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Forum 2 - Le emergenze umanitarie del nostro tempo

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2023 19:59
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Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
Sesso: Maschile
13/09/2023 19:57


 



Keiichi Akagawa

Direttore di Rissho Kosei-kai International, Giappone
 biografia
I. Saluti
Buon pomeriggio. Sono molto felice di essere stato invitato all’incontro annuale di preghiera di quest’anno. Sono anche grato perché, dopo il protrarsi della pandemia da COVID-19, possiamo incontrarci ancora una volta di persona.
 
Mi chiamo Keiichi Akagawa, e sono Direttore di Rissho Kosei-kai International. Rissho Kosei-kai è un’organizzazione laica Mahayana Buddhista fondata in Giappone nel 1938, e oggi è una famiglia di circa un milione di membri in tutto il mondo. Vorrei iniziare con l’esprimere la mia sincera gratitudine alla Comunità di Sant’Egidio per aver invitato Rissho Kosei-kai a partecipare a questo convegno e per avermi dato l’opportunità di prendere la parola in questa conferenza, come negli anni scorsi. 
 
II. Audacia significa correre rischi
Vorrei iniziare con il tema di questa conferenza. La parola “audacia" significa "una volontà di correre grossi rischi”. Quando imparai il significato di questa parola, la prima cosa che mi venne in mente fu Buddha Shakyamuni. Shakyamuni era pieno di uno spirito di "audacia" quando insegnava l’eguaglianza umana, dichiarando che ogni persona, indipendentemente dall’età, dal genere, dalla nazionalità, può suscitare e compiere la liberazione dai lacci della sofferenza. 
 
La parola “audacia” mi ricorda anche una scena di 45 anni fa. Alla prima sessione speciale sul disarmo delle Nazioni Unite nel 1978, il Rev. Nikkyo Niwano, fondatore di Rissho Kosei-kai, fece un appello ai leader delle Nazioni Unite e all’Unione Sovietica, i due avversari della guerra fredda, a lavorare per la pace con le seguenti parole:  
   “Motivati dalle nostre diverse religioni, possiamo suggerire che gli uomini di stato devono assumersi dei rischi per la pace come stanno facendo oggi con le armi? Chiedo in particolare al Presidente Carter e al Primo Segretario Breznev, invece di rischiare con le armi, di assumersi maggiormente dei rischi per la pace e il disarmo. Sollecitiamo iniziative nazionali e locali per il disarmo, che potrebbero essere bilaterali oppure non esserlo. Chiediamo che ogni Stato, per forza e non per debolezza, si assuma maggiori rischi per la pace e il disarmo”
Audacia è correre grossi rischi, e solo correndo dei rischi possiamo raggiungere la pace. Per questo la pace è sempre “audace”. 
 
III. Le crisi umanitarie del nostro tempo
Il tema di questo panel è “Le crisi umanitarie del nostro tempo”. Malgrado il progresso economico e tecnologico che l’umanità ha conosciuto, le crisi umanitarie sembrano ripresentarsi continuamente. Purtroppo ce ne sono troppe da analizzare in dettaglio, ma individuerò alcune delle crisi principali che l’umanità oggi deve affrontare. 
 
Innanzitutto la crisi umanitaria in Ucraina, a seguito dell’invasione da parte della Russia. Questo conflitto ha provocato il dislocamento di civili, la distruzione di infrastrutture, un’enorme perdita di vite umane, e reso difficile l’accesso a risorse essenziali. Questo conflitto reclama gli sforzi internazionali per alleviare le sofferenze e ristabilire pace e stabilità nella regione. 
 
In secondo luogo, il popolo Rohingya, una minoranza etnica e religiosa nell’Asia meridionale, ha affrontato una continua crisi umanitaria durata decenni. La loro situazione comporta persecuzioni, profughi, ed è complicata da complessi fattori geopolitici.
 
Terzo: la crisi umanitaria risultante dalla Guerra civile in Yemen è molto preoccupante. La guerra ha portato grandi sofferenze e malattie tra la popolazione civile, causate da grave scarsità di cibo, acqua potabile, forniture mediche.
 
Quarto: la crisi umanitaria in Siria è una situazione complessa e annosa, caratterizzata da conflitti interni, dislocamenti, e ampie violazioni dei diritti umani. 
 
Quinto: la crisi migratoria in Europa e nell’America del Nord. Un grande afflusso di migranti e rifugiati che fuggono conflitti, persecuzioni, povertà e cambiamenti climatici, ha posto sfide rilevanti a entrambi i continenti. 
 
Infine, il cambiamento climatico viene riconosciuto sempre più come una crisi umanitaria a causa del suo profondo impatto sulle popolazioni vulnerabili e della sua capacità di esacerbare problemi già presenti di carattere sociale, economico e politico. 
 
