatici, il Patrimonio [culturale e ambientale], la Transizione Digitale, la Decarbonizzazione dell’Economia, il Volontariato, la Cultura e i Diritti Umani. 
La Democrazia è un regime imperfetto, ma esiste una certezza indiscutibile: i paesi coi migliori indici di sviluppo sono regimi pluralistici e con libere elezioni. 
E inoltre, non possiamo mai dimenticare che è facile essere difensori di una dittatura in un paese democratico; quel che è difficile, è essere democratici in un paese che vive sotto una dittatura. 
Questa è la realtà che fa tutta la differenza in molti dei nostri paesi e nelle nostre vite. 
 
Gentili Signore e Signori,
Su un altro piano, ritengo cruciale una riforma delle organizzazioni internazionali, in particolare quelle che hanno la missione di mantenere e consolidare la Pace. 
È il caso [dell’organizzazione] delle Nazioni Unite, che è venuta perdendo forza e potere nella gestione dei conflitti e nei negoziati che conducono alla Pace o alla guerra, poiché, in molte occasioni, si trova ad essere limitata dal potere di cui godono alcuni dei suoi Stati Membri. Ciò che resta nell’opinione pubblica è l’impressione che solo le cosiddette super-potenze siano in grado di mettersi a un tavolo e trovare un accordo sulle grandi questioni mondiali. 
Il mio concittadino António Guterres ha un bel richiamare alla ragione le Nazioni, in favore della concordia, della concertazione e dell’azione comune verso una Pace ed uno Sviluppo sostenibili: è sempre una voce che grida nel deserto, giacché l’impressione che ci rimane, e di cui è esempio il Consiglio di Sicurezza, è che gli interessi dei singoli paesi si impongano sull’interesse della comunità. 
La riforma dell’ONU e, in particolare, del funzionamento del Consiglio di Sicurezza, è indifferibile, se vogliamo un mondo più giusto e più fraterno per tutti! 
Su questo piano, è importante anche che l’Unione Europea adotti, una volta per tutte, una politica comune in tema di migrazioni, anziché continuare a scaricare il problema da un paese all’altro, a scapito della vita di migliaia di rifugiati che muoiono in mare. 
Queste persone vogliono solo un’opportunità per migliorare la propria vita e devono avere gli stessi Diritti e gli stessi Doveri dei cittadini dei paesi di accoglienza. 
Ancora in quest’ambito, ritengo molto importante che i programmi di cooperazione coi paesi più poveri e con quelli in via di sviluppo garantiscano finanziamenti destinati al rafforzamento dei pilastri dello Stato di Diritto, giacché quest’ultimo è una condizione per combattere le cause di molti conflitti che trovano origine nella debolezza delle istituzioni pubbliche, nella fame e nella povertà, nella crisi climatica, nei traffici di esseri umani, di minerali, di droga e di armi, nel terrorismo e nelle persecuzioni etniche, politiche e religiose. 
I cosiddetti “Stati falliti” sono terreno propizio per le maggiori atrocità e le più grandi disumanità, per il dilagare di fanatismi di ogni specie, compreso quello religioso. 
Per questo è decisivo il dialogo tra culture e tra religioni. 
Quanto più estesa sarà la loro reciproca conoscenza, quanto maggiore sarà la loro interrelazione, tanto maggiore sarà la probabilità che esse trovino punti in comune e lavorino insieme per la riconciliazione e la Pace. 
Le religioni, tutti gli uomini di buona volontà, devono costruire ponti anziché muri; edificare l’unità e non l’ostilità; promuovere l’incontro anziché il rifiuto; erigere la speranza e non il conformismo. 
Non esistono guerre sante e non possiamo permettere che si usino la fede e il nome di Dio per praticare e giustificare la violenza e il terrore. 
Dio è Pace e quel che ci viene chiesto, come proclamava Paolo VI, è di coltivare la Pace, che deve cominciare in ciascuno di noi, nel nostro cuore, perché, partendo da lì, riusciremo a portarla all’altro, alla nostra famiglia, al nostro paese e al Mondo. 
Per questo è cruciale offrire una Educazione alla Pace alle nuove generazioni, che le educhi al rispetto dei Diritti Umani – la cui Dichiarazione ha compiuto ora 75 anni – e che le renda protagoniste della fraternità, della riconciliazione, della cura della Creazione; e che le faccia diventare attrici del Dialogo Politico, del Dialogo Interreligioso ed Interculturale, condizioni essenziali perché la giustizia non sia un’utopia e perché la Pace sia una realtà.   
 

