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ASSEMBLEA DI APERTURA "L'AUDACIA DELLA PACE"

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2023 20:09
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Città: CORIGLIANO CALABRO
Età: 55
Sesso: Maschile
12/09/2023 19:51






Cari fratelli e sorelle,
 
vi riunite quest’anno a Berlino, presso la Porta di Brandeburgo, Capi cristiani, Leader delle religioni mondiali e Autorità civili, radunati dalla Comunità di Sant’Egidio, che con fedeltà continua il pellegrinaggio di preghiera e di dialogo avviato da San Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. Il luogo del vostro incontro è particolarmente evocativo per il fatto che, proprio dove vi riunite, è avvenuto un fatto storico: la caduta del muro che separava la due Germanie. Quel muro divideva anche due mondi, l’Ovest e l’Est dell’Europa. La sua caduta, avvenuta con il concorso di vari fattori, il coraggio di tanti e la preghiera di molti, ha aperto nuove prospettive: libertà per i popoli, riunificazione di famiglie, ma anche speranza di un nuova pace mondiale, successiva alla guerra fredda.
 
Purtroppo, negli anni, non si è costruito su questa speranza comune, ma sugli interessi particolari e sulla diffidenza nei riguardi altrui. Così, anziché abbattere muri, se ne sono innalzati altri. E dal muro alla trincea il passo, purtroppo, è spesso breve. Oggi la guerra devasta ancora troppe parti del mondo: penso a tante zone dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche a molte altre regioni del pianeta; e all’Europa, che conosce la guerra in Ucraina, un conflitto terribile che non vede fine e che ha provocato morti, feriti, dolori, esodi, distruzioni.
 
Lo scorso anno ero con voi a Roma, al Colosseo, per pregare per la pace. Abbiamo ascoltato il grido della pace violata e calpestata. Allora dissi: «l’invocazione della pace non può essere soppressa: sale dal cuore delle madri, è scritta sui volti dei profughi, delle famiglie in fuga, dei feriti o dei morenti. E questo grido silenzioso sale al Cielo. Non conosce formule magiche per uscire dai conflitti, ma ha il diritto sacrosanto di chiedere pace in nome delle sofferenze patite, e merita ascolto. Merita che tutti, a partire dai governanti, si chinino ad ascoltare con serietà e rispetto. Il grido della pace esprime il dolore e l’orrore della guerra, madre di tutte le povertà».
 
Di fronte a questo scenario, non ci si può rassegnare. Occorre qualcosa di più. Occorre “l’audacia della pace”, che è al cuore del vostro incontro. Non basta il realismo, non bastano le considerazioni politiche, non bastano gli aspetti strategici messi finora in atto; occorre di più, perché la guerra continua. Occorre l’audacia della pace: ora, perché troppi conflitti perdurano da troppo tempo, tanto che alcuni sembrano non avere mai termine, così che, in un mondo in cui tutto va avanti veloce, solo la fine delle guerre sembra lenta. Ci vuole il coraggio di saper svoltare, nonostante gli ostacoli e le obiettive difficoltà. L’audacia della pace è la profezia richiesta a quanti hanno in mano le sorti dei Paesi in guerra, alla Comunità internazionale, a tutti noi, specie agli uomini e alle donne credenti, perché diano voce al pianto delle madri e dei padri, allo strazio dei caduti, all’inutilità delle distruzioni, denunciando la pazzia della guerra.
 
Sì, l’audacia della pace interpella in modo particolare i credenti, nei quali si converte in preghiera, per invocare dal Cielo quel che sembra impossibile in terra. L’insistenza della preghiera è la prima forma di audacia. Cristo nel Vangelo indica la «necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1), dicendo: «chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11,9). Non abbiamo paura di diventare mendicanti di pace, unendoci alle sorelle e ai fratelli delle altre religioni, e a tutti coloro che non si rassegnano all’ineluttabilità dei conflitti. Io mi unisco alla vostra preghiera per la fine delle guerre, ringraziandovi di cuore per quanto fate. 
 