IV. Cure palliative
Buddha veniva spesso chiamato “il grande medico” perché insegnava come curare la malattia spirituale. E proprio come un medico, Buddha trattava la malattia spirituale in due modi. Per prima cosa dava alla gente sollievo e benessere curando le sofferenze che provavano per motivi spirituali. Queste pratiche sono come le cure palliative di un dottore che riduce le sofferenze accompagnando i sintomi della malattia. In secondo luogo, Buddha insegnava delle pratiche per curare le malattie spirituali soggiacenti che sono la causa della sofferenza umana. Questo può essere paragonato alla cura di un medico clinico, che elimina il male alla radice della sofferenza. 
Di fronte all’immensa sofferenza umana di tante crisi umanitarie del nostro tempo, dobbiamo agire per alleviare la sofferenza immediata della gente. Per fare qualche esempio di questo tipo di cura palliativa, condividerò con voi quello che conosco meglio, alcuni sforzi che compie Rissho Kosei-kai. 
 
Il più antico è la campagna “Dona un pasto” iniziata come risposta alla fame. Oggi, i fondi di "One Meal Peace Fund" sono usati per supportare attività a favore di regioni povere, attraverso una grande varietà di progetti in dodici paesi che si focalizzano sull’alleviare la povertà, sull’educazione e lo sviluppo di risorse umane, sull’emergenza e il sostegno alla ricostruzione, iniziative ambientali, assistenza ai rifugiati, ma anche sanità e welfare. 
 
Un altro modo in cui Rissho Kosei-kai ha cercato di alleviare la sofferenza di tanti nel mondo comprende il sostegno morale e finanziario a due progetti di Sant’Egidio: il progetto DREAM e il progetto BRAVO.
 
Negli anni ‘80 Rissho Kosei-kai si era impegnata a sostenere i rifugiati dal Vietnam istituendo centri di accoglienza in Giappone. E, come molte delle esperienze religiose rappresentate qui oggi, Rissho Kosei-kai ha fornito assistenza ai rifugiati dopo l’invasione russa in Ucraina del febbraio 2022. 
 
Questi sono soltanto alcuni modi in cui abbiamo cercato di rispondere alle crisi umanitarie, e so che tutte le fedi rappresentate qui oggi hanno lavorato allo stesso modo instancabilmente per alleviare nell’immediato la sofferenza umana dovuta alle crisi umanitarie del nostro tempo. 
 
V. Le cure cliniche
Dobbiamo rispondere a chi soffre e dargli sollievo e benessere. Ma nella sua saggezza Buddha ci ha anche insegnato che non dobbiamo confondere l’alleviare il dolore e le difficoltà della sofferenza nell’immediato con la vera liberazione. Allo stesso modo, il buon medico allevia la sofferenza di un sintomo, mentre contemporaneamente lavora per eliminare la malattia profonda che provoca il sintomo. 
 
Tutti noi capiamo questo intuitivamente. Supponiamo che qualcuno che soffra spesso di mal di testa per la pressione alta prenda l’ibuprofene per il dolore. Sperimenterà un sollievo momentaneo dal suo disagio ma non si sarà liberato davvero del problema. Non si riprenderà mai dai mal di testa ricorrenti finché non avrà affrontato la sua pressione alta, che ne è la causa alla radice. 
 
Le crisi umanitarie sorgono una dopo l’altra perché le cause soggiacenti restano ampiamente non affrontate. Le nostre risposte salvano vite e così via, ad un livello individuale noi aiutiamo le persone a raggiungere il sollievo dalla sofferenza, ma credo che per raggiungere una pace duratura e porre fine al continuo sorgere di nuove crisi umanitarie, dobbiamo anche cercare di curare le cause alla radice delle crisi umanitarie. Per questo vengo guidato dagli insegnamenti di Buddha 
 
Buddha insegnava che i mali profondi che provocano la sofferenza umana sono l’avidità, la rabbia, l’ignoranza dei nostri cuori, che lui chiama “i tre veleni”. Tra questi, l’ignoranza è il più grave. E’ un tipo particolare di ignoranza. E’ ignorare l’unità di noi stessi con gli altri. Le nostre vite sono interdipendenti e intrecciate: e dal punto di vista del Lotus Sutra, il primo testo di Rissho Kosei-kai, siamo tutti manifestazioni della stessa identica entità, per questo l’umanità è una. Ogni fede conosce questa entità, questa profonda unità, con nomi diversi. Per quelli di noi che praticano il Lotus Sutra, vediamo questa entità come Buddha eterno ed originale e crediamo che siamo tutti figli di Buddha. A causa di questa fondamentale unità, le sofferenza di un’altra persona sono le nostre sofferenze, e provocare danno ad un altro, è in definitiva, far male a noi stessi. La nostra difficoltà a capire questo è l’ignoranza fondamentale che porta avidità e rabbia nell’essere, e tutte le sofferenze umane, compreso guerra, conflitto razziale, disparità economica, pregiudizio, e persino la crisi climatica, in un modo o nell’altro sono tutte espressione della rabbia e dell’avidità causate dall’ignoranza. 
 
La cura clinica per le crisi umanitarie viene trovata trasformando i tre veleni dell’avidità, della rabbia e dell’ignoranza in generosità, compassione e saggezza. Il Lotus Sutra mi insegna che questo può essere fatto praticando la via di bodhisattva. Molto semplicemente, la via di bodhisattva è vivere nella consapevolezza dell’unità dell’umanità. 
 