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Post: 95
Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
Sesso: Maschile
13/09/2023 20:19





José Manuel Rodrigues


Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Autonoma di Madeira, Portogallo
 biografia
Ringrazio per il gentile invito della Comunità di Sant’Egidio a partecipare a questo Incontro Internazionale per la Pace che, in questi tempi turbati ed incerti, costituisce un’opportunità perché riflettiamo sullo stato delle Democrazie e comprendiamo come possiamo rafforzarle e metterle al servizio della riconciliazione e della concordia tra i popoli. 
Vengo dall’isola di Madeira, la prima terra tra quelle scoperte dai Portoghesi, dove, dal XVI secolo, si incrociano persone, culture e civiltà, giacché è stata la prima Diocesi del Nuovo Mondo, che si estendeva da Funchal sino all’India, una terra di Missione e, oggi, una meta turistica, dove si conosce bene il significato dell’incontro e della comunione di culture.
Saluto tutti i partecipanti a quest’Incontro, provenienti da diversi contesti politici, e i rappresentanti delle diverse religioni che qui onorano il senso della Vita e le virtù della Pace e dell’Amicizia fra gli Uomini.
Esattamente oggi, fanno 22 anni dal momento in cui il cuore di New York fu violentemente colpito da attacchi suicidi che provocarono migliaia di morti e misero il mondo in allarme, davanti ad un attacco terrorista di quella dimensione. 
Compio questa triste evocazione perché ritengo che uno dei problemi delle nostre società stia nel non curare la c.d. “Cultura della Memoria” e nel non imparare dagli errori commessi, evitando conflitti e guerre come quella che oggi torna a distruggere l’Ucraina. 
Ed oltre a non preservare la memoria, sembra che ci si diriga verso la scomparsa dell’indignazione. 
Al contrario, si corre il serio rischio di banalizzare la violenza, di normalizzare la guerra, guardando alla sofferenza ed alla morte, oggi nel cuore dell’Europa, come se fosse una fiction cui, ogni giorno, si aggiungono nuovi episodi. 
La sola guerra che ci deve mobilitare sulla linea del fronte, come soldati scelti, è la guerra contro la povertà e l’ingiustizia e per la Libertà e la Democrazia. Questa dev’essere la guerra cui tutti si devono presentare come volontari. Questa è una guerra che chiama tutti e che umanizza tutti. Questa è una guerra per la civiltà [civilizzatrice]. 
Questa città di Berlino, che ci ospita, conosce bene, attraverso diversi momenti della sua lunga Storia, la barbarie delle tirannie, gli orrori delle guerre e le loro conseguenze sulle libertà e sulla divisione tra i cittadini. 
 