Occorre infatti andare avanti per valicare il muro dell’impossibile, eretto su ragionamenti che appaiono inconfutabili, sulla memoria di tanti dolori passati e di grandi ferite subite. È difficile, ma non è impossibile. Non è impossibile per i credenti, che vivono l’audacia di una preghiera speranzosa. Ma non dev’essere impossibile nemmeno per i politici, per i responsabili, per i diplomatici. Continuiamo a pregare per la pace senza stancarci, a bussare, con spirito umile e insistente alla porta sempre aperta del cuore di Dio e alle porte degli uomini. Chiediamo che si aprano vie di pace, soprattutto per la cara e martoriata Ucraina. Abbiamo fiducia che il Signore sempre ascolta il grido angosciato dei suoi figli. Ascoltaci, Signore!
 
Roma, San Giovanni in Laterano, 5 settembre 2023






Angelika Wagner

Comunità di Sant’Egidio, Germania
 biogr
Signor Presidente della Repubblica Federale di Germania, 
Signor Presidente della Guinea Bissau,
Distinti rappresentanti delle grandi religioni mondiali,
signori e signore,
cari amici,
Benvenuti all’assemblea inaugurale dell’incontro internazionale “L’Audacia della Pace”.
Sono passati 37 anni dal primo incontro di Assisi. Un lungo pellegrinaggio di pace fatto di incontri, amicizia, preghiere che si è snodato attraversato città e paesi, attraversando i tornanti della storia senza rinunciare a radunare un popolo che crede in un futuro di pace dove sia possibile vivere insieme.
 
Abbiamo ancora negli occhi le memorabili immagini dell’incontro di Roma, quando un “Grido di pace” ha risvegliato le nostre coscienze e ci ha chiesto di uscire dalla rassegnazione e dall’irrilevanza. Quel grido voleva riassumere le voci che da tante parti del mondo si alzano a causa delle sofferenze della guerra. Si, la guerra, il grande male che sembra voler accompagnare la storia degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Lo diciamo con preoccupazione.
 
Ridestati dalle grida di tanti siamo qui per trovare l’Audacia dei cercatori di Pace!
Oggi, qui, a Berlino, città simbolo di un’Europa ricostruita sui valori della pace e della solidarietà, città che ha dimostrato al mondo che la divisione e i muri non sono un destino ineluttabile.
Ci aiuteranno in questi giorni, rappresentanti delle grandi religioni mondiali, umanisti, personalità della cultura e della società civile di ogni parte del mondo. 
Con noi oggi il Presidente della Repubblica Federale di Germania, Frank-Walter Steinmeier che ringraziamo per la sua presenza e per l’attenzione con cui da tempo segue il lavoro per la pace e per il dialogo della Comunità di Sant’Egidio. Conosciamo la sua sensibilità umana e politica ai temi del dialogo e della costruzione della pace. Grazie Signor Presidente. 
Siamo grati per la presenza del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al Tayyeb, uomo di pace e di dialogo, propiziatore insieme a papa Francesco della dichiarazione Human Fraternity for World Peace And Living Together firmata ad Abu Dhabi nel 2019, ma già da molti anni arricchisce questi Incontri con la sua presenza e la sua parola sapiente 
Saluto con rispetto il Signor Presidente della Repubblica della Guinea Bissau, voce autorevole del continente africano. La sua presenza riafferma con forza l’esistenza di un destino comune tra Africa ed Europa. Grazie di essere con noi.
 
Vorrei infine ringraziare di tutto cuore il professore Andrea Riccardi e, attraverso di lui, tutta la Comunità di Sant’Egidio, per aver preservato e rilanciato in questi anni lo spirito di Assisi, così importante nel nostro mondo frammentato e spaesato.



Andrea Riccardi


Storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio
 biografia
Signor Presidente della Repubblica Federale Tedesca,
Signor Presidente della Repubblica di Guinea-Bissau,
Illustri rappresentanti delle Chiese e delle Religioni mondiali,
Cari amici,
 
è significativo -per donne e uomini di religioni differenti, pensosi sulla pace- trovarsi a Berlino. In questa città, la storia non tace. Parla di grandi dolori, quelli del conflitto mondiale, del totalitarismo, della Shoah, della guerra fredda. 
Gli stessi deportati sapevano quanto fosse decisivo ricordare la guerra. Abram Cytryn, ebreo nel terribile ghetto di Lodz, morto a Auschwitz, animo di poeta, spiega perché cominciò a scrivere la storia di quel recinto di dolore: “Vivendo nell’inferno del ghetto -dice- e vedendo colare il sangue dei miei fratelli, ho deciso di fissare sulla carta la mia testimonianza… Vorrei che il sangue schizzasse sulla carta per trasmettere alle generazioni future la memoria di questi anni impietosi”.  
 