Se riconoscessimo la nostra entità profonda, che possiamo considerare come la nostra vita condivisa, una grande vita che viviamo tutti insieme, potremmo abbracciare i diversi paesi, le culture, i modi di pensare e le molte fedi dell’umanità. E capire l’unità tra noi e gli altri ci aprirebbe anche gli occhi alla verità profonda che, come manifestazione della stessa identica entità che ci dà il dono della vita, coloro i quali guardiamo come nostri nemici, sono in questo mondo per insegnarci qualcosa e per renderci migliori, più saggi e più umani. 
 
VI. Una chiamata ad essere “audaci” 
Capisco che è difficile per noi mostrare al mondo un cammino verso soluzioni permanenti alle crisi umanitarie. Tuttavia, possiamo aiutare a far muovere le nostre società e i nostri paesi in una direzione migliore. Puoi vedere te stesso e gli altri intorno a te come una cosa sola ed espandere questa visione fino a includere la tua comunità locale, il tuo paese, e le persone di altri paesi e fedi come parte di una sola esistenza, comprese in un’unica vita. Vi prego, viviamo questa verità e condividiamola con tutti. 
 
Questo richiederà audacia. Dovremo assumerci dei rischi. Ma facendoci molti altri amici – amici che amano e si prendono cura della gente di altri paesi e fedi come fanno essi stessi – condurrà alla realizzazione di un mondo in cui tutti possano vivere nel benessere e nella pace.
 
Vorrei concludere queste parole esprimendo la mia gratitudine per l’opportunità di condividere i miei pensieri con voi. Grazie per la vostra cortese attenzione.


Flavio De Sousa Ismael

Programma DREAM, Mozambico
 biografia
Mi chiamo Flavio Ismael e vengo dal Mozambico, un Paese di 33 milioni di abitanti, situato nell’Africa Sudorientale, vicino al Sudafrica, affacciato lungo la costa sull’Oceano Indiano.
Il mio Paese è in pace dal 1992, da 31 anni, grazie al lavoro della Comunità di Sant’Egidio che ha facilitato la fine di una guerra civile durata 16 anni, che ha ucciso più di 2 milioni di mozambicani.
Dopo la guerra, abbiamo dovuto affrontare un’altra emergenza umanitaria, l’AIDS, che ha preso milioni di vite africane, non sono nel mio Paese. 
Fortunatamente, con l’aiuto di programmi, come il programma Dream della Comunità di Sant’Egidio, e del sostegno di organizzazioni come la Banca mondiale, il PEPFAR, il Global Found e altri, siamo riusciti a superare questa crisi.
Oggi in Africa è possibile vivere con l’AIDS come una malattia cronica piuttosto che come un’emergenza.
Tuttavia le crisi umanitarie continuano in Africa, dai conflitti fra le nazioni, alle guerre civili, episodi di gravi violenze e terrorismo come la guerra civile in Etiopia, i conflitti nella Repubblica del Centrafrica, del Sudan, i recenti colpi di stato in Mali, Burkina Faso, Niger Guinea Conakry e Gabon. 
Dal 2017 la parte Nord del Mozambico, la provincia di Capo Delgado, soffre di violenti attacchi da estremisti islamici. Questa regione è ricca di risorse naturali con significativi depositi di gas, rubini, e altri minerali preziosi. Questi attacchi, volti a prendere la terra ricca di risorse, non solo hanno causato centinaia di morti, ma hanno anche costretto migliaia di donne, uomini e bambini a fuggire. Circa 900.000 mozambicani sfollati internamente cercano sicurezza vicino alla città di Pemba, la capitale della provincia di Capo Delgado, nella vicina provincia di Nampula e nei campi profughi istituiti per loro.
 
Questi conflitti, insieme al COVID-19, alla guerra Ucraina-Russia e all'instabilità politica, aggravano la fame, la carestia e la vulnerabilità tra le popolazioni, non solo nel mio paese ma in tutto il continente.
 
A questo contesto, si aggiunge il fenomeno del cambiamento climatico, una delle principali sfide che l'Africa sta affrontando da diversi anni. Mentre la crisi ambientale è un'emergenza globale, è ancora più pronunciata in Africa. Anche se l'Africa contribuisce meno al riscaldamento globale, è la regione più esposta ai suoi effetti negativi. Secondo il rapporto "Stato del clima in Africa" (2021), le temperature nel continente continuano a salire, raggiungendo livelli insostenibili per la popolazione. Il riscaldamento globale è stato più veloce in Africa rispetto alla media globale, con temperature che superano i 50 gradi centigradi in alcuni Paesi. Ciò pone il rischio che gran parte del continente possa diventare inabitabile nei prossimi anni, riducendo ulteriormente il PIL dei paesi africani già impoveriti.
 
Il cambiamento climatico colpisce violentemente l'Africa con cicloni, siccità, invasioni di locuste e altri fenomeni sempre più frequenti che distruggono le colture, le case e aumentano la povertà e la fame.
 
Nel marzo 2019, il Mozambico è stato colpito da un potente ciclone che ha devastato la città di Beira e ha causato distruzione e perdita di vite umane. Il ciclone IDAI ha distrutto o danneggiato il 90% delle case della città, causando perdite significative di vite umane e interi villaggi. Ancora oggi, centinaia di persone vivono in campi di sfollamento in aree disboscate e isolate, facendo affidamento su tende o capanne di fortuna come riparo. Hanno perso i loro mezzi di sussistenza e dipendono dagli aiuti senza alcuna prospettiva di tornare a casa.
 