Gentili Signore e Signori
Venendo al problema che ci chiama a questo forum, è indiscutibile che la strada migliore verso la Pace è che ci battiamo per l’applicazione dei Diritti Umani, senza transigere, portando a compimento i Diritti e i Doveri dei cittadini, cioè garantire che lo Stato di Diritto è per tutti, che nessuno è al di sopra della legge e che per tutti c’è uguaglianza di opportunità nelle proprie comunità. 
Orbene, non c’è Stato di Diritto se non esiste una Democrazia autentica e in salute. 
Quando, dopo la caduta del muro che divideva questa città, lacerava una Nazione e separava un popolo, emerse dalla fine del totalitarismo sovietico, in Europa centrale ed orientale, un gruppo di paesi indipendenti, poggiante sui valori della Libertà, sorse una consistente Speranza che la fine della Guerra Fredda avrebbe costituito non solo la fine di un potenziale conflitto nucleare, ma anche l’inizio di una globalizzazione della democrazia, in tutti i continenti. 
Questo era il nostro auspicio, ma la realtà non è stata così. 
Purtroppo, gli ultimi studi sulla Democrazia nel Mondo attestano che questa forma politica regredisce e che, ogni anno che passa, ci sono [nuove] dittature che si sostituiscono agli Stati di Diritto, un po’ in tutto il Mondo. 
Per ogni Stato che avanza in direzione della Democrazia, ce ne sono due che si indirizzano verso l’autoritarismo e questo è il peggior risultato dell’ultimo decennio, secondo il rapporto dell’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale (International IDEA). 
Ora, noi tutti sappiamo che le dittature e le cosiddette “democrazie muscolari” potenziano tensioni, odi e violenze, che generano repressioni, conflitti e guerre. 
È vero che alcune Nazioni democratiche hanno dato il via ad interventi militari, alcuni giustificati, per evitare mali maggiori, altri perfettamente illegittimi, cioè in violazione delle regole del Diritto Internazionale, ma la verità è che i grandi conflitti della Storia e della nostra epoca sono stati scatenati da tiranni e da regimi totalitari. 
Nonostante ci troviamo in un tempo in cui abbiamo più domande che risposte, è il caso di analizzare le ragioni per le quali le Democrazie sono malate e in crisi e perché molte di esse soccombono ai populismi e agli estremismi. 
Ovviamente, i rischi e le minacce per le Democrazie variano da continente a continente e da paese a paese, ma esistono cause comuni a tutte e che hanno a che fare con la crisi delle istituzioni dello Stato e il discredito dei suoi poteri, cioè il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, e con l’allontanamento dei cittadini dalla partecipazione alla vita politica, che trova la sua espressione più significativa nei crescenti livelli di astensione alle elezioni. 
Si conoscono le conseguenze di questa erosione della democrazia: la distanza tra eletti ed elettori; il discredito dei risultati elettorali; la corruzione e la mancanza di trasparenza nell’attività di governo e la disillusione dei giovani verso la politica. 
Il risultato è la crescita degli estremismi, cui danno corpo i partiti populisti, o il farsi assorbire in movimenti disorganici che mettono in causa la stabilità dei regimi e la pace sociale. 
Quel che è accaduto negli Stati Uniti e in Brasile, democrazie che ritenevamo stabilizzate; la crescita e l’ascesa al potere di partiti estremisti in Europa, impensabile dopo quello che è accaduto nella Seconda Guerra Mondiale, devono essere motivo di profonda riflessione da parte di tutti coloro che lavorano per la res publica, ma devono soprattutto muovere all’azione. 
A questo proposito, ritengo cruciale un ritorno all’istituzionalismo, rafforzando e restituendo dignità agli organi giudiziari, esecutivi e legislativi, nel pieno rispetto della separazione dei poteri, ma cooperando istituzionalmente per il rafforzamento dello Stato di Diritto. 
Il clima di sospetto che imperversa nelle nostre società, alimentato da violazioni del segreto nel corso dei procedimenti giudiziari e dal regolamento di conti tra politica e giustizia, corrode la fiducia della società nei propri dirigenti e mette in discussione la Democrazia. 
La subordinazione dei poteri finanziario ed economico al potere politico dev’essere accresciuta, naturalmente senza mettere a rischio la [loro] auspicabile collaborazione a beneficio della crescita e dello sviluppo delle comunità. 
Il Bene Comune dev’essere anteposto a qualsiasi interesse privato. 
I Parlamenti devono essere più vicini ai cittadini e gli eletti agli elettori, rafforzando i meccanismi di partecipazione dei cittadini ai procedimenti legislativi ed anche ai processi decisionali, affinché le persone non provino la sensazione che la Democrazia si riduce al rituale delle elezioni e che la loro parola, tramite il voto, conta solo negli atti elettorali, di solito ogni quattro anni. 
I referendum vincolanti, su questioni molto concrete della vita delle comunità, devono essere una prassi e non un’eccezione, in un salutare esercizio di democrazia partecipativa. 
Le cariche di governo, ai diversi livelli dell’amministrazione, devono essere sottoposte a un limite di mandato, perché non si realizzi un’occupazione permanente del potere e si rinnovino e ringiovaniscano [i titolari delle] cariche di governo. 
Gli organi di controllo, come le Corti dei Conti, devono esser visti come organi essenziali per il buon governo e per una gestione rigorosa dei fondi pubblici, non considerati come ostacoli per le opportune decisioni esecutive e per la celerità nell’esecuzione delle politiche pubbliche. 
Abbiamo bisogno di rafforzare i freni e i contrappesi delle nostre Democrazie e, a questo proposito, bisogna recuperare il ruolo essenziale degli strumenti di comunicazione sociale di riferimento, il cui potere e la cui [capacità di] intervento sono stati gravemente ridotti dalla comparsa dei social network, affinché possiamo rafforzare un’informazione veritiera ed imparziale che contribuisca a formare cittadini preparati. 
Si deve effettuare la regolamentazione dell’informazione – o della disinformazione – che circola su internet e nei social network, altrimenti, in nome delle libertà individuali, finiremo per sopprimere la Libertà e la Democrazia. 
Il funzionamento del regime democratico e del sistema politico e i Diritti, la Libertà e le garanzie dei Cittadini devono costituire una preoccupazione permanente ed essere presenti nei programmi dei vari cicli del sistema educativo. 
L’Educazione alla Cittadinanza Attiva dev’essere prioritaria nelle nostre scuole e la partecipazione politica dev’essere vista come un diritto irrinunciabile ed un dovere nei confronti della comunità tutta. 
Le istituzioni democratiche devono colmare lo sfasamento oggi esistente tra la loro agenda e quelle che devono essere le nuove Cause di mobilitazione dei giovani, come, ad esempio, l’Ambiente, i Cambiamenti Climatici, il Patrimonio [culturale e ambientale], la Transizione Digitale, la Decarbonizzazione dell’Economia, il Volontariato, la Cultura e i Diritti Umani. 
La Democrazia è un regime imperfetto, ma esiste una certezza indiscutibile: i paesi coi migliori indici di sviluppo sono regimi pluralistici e con libere elezioni. 
E inoltre, non possiamo mai dimenticare che è facile essere difensori di una dittatura in un paese democratico; quel che è difficile, è essere democratici in un paese che vive sotto una dittatura. 
Questa è la realtà che fa tutta la differenza in molti dei nostri paesi e nelle nostre vite. 
 