Il sangue schizzato da quegli anni impietosi, la voce dei testimoni, hanno consolidato la cultura della pace, fondata sull’orrore della guerra e la coscienza di quanto male gli uomini possono fare in guerra. Questa cultura della pace è divenuta, specie in Europa orientale, anche una forza pacifica che ha colpito la violenza del potere. 
 
Il passare del tempo, la scomparsa della generazione della guerra e dei testimoni della Shoah hanno indotto alla dimenticanza dell’orrore per la guerra. Fino alla sua riabilitazione come strumento per risolvere i conflitti o affermare i propri interessi. La guerra è la negazione del destino comune dei popoli. E’ la sconfitta della politica e dell’umanità. Resuscita incubi e inferni della storia, oggi peggiori per la potenza di armi e tecnologie, ignote nel passato.
 
Berlino però dice molto anche in altro senso. Rinnovata capitale della Repubblica Federale, parla forte delle grandi conquiste della libertà: la riunificazione della Germania, la fine della divisione del mondo in blocchi, la solidarietà e il valore della democrazia, l’accoglienza a persone di altra origine. Qui l’eredità della guerra è durata quasi mezzo secolo oltre il ‘45, così difficile per questa città. E’stata cancellata -lo sottolineo- non con un’altra guerra, ma con un movimento, che è stato pressione pacifica della gente (che ha sacrificato se stessa), diplomazia, dialogo, audacia. L’audacia dell’89!
 
In un certo senso, il 1989 in Europa ha ribaltato il paradigma del 1789, per cui una rivoluzione vera si fa sempre con la violenza. Berlino racconta come si può far cadere il Muro a mani nude e far rinascere una città libera e unita. Dopo l’89, una generazione ha sperato in un mondo più unito, pacifico, democratico. Ma qualcosa non è andato nel senso sperato, forse per il modo provvidenzialistico di credere nel processo di globalizzazione, tanto economico.
 
La globalizzazione dei mercati non si è accompagnata a quella della pace, della democrazia, dello spirito. Tensioni, contrapposizioni, fratture hanno reagito al mondo globale. Non ripercorrerò il trentennio trascorso. Ma l’odierna situazione internazionale è lontana dalle speranze alla caduta del Muro. Segnata com’è, non solo da nuovi muri, ma da aspri conflitti. Da culture del muro e del conflitto. 
 
Sappiamo molto del mondo contemporaneo. Non manchiamo di informazioni, anzi. Ma -come dice il filosofo coreano, Byung-Chul Han, “le informazioni da sole non spiegano il mondo”. Non è facile capire e agire. Bisogna incontrare, anche il dolore. Ci raggiunge il grido di milioni di donne e uomini che soffrono per la guerra, per le crisi da essa innescate, per il disastro ecologico, per l’abbandono cui sono condannati. Queste grida spiegano il lato doloroso del nostro mondo.
 
Non si riesce a liberare l’umanità dalla guerra: in Ucraina, in Africa e in tante altre parti del mondo. Guerre, crisi violente aumentano. In qualche modo, pur credendo di reagire o agire, siamo prigionieri, pur senza dirlo. Per i potenti armamenti e le tecnologie belliche, i conflitti spesso si eternizzano, non trovano via d’uscita, nemmeno con la vittoria di una parte. Durano e intanto consumano i popoli, le vite e il tessuto d’interi paesi. I profughi inondano il mondo, esposti a sofferenze incredibili. 
 
Paesi potenti, responsabili di governo, colossi economici, si trovano impotenti di fronte a questo scenario o soggiogati da una logica che spesso altri hanno messo in movimento, senza pudore di praticare l’aggressione. Le guerre sono come incendi: c’è chi li appicca irresponsabilmente, ma alla fine nessuno li controlla e si sviluppano di forza propria, talvolta bruciando aggressori e aggrediti, ma anche paesi terzi. 
 