Nel 2023, il ciclone Freddy, uno dei più forti registrati nell'emisfero australe, ha colpito duramente il Malawi, in particolare la regione meridionale e la città di Blantyre. I forti venti e le piogge incessanti hanno causato danni devastanti, con alluvioni, frane e inondazioni che hanno sommerso interi villaggi. 500 persone sono morte, centinaia sono disperse e 500.000 sono senzatetto. Il ciclone ha colpito poche settimane prima del raccolto, distruggendo colture e bestiame nei distretti meridionali. Fino al prossimo raccolto, le condizioni di vita per molte famiglie saranno dure e lo spettro della fame aumenta di giorno in giorno.
 
Sant'Egidio è profondamente coinvolta nella distribuzione di cibo nei campi profughi e nei villaggi più  remoti colpiti dalle crisi climatiche. In Mozambico e Malawi, gestiamo centri nutrizionali per migliaia di bambini malnutriti, alcuni dei quali sono orfani, altri provengono da famiglie molto povere. Recentemente, in uno di questi centri, dove accogliamo bambini dai 5 ai 14 anni, un bambino è arrivato portando due fratelli più piccoli, uno di 2 anni e l'altro di 3 anni, chiedendo di condividere il suo piatto con loro perché non avevano cibo a casa da diversi giorni.
 
Nel 2000, tutte le nazioni del mondo, nel quadro delle Nazioni Unite (Obiettivi di sviluppo del millennio), si sono impegnate a dimezzare la povertà entro il 2015. In realtà, questo obiettivo impegnativo non è stato raggiunto; infatti, la fame nel mondo è aumentata dopo un secolo, specialmente in Africa. L'Africa sub-sahariana affronta una triste realtà, con la più alta percentuale di persone malnutrite, circa una su quattro secondo le recenti stime delle Nazioni Unite. Tra i Paesi in cui la percentuale di persone malnutrite supera il 35%, i primi tre sono in Africa. Dopo il COVID-19 e la guerra Ucraina-Russia, i prezzi dei beni di consumo sono aumentati di dieci volte, rendendo difficile per le famiglie persino comprare il pane. Stiamo assistendo a un significativo impoverimento delle famiglie che fino a pochi anni fa non avevano problemi di sopravvivenza e, allo stesso tempo, il numero di bambini, anziani e malati che cercano cibo sta crescendo rapidamente.
 
Secondo le stime della FAO, ogni anno, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono perse o scartate in tutto il mondo, di cui 88 milioni all'interno dell'Unione europea. Tale importo equivale al 50% della produzione mondiale di grano e a un terzo dell'intera produzione destinata al consumo umano. Lo spreco alimentare è una grande contraddizione in un mondo affamato.
 
La povertà è diffusa nell'Africa moderna, con circa il 40% dei Paesi africani in fondo a tutte le principali classifiche nazionali di ricchezza, come quelle basate sul reddito pro capite o sul PIL pro capite, nonostante spesso abbiano notevoli risorse naturali. Nell'elenco dei 50 Paesi meno sviluppati del mondo compilato dalle Nazioni Unite, 23 posizioni sono occupate dai Paesi africani, il che contraddice le risorse significative esportate in Occidente.
 
Il Malawi, uno dei paesi più poveri, è un importante produttore di canna da zucchero. Tuttavia, c'è spesso una totale mancanza di zucchero nei mercati, perché è interamente esportato in Occidente. La soluzione: dobbiamo portare il cibo dove non ce n’è e soprattutto, garantire che i paesi africani possano produrre in modo indipendente il cibo di cui hanno bisogno.
 
Sotto la superficie del continente più assetato, ci sono vaste riserve d'acqua. Eppure, 300 milioni di africani non hanno accesso all'acqua potabile pulita. Il sottosuolo africano è ricco di acqua. Il vero problema è accedervi. Quando i bambini arrivano nei nostri centri nutrizionali, la loro prima richiesta, prima di mangiare, è di tre o quattro bicchieri d'acqua. Sfortunatamente, le emergenze di fame e carenza d'acqua in Africa sembrano essere dimenticate dal mondo globale. La globalizzazione porta il dominio economico e culturale della mentalità orientata al profitto, specialmente per i paesi poveri. Il Programma alimentare mondiale (WFP) dovrebbe essere rafforzato, non impoverito, come sta accadendo ora, insieme agli sforzi per combattere lo spreco alimentare e impedire a interi gruppi umani di sprofondare nella fame e nella povertà. Dobbiamo anche promuovere un'agricoltura che valorizzi la biodiversità, non danneggi la terra e affronti la questione dell'accaparramento della terra, che sottrae la terra alla produzione agricola. Sulla base della mia esperienza con il lavoro di cura dell'AIDS di Sant'Egidio in dieci paesi africani, ho visto come gli aiuti alimentari del Programma per l’alimentazione mondiale delle Nazioni Unite, integrino efficacemente l'assistenza in paesi come il Mozambico, il Kenya, la Guinea Conakry, la Tanzania e la Repubblica Centrafricana, dove i pazienti affetti da HIV sono spesso malnutriti. Il cibo è fondamentale, soprattutto per i bambini malnutriti.
 