Gentili Signore e Signori,
Su un altro piano, ritengo cruciale una riforma delle organizzazioni internazionali, in particolare quelle che hanno la missione di mantenere e consolidare la Pace. 
È il caso [dell’organizzazione] delle Nazioni Unite, che è venuta perdendo forza e potere nella gestione dei conflitti e nei negoziati che conducono alla Pace o alla guerra, poiché, in molte occasioni, si trova ad essere limitata dal potere di cui godono alcuni dei suoi Stati Membri. Ciò che resta nell’opinione pubblica è l’impressione che solo le cosiddette super-potenze siano in grado di mettersi a un tavolo e trovare un accordo sulle grandi questioni mondiali. 
Il mio concittadino António Guterres ha un bel richiamare alla ragione le Nazioni, in favore della concordia, della concertazione e dell’azione comune verso una Pace ed uno Sviluppo sostenibili: è sempre una voce che grida nel deserto, giacché l’impressione che ci rimane, e di cui è esempio il Consiglio di Sicurezza, è che gli interessi dei singoli paesi si impongano sull’interesse della comunità. 
La riforma dell’ONU e, in particolare, del funzionamento del Consiglio di Sicurezza, è indifferibile, se vogliamo un mondo più giusto e più fraterno per tutti! 
Su questo piano, è importante anche che l’Unione Europea adotti, una volta per tutte, una politica comune in tema di migrazioni, anziché continuare a scaricare il problema da un paese all’altro, a scapito della vita di migliaia di rifugiati che muoiono in mare. 
Queste persone vogliono solo un’opportunità per migliorare la propria vita e devono avere gli stessi Diritti e gli stessi Doveri dei cittadini dei paesi di accoglienza. 
Ancora in quest’ambito, ritengo molto importante che i programmi di cooperazione coi paesi più poveri e con quelli in via di sviluppo garantiscano finanziamenti destinati al rafforzamento dei pilastri dello Stato di Diritto, giacché quest’ultimo è una condizione per combattere le cause di molti conflitti che trovano origine nella debolezza delle istituzioni pubbliche, nella fame e nella povertà, nella crisi climatica, nei traffici di esseri umani, di minerali, di droga e di armi, nel terrorismo e nelle persecuzioni etniche, politiche e religiose. 
I cosiddetti “Stati falliti” sono terreno propizio per le maggiori atrocità e le più grandi disumanità, per il dilagare di fanatismi di ogni specie, compreso quello religioso. 
Per questo è decisivo il dialogo tra culture e tra religioni. 
Quanto più estesa sarà la loro reciproca conoscenza, quanto maggiore sarà la loro interrelazione, tanto maggiore sarà la probabilità che esse trovino punti in comune e lavorino insieme per la riconciliazione e la Pace. 
Le religioni, tutti gli uomini di buona volontà, devono costruire ponti anziché muri; edificare l’unità e non l’ostilità; promuovere l’incontro anziché il rifiuto; erigere la speranza e non il conformismo. 
Non esistono guerre sante e non possiamo permettere che si usino la fede e il nome di Dio per praticare e giustificare la violenza e il terrore. 
Dio è Pace e quel che ci viene chiesto, come proclamava Paolo VI, è di coltivare la Pace, che deve cominciare in ciascuno di noi, nel nostro cuore, perché, partendo da lì, riusciremo a portarla all’altro, alla nostra famiglia, al nostro paese e al Mondo. 
Per questo è cruciale offrire una Educazione alla Pace alle nuove generazioni, che le educhi al rispetto dei Diritti Umani – la cui Dichiarazione ha compiuto ora 75 anni – e che le renda protagoniste della fraternità, della riconciliazione, della cura della Creazione; e che le faccia diventare attrici del Dialogo Politico, del Dialogo Interreligioso ed Interculturale, condizioni essenziali perché la giustizia non sia un’utopia e perché la Pace sia una realtà.   