Sono parole non ispirate a un romanticismo pacifista, ma all’esperienza storica dei conflitti del secolo scorso e di questo, dall’incontro con le ferite dei popoli, dall’accoglienza dei profughi, veri testimoni e ambasciatori del dolore della guerra. 
Come donne e uomini di religione, ci muoviamo da anni sul difficile crinale tra la guerra e le speranze di pace. Abbiamo mosso i primi passi ad Assisi, in tempo di guerra fredda, nel 1986, quando Giovanni Paolo II convocò le religioni a pregare per la pace. Il 1 settembre 1989, a cinquant’anni dall’inizio del secondo conflitto mondiale, eravamo a Varsavia, mentre il Muro sembrava ancora tenere, per proclamare insieme come credenti dell’Est e dell’Ovest, del Sud: War never again! Mai più una guerra così! Basta con le conseguenze della guerra mondiale!
Di anno in anno, abbiamo monitorato i conflitti, cercato vie di pace (pure riuscendo a trovarle in alcuni paesi), lavorato per la cultura del dialogo e dell’incontro, coscienti che la pace è al fondo delle grandi tradizioni religiose. Parlando lo scorso anno, ai leader religiosi, riuniti nello spirito di Assisi a Roma, papa Francesco ha detto: “Qui trova ascolto la voce di chi non ha voce; qui si fonda la speranza dei piccoli e dei poveri: in Dio, il cui nome è Pace”. Le religioni non possono non ascoltare la voce dei senza voce e farsi loro voce.
 
La storia delle religioni non è stata sempre espressiva di questa pace, eppure -in questi anni- grandi figure di spirituali, gente di dialogo, audaci e pazienti mediatori, sapienti, ci hanno accompagnato. Non abbiamo smesso, ogni anno, di darci appuntamento, di città in città, per invocare la pace, pur nella diversità delle tradizioni religiose, per evitare che il sogno di pace sia seppellito. Non lo è, perché è scritto nelle fibre profonde dell’essere umano, nel profondo della fede dei credenti, nei desideri dei disperati.
 
Ringrazio quanti oggi si uniscono a questo incontro di dialogo, di pace, di preghiera. Le nostre visioni non debbono essere coincidenti, come le nostre letture della realtà complessa del nostro tempo: non è quello che conta! Tuttavia c’è un punto decisivo, espresso del titolo del nostro incontro, l’audacia della pace. In questa difficile situazione, non basta più la prudenza, pur necessaria, non più il realismo o la lealtà, pur decisive: occorre l’audacia, che ci porta oltre il muro dell’impossibile di fronte a cui ci siamo arrestati. 
 
Scrive un uomo che si è consumato sulle Scritture, Walter Brueggemann: di fronte alla guerra “ci riesce difficile credere alla possibilità dello schiudersi di una realtà nuova. Il futuro sembra stanco, atroce, replica del passato”. 
 
Audacia della pace significa credere che c’è un’alternativa. Che si deve investire di più nel dialogo e nella diplomazia, nell’incontro per soluzioni giuste e pacifiche. Parlare di pace non è intelligenza con l’aggressore o svendita dell’altrui liberà, ma coscienza profonda e realista del male della guerra su i popoli. Audacia della pace, che è perseguire visioni alternative senza rassegnarsi ai binari obbligati della realtà. Audacia della pace, per noi credenti, è invocazione della pace e fiducia in Dio che ha disegni di pace che guidano la storia.
 
Diceva Václav Havel, un uomo che ha portato il suo paese alla libertà: “la politica non può essere solo l’arte del possibile, ossia della speculazione, del calcolo, dell’intrigo, degli accordi segreti e dei raggiri utilitaristici, ma piuttosto deve essere l’arte dell’impossibile, cioè l’arte di rendere migliori se stessi e il mondo”. 
 
Le risorse spirituali, quelle dell’umanesimo, la partecipazione al dolore di tanti per la guerra, generano audacia per una pace vera, giusta, che non può essere più negata a troppi popoli.



Frank-Walter Steinmeier


Presidente della Repubblica federale tedesca
 biografia