Il destino del cibo africano negli ultimi anni riguarda tutti noi. È ora di prestare attenzione al problema e aumentare la consapevolezza della sua urgenza, un dovere che dobbiamo assumere immediatamente. Anche in tempi complessi, una piccola scintilla di speranza è sempre utile.
 
Abbiamo bisogno di più solidarietà e cooperazione. Le azioni di emergenza umanitaria devono essere consentite ogni volta che si verificano situazioni di crisi e l'accesso alle popolazioni bisognose non può essere limitato o definito dagli Stati o dalle parti in guerra; è un diritto dei bisognosi e un dovere per tutti. Non ci sono categorie giuste o sbagliate; ci sono solo persone bisognose di sostegno che dovrebbero essere accolte e aiutate.
 
Abbiamo bisogno di politiche europee più olistiche per le emergenze umanitarie che coinvolgano sempre l'Africa e i giovani africani, che non dovrebbero e non devono essere dimenticati. 
 
Come possiamo spiegare ai giovani che i loro Paesi sono ricchi, ma la loro ricchezza non è sufficiente per nutrirli? Come spieghiamo che la loro terra, essendo fertile e avendo tutte le risorse idriche disponibili, non può produrre quello di cui hanno bisogno per nutrirsi? Siamo esseri umani diversi? Qual è la differenza? Quali le opportunità? 
 
I giovani vogliono superare la "normalità" delle emergenze umanitarie con cui sono abituati a convivere. Non vogliono e non accetteranno questa situazione per i loro figli e le generazioni future. Non emigrano per scelta; non vogliono vivere solo di cibo, di beni di prima necessità e di altro supporto offerto loro. Vogliono una vita dignitosa, un'istruzione di qualità, posti di lavoro dignitosi. Vogliono produrre il proprio cibo, beni e ciò di cui hanno bisogno. Vogliono essere medici, insegnanti, ingegneri. Vogliono la loro Africa.
Negli ultimi anni, c'è stata una crisi migratoria dall'Africa all'Unione europea, poiché migliaia di africani tentano pericolosamente, e spesso fatalmente, di attraversare il Mar Mediterraneo e i Balcani. Questa migrazione è per lo più intrapresa da giovani che rappresentano l'élite della popolazione africana. Il loro obiettivo è sopravvivere, sfuggire alle crisi (politiche, economiche, sanitarie) e cercare condizioni migliori, spesso non per sé stessi ma per i loro figli, le proprie famiglie e le generazioni future. Molti dei miei connazionali, tra cui donne e bambini, non raggiungono mai la terra e muoiono in mare, spesso perché non c’è la volontà di tendere loro la mano.
 
Dobbiamo fare di più; abbiamo bisogno di tutti: Europa, America, Asia, tutti voi, tutti, ma con un nuovo approccio, per liberare veramente l'Africa e costruire società africane sane e prospere, con soluzioni su misura per la loro cultura, dignità e per un mondo migliore in cui ognuno abbia opportunità e sia importante.
L'Occidente può accelerare lo sviluppo dei paesi africani concentrandosi sui giovani africani attraverso l'educazione alla pace, promuovendo politiche di genere inclusive, fornendo l'accesso alla terra e al sistema finanziario e trasferendo conoscenze in tecniche e tecnologie per la produzione di materiali e la costruzione di infrastrutture solide.
 
La solidarietà è urgentemente necessaria. Abbiamo bisogno di più di Sant'Egidio. Dobbiamo uscire dalla nostra zona di comfort per andare incontro agli altri. Non ci sono continenti o paesi; ci sono persone, e abbiamo sempre meno tempo per dare una mano.
 
A tal fine, vorrei fare appello a tutti individualmente e collettivamente per una profonda riflessione. È tempo di cambiare e dare priorità ai valori della vita, della solidarietà, dell'umanesimo e dell'equità. È il momento di azioni più globali con un impatto a lungo termine. Solo allora avremo un mondo migliore, proprio per tutti.
 
Dobbiamo iniziare su nuove basi per evitare di perdere l'opportunità data da questa crisi globale, per trasformarla in un nuovo inizio e non in una storia di degrado o, peggio, che ci separi gli uni dagli altri. La nostra responsabilità risiede qui, sia come individui che come comunità di persone di diverse fedi.
 
Cominciamo insieme!
Grazie per l'attenzione.
Restiamo uniti!