Annette Schavan

Ex Ministro federale dell'Istruzione e della Ricerca, Germania
 biografia
1
 
La fine della Guerra Fredda, la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione dell'Europa: è stato un grande momento per la democrazia e la relativa convinzione che il trionfo della libertà fosse inarrestabile. Bush, Gorbaciov, Thatcher, Mitterrand: tutti hanno detto sì ad una Germania riunificata ed al fatto che l'Europa potesse ora respirare di nuovo - secondo le parole di Papa Giovanni Paolo II - con entrambi i polmoni. Il raggiungimento di questo obiettivo serve anche come chiave di lettura del suo pontificato. L'allargamento dell'Unione europea procedeva a grandi passi. In Germania eravamo ormai convinti di essere circondati da amici. Le priorità politiche potevano essere reimpostate. La libertà veniva prima della sicurezza. Lo "spirito di Helsinki" aveva campo libero. La mia generazione in Germania ha vissuto un forte slancio verso una vera unità interna del Paese. La città di Berlino, dove siamo riuniti per questo incontro per la pace, dopo il 1989 ha vissuto una fioritura come capitale federale e, poco dopo, anche come sede della politica e di tutti coloro che cercano un dialogo con la politica, e come città della scienza e della cultura.
 
2
 
La democrazia in tempi di cambiamento sviluppa vitalità e attrattività, genera fiducia e sicurezza. Ciò vale anche in tempi difficili. Sono tempi favorevoli al compromesso, al dibattito e all'accettazione della crescente diversità come segno di modernità. Sono tempi favorevoli anche per affermare che la solidarietà ha la priorità rispetto all’emarginazione.
 