[Modificato da MARIOCAPALBO 13/09/2023 19:58]
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Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
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13/09/2023 19:59





Gaël Giraud


Economista, Francia
 biografia
Innanzitutto, vorrei ringraziare la Comunità di Sant'Egidio per l'invito. È un piacere e un onore per me essere qui con voi oggi.
Dal punto di vista di un economista, quale io sono, ci sono tre emergenze che hanno a che fare con la pace e la guerra sul nostro pianeta: il Sahel, l'acqua e l'Ucraina.
Nel Sahel,  la situazione politica della regione desta la massima preoccupazione: non solo le truppe della Wagner sono presenti a Bangui, ma pare che il governo del Ciad  stia cercando di stringere accordi con questa milizia strettamente legata alla Russia. Il Ciad corre il pericolo di una “sudanizzazione” del conflitto tra il Nord e il Sud, il che sarebbe una catastrofe per il paese, anzi per l'intera regione.  Tuttavia, esistono alternative democratiche e pacifiche anche in Ciad: lo testimonia il mio ex studente Succès Masra Assyongar, il più importante oppositore politico del regime al potere.
Insieme al Ciad, è l'intera zona del Sahel ad essere minacciata di diventare l'Afghanistan dell'Africa. Si tratta di una grave minaccia per la pace nel continente africano e per l'intero pianeta, perché, come sapete, l'Africa ospiterà almeno un miliardo di persone in più entro il 2050, una parte significativa delle quali proverrà dal Sahel. Se questo sarà diventato l'”Afrikanistan”, le nuove generazioni del Sahel avranno pochissimo accesso all'istruzione e saranno un boccone d'oro per le milizie paramilitari private e per  i gruppi jihadisti come Boko Haram.
Il Muro Verde mi sembra l'unica vera risposta a questa prospettiva. Il Muro Verde è l'idea che l'Occidente, in particolare l'Europa, possa investire nella promozione dell'agro-ecologia lungo il Sahel per contrastare la desertificazione e gli effetti devastanti del riscaldamento globale.  Finora, il Muro Verde è solo uno slogan portato avanti dalla comunità internazionale. Gli investimenti sono stati così scarsi che è giusto dire che questo progetto non è ancora decollato. Quali sono le possibilità di successo? Dipende da dove si trovano le fonti d'acqua. Tuttavia, sappiamo che il Sahel era un mare 13.000 anni fa. Quindi ci sono molte acque sotterranee nella regione.
Se ci diamo i mezzi per identificare le risorse idriche (e questi mezzi esistono) e per finanziare gli investimenti necessari affinché la popolazione locale possa estrarre l'acqua e vivere di essa, possiamo avviare un progetto di agricoltura ecologica (con soluzioni di energia rinnovabile
decentralizzata, come pannelli solari, pompe elettriche e formazione) che rallenterà in modo sostenibile la desertificazione e la tragedia delle migrazioni. Come si trova l'acqua di falda? L'ingegnere Alain Gachet dispone dei mezzi per farlo con grande precisione. Anche il progetto GRACE della NASA può aiutare.
 
La seconda urgenza è in realtà un'estensione della prima. Sappiamo che nell'anno 2030, cioè domani mattina, il "gap di domanda" di acqua potabile sarà probabilmente del 40%, se non facciamo qualcosa entro quella data. Ciò significa che due persone su cinque non avranno accesso
all'acqua potabile, vale a dire più di 3 miliardi di persone. Coloro che non hanno accesso all'acqua potabile saranno malnutriti e soffriranno la fame.
 
Due mesi fa sono stato nella giungla amazzonica su invito degli indigeni Sarayaku. Per quanto possa sembrare paradossale, posso testimoniare che ci sono popolazioni amazzoniche che già mancano di acqua potabile. Questo è paradossale, perché la traspirazione dei grandi alberi dell'Amazzonia è responsabile di un quinto dell'acqua che beviamo. Per combattere la mancanza di
acqua potabile, ci sono diverse opzioni: In primo luogo, ovunque sia possibile, l'acqua dovrebbe essere trattata come un bene comune e la sua privatizzazione dovrebbe essere impedita. La Slovenia
ha appena sancito nella sua costituzione che l'acqua è un bene comune che non può essere privatizzato. È il primo Paese in Europa e il quindicesimo al mondo a farlo. Ma possiamo anche pensare di ridurre la produzione agricola su scala globale. Noi produciamo oggi per 12 miliardi di persone. Poiché siamo solo 8 miliardi di persone, ciò significa che un terzo del cibo prodotto viene buttato via, soprattutto nel Nord del mondo. Se ponessimo fine a questa cultura dello spreco alimentare in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, potremmo risparmiare miliardi di litri di acqua potabile ogni anno, che potremmo utilizzare per dare da bere alla popolazione umana che ne ha bisogno. Ancora una volta, le risorse sotterranee fanno parte delle soluzioni. Sappiamo che nel sottosuolo c'è una quantità d'acqua trenta volte superiore a quella presente in superficie. La questione è dove si trova e come permettere alle popolazioni locali di estrarla.
 
La terza urgenza ai miei occhi è ovviamente l'Ucraina.
 
L'Ucraina si trovava sulla Via della Seta cinese, che collega Mosca a Istanbul. Certamente poiché
l'Ucraina non è solo un Eldorado per l'agricoltura (l'Ucraina da sola può sfamare 600 milioni di persone), ma anche per l'industria mineraria.
Tra le varie motivazioni dell'invasione russa c'è sicuramente la prospettiva di mettere le mani su un tesoro di risorse naturali. Ora sappiamo che la transizione verso le energie rinnovabili consuma più minerali di un'economia basata sui combustibili fossili.
Quindi tutti sanno che in futuro avremo bisogno di più metalli che in passato.
Siamo quindi già entrati in una guerra globale per i metalli, la cui parte più visibile è forse l'Ucraina. Una "guerra a pezzi", come direbbe Papa Francesco. Tuttavia, a parte il fatto che sono in gioco le risorse naturali, c'è un'altra dimensione nascosta dell'invasione russa dell'Ucraina. Pochi mesi dopo l'invasione, Washington ha escluso Mosca dal sistema di pagamento Swift. I giornali americani avevano previsto all'epoca che questo sarebbe stato l'Armaggedon per la Russia, che non sarebbe mai stata in grado di sopravvivere a  simili sanzioni. Ma la Russia è sopravvissuta. Ha persino stipulato accordi internazionali con grandi nazioni - Cina, India... - per la fornitura di energia in valute diverse dal dollaro.
Tutto ciò significa, agli occhi del mondo, che è possibile vivere e prosperare al di fuori del sistema Swift, quindi al di fuori della tutela della NATO, cioè degli Stati Uniti.
Questo è uno dei motivi per cui molti Paesi del Sud globalizzato si sono rifiutati di votare alle Nazioni Unite a favore delle sanzioni contro Mosca.
Il grande filosofo illuminista Gottlob Lessing scrisse un'opera teatrale, Nathan il saggio, in cui si tratta della parabola dei tre anelli: muore un re che aveva tre figli. Ognuno dei suoi figli
pretende di essere l'erede al trono perché prima di morire il padre gli aveva lasciato in eredità l'anello del potere.
Solo uno dei tre anelli è quello vero, ma tutti e tre sono indistinguibili l'uno dall'altro.
Entra in scena il profeta Natan, che raduna i tre figli insieme e si rivolge a loro: Oggi non sappiamo chi sia il vero erede. Ma è il vostro comportamento etico che permetterà di saperlo nel corso della storia, perché il vero erede deve essere saggio, giusto e buono. Lessing pensava naturalmente alle tre religioni monoteiste e propose loro una gara etica e spirituale: chiunque si dimostri saggio, giusto e buono dimostrerà di essere la vera religione.
 
Oggi, ovviamente, non tre ma centinaia di religioni e tradizioni spirituali sono coinvolte in questa
competizione etica. Ed è proprio qui che il confronto tra la coppia russo-cinese e la NATO ci indica una forma di competizione etica di dimensioni globali. Se vogliamo che questo confronto non degeneri in una guerra mondiale, anche se ormai tutti hanno capito che è possibile vivere al di fuori del grembo americano, significa che le nazioni sono coinvolte in una competizione etica.
 
Non si può dire che l'economia dell'Occidente sia davvero attraente per i paesi del Sud: ora è in gran parte controllata dal “quantitative easing” delle grandi banche centrali, che tengono in vita le banche zombie e le grandi aziende tecnologiche, anch'esse zombie.
Infatti Uber e Netflix non hanno quasi mai realizzato profitti. Tesla ha realizzato pochissimi profitti.
Queste enormi aziende vivono grazie al denaro delle banche centrali, che le banche prestano loro e con cui acquistano le proprie azioni sui mercati. I prezzi delle loro azioni salgono alle stelle, dando così l'impressione di essere molto ricche. Solo i giganti che estraggono idrocarburi fossili e minerali fanno davvero profitti.
 
Questo capitalismo diseguale, popolato da aziende tecnologiche simili a zombie e da compagnie minerarie inquinanti, e in cui tante classi medie disincantate finiscono per votare per l'estrema destra, è profondamente tossico.
Non sorprende che molti Paesi del Sud del mondo non siano disposti ad abbracciare il capitalismo.
 
Quindi, se vogliamo che la guerra in Ucraina non diventi la prima fase di una guerra globale per le risorse naturali, nella quale la NATO sarebbe isolata dal resto del mondo, abbiamo urgentemente bisogno di inventare una diversa forma di capitalismo e un diverso sistema finanziario internazionale e di lanciare una nuova Bretton Woods a favore dei Paesi del Sud. Allora, nel corso della storia, il profeta Nathan sarà in grado di dire chi è il vero erede delle promesse di prosperità e giustizia introdotte dalla modernità occidentale.