La democrazia, tuttavia, non è un processo che si autoalimenta. La democrazia ha bisogno di democratici. Sembra un'affermazione banale, ma ci dice tuttavia che essa è esigente; la democrazia richiede, e continua a dipendere da questo: che coloro che si assumono la responsabilità e si battono per una cultura democratica convincente attuino una comunicazione ampia, differenziata e costante.
 
3
 
Ma perché il numero delle "democrazie illiberali" è attualmente in crescita? Siamo davanti ad una espressione ingannevole: illiberalità e democrazia sono difficili da conciliare. C'è una seduzione linguistica dietro questa formulazione spesso utilizzata. Come se si trattasse di una democrazia in cui la diversità, la ricerca del compromesso e persino il liberalismo sono riconosciuti come inadatti. Il compromesso viene…compromesso, la diversità viene vista come il rifiuto di accettare determinati principi e la liberalità viene giudicata, erroneamente, come un rifiuto dell'autorità. Élite autoproclamate dichiarano di poter fornire la soluzione dei problemi, di poter dare risposte chiare, di poter prendere decisioni politiche e di agire in modo più rapido, migliore e più efficace. In breve, il mondo è ridotto a formule semplici, non sono gradite le distinzioni, così come le minoranze, e la religione è accettata solo se è utile a fungere come stabilizzatore del sistema. In definitiva, stiamo parlando di modalità diverse dello stesso fenomeno: di fronte alla complessità della realtà, si arriva alla capitolazione! Questa capitolazione è spesso connessa con un'abile mascheratura della corruzione, come anche con la fuga dalla crescente complessità - del mondo, del proprio Paese, della vita dell'individuo.
 
4
 
Bisogna aggiungere che le democrazie occidentali hanno perso il loro fascino. Le ragioni sono molteplici. Mi concentrerò sull'Europa e su un numero ristretto di motivi:
 
- In un numero sempre maggiore di Paesi europei, le prospettive per il futuro delle giovani generazioni continuano ad essere scarse. A livello europeo sono stati lanciati programmi per svariati miliardi, che però non hanno sortito alcun effetto significativo. Il rafforzamento della democrazia ha bisogno del rafforzamento dei giovani democratici, affinché vi possano prendere parte, e questo è possibile soltanto se saranno in grado di realizzarsi professionalmente ed (anche) politicamente.
 
- L'Europa ha perso un'enorme quantità di fiducia in sé stessa. Nei suoi discorsi critici sull'Europa, Papa Francesco ha ricordato a questo continente le radici, i valori e le azioni che lo hanno portato ad essere forte. La diversità è uno di questi punti di forza! La diversità sarebbe anche una chiave di svolta nel dibattito sempre più disperato sulla migrazione e sui migranti. Alcune asprezze nel dibattito nascondono la disperazione per l'insuccesso di politiche migratorie sostenibili che potrebbero aiutare l'Europa a ritrovare la sua forza e la fiducia in sé stessa.
 
- All'Europa manca una strategia per l'innovazione culturale, sociale e anche tecnologica. La strategia di Lisbona prevedeva che l'Europa crescesse per diventare, entro il 2010, "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo". I superlativi linguistici sono stati l'ultimo tentativo di incentivare l'innovazione. Non ci siamo riusciti! Anche ciò si ripercuote sulla costituzione mentale del continente.
 
Cito solo queste 3 ragioni, perché sono fermamente convinta che essi contribuiscano al fatto che i semplificatori stiano guadagnando sempre più consensi. Promettono ciò che non manterranno mai. Sono lontani dai punti di forza dell'Europa, i quali comprendono anche una visione dell'essere umano ispirata, tra l'altro, al cristianesimo. Non sono né innovativi né solidali.
 
L'Europa deve trovare risposte politiche che rafforzino la sua autostima democratica: le prospettive per i giovani e per i migranti, l'innovazione e la valorizzazione della diversità sono tra queste.

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