Bertram Meier

Vescovo cattolico, Germania
 biografia
Gentili signore e signori,
per la prima volta l'incontro internazionale di preghiera per la pace della Comunità di Sant'Egidio si tiene a Berlino. L'incontro lancia un chiaro segnale: Le religioni possono e devono essere promotrici di pace. Ma come si può fare in tempi di profonde crisi umanitarie?
Chiunque osservi il nostro mondo con lucidità giunge rapidamente alla conclusione che stiamo vivendo in modalità di "crisi permanente". Non pochi hanno la sensazione che il mondo sia in una spirale negativa, addirittura forse con l’impressione di trovarsi in una sorta di apocalittica fine dei tempi. In molti casi, non sembra semplicemente che una crisi segua un’altra crisi, ma che le crisi si sovrappongano e si rafforzino a vicenda. Crisi finanziaria, crisi dell'euro, crisi migratoria, crisi del coronavirus, crisi ecologica, crisi della democrazia, crisi dell'ordine internazionale: queste parole d'ordine illustrano perché alcuni parlino di un'epoca di "crisi multiple". L'esempio della crisi ecologica - il drammatico cambiamento climatico, l'estinzione delle specie e l'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali - illustra la permanenza e la complessità dei fenomeni di crisi odierni. 
Se guardiamo oltre l'Ucraina, se guardiamo alla Cina, se guardiamo al Sud Sudan, ci appare con chiarezza che stiamo vivendo in un'epoca in cui il nostro precedente ordine mondiale - compresi il diritto internazionale e i diritti umani - viene messo massicciamente in discussione. Siamo forse alle soglie di un'epoca di disordine mondiale?
Guardare alla Germania e ad altri Stati dell'Unione Europea non avrà certo un effetto tranquillizzante. Anche qui, infatti, populismo, xenofobia, tendenze antidemocratiche e nazionalismo si stanno diffondendo a un ritmo allarmante. A volte si fanno addirittura dei paralleli tra gli anni Venti del secolo scorso e quelli di oggi. In ogni caso, è difficile evitare l'impressione che molte lezioni della storia vengano dimenticate. Papa Francesco lo ha descritto in modo molto preciso:
"Per decenni è sembrato che il mondo avesse imparato da tante guerre e catastrofi e si dirigesse lentamente verso varie forme di integrazione. [...] Ma la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali". (Fratelli tutti, nn. 10 e 11)
Pertanto, quando parliamo di crisi "umanitarie" del nostro tempo, dobbiamo sempre tenere presente che humanum ha due significati. Innanzitutto, sono crisi che colpiscono le persone - e in modo particolare i poveri, gli emarginati. Ma non di rado sono anche crisi "create dall'uomo": sofferenze che alcuni aggiungono agli altri - per egoismo, paura o fanatismo, mancanza di speranza e di amore. Non voglio minimizzare le cause strutturali di molte crisi, ma non dobbiamo usarle come scuse per assolverci dalla colpa.
Come vescovo, cosa posso dire rispetto alle crisi del nostro tempo? Invece di andare a pescare nel campo proprio dei sociologi e degli esperti di sicurezza, vorrei presentarvi - in modo breve e conciso - alcune riflessioni plasmate dalla fede cristiana: 
 
1. Nonostante tutte le crisi, persino le catastrofi: I cristiani vivono della Buona Novella. In Gesù Cristo, il Regno di Dio è sorto su questo mondo. Non sarà mai pienamente realizzato su questa terra, ma il Regno di Dio è già qui. Chi vive seguendo Cristo sperimenta questo: Non le tenebre, ma la luce prevale. Perciò, per i cristiani, la speranza prende il posto della rassegnazione. 
2. La speranza in cui viviamo non deve essere una speranza di attesa passiva, ma una speranza attiva. Gesù stesso ci rende partecipi, ci manda "ad annunciare il regno di Dio e a guarire i malati" (Lc 9,2). La fuga dal mondo non è un'opzione per i cristiani! Si tratta invece di accettare seriamente questo mondo con tutti i suoi problemi - nella fiducia che Dio ci salverà dal male (cfr. Gv 17,15). È quindi nostro compito essere nel mondo, essere coinvolti e servire il bene comune.
3. Come ho appena spiegato, molte delle nostre crisi sono causate dall'uomo. Finché l'avidità, l'egoismo e l'odio saranno presenti nei cuori delle persone, continueremo a vivere in conflitti e crisi, nonostante tutti gli sforzi strutturali per garantire la pace e gestire le crisi. Il messaggio fondamentale di Gesù, "Convertitevi!", non ha quindi perso la sua attualità. Giorno dopo giorno dobbiamo chiedere - per noi stessi e per tutti - che il Signore operi nelle persone come espresso nella parola della Bibbia: "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. (Ez 36,26)
4. Tutto questo fa capire che le crisi del nostro mondo possono essere superate solo se ci sono persone ricolme di forza e di speranza: Persone che si oppongono alle piccole e grandi ingiustizie; che si battono per i diritti umani; che prestano soccorso in caso di emergenza e di calamità; che facilitano il dialogo e l'incontro; persone che osano la pace - come è il motto di questa Assemblea.
 
Il dialogo interreligioso ha un ruolo importante da svolgere in questo processo. Già Papa Paolo VI, nella sua enciclica inaugurale Ecclesiam Suam, incoraggiò i cristiani a difendere l'ideale della "fratellanza umana" insieme alle persone di altre fedi (Ecclesiam Suam, n. 112). Per Papa Francesco, invece, parlare di "fratellanza di tutti gli uomini" è diventato per così dire un leitmotiv - lo testimoniano le sue due encicliche sociali Laudato si' e Fratelli tutti. Più volte ricorda alle persone di religioni e visioni del mondo diverse che sono legate le une alle altre come fratelli e sorelle: 
Figli dell'unico Creatore, responsabili della cura della casa comune. E chiede con urgenza al Creatore di infondere lo "spirito di fraternità" nel cuore degli uomini; solo così sarà possibile costruire un "mondo più umano, senza fame e povertà, senza violenza e guerra" (cfr. la preghiera al Creatore di Fratelli tutti). 
La fede ci incoraggia e ci permette di vivere insieme nella giustizia e nella pace. Questa dovrebbe essere la nostra missione e il nostro obbligo, soprattutto in tempi di crisi.
 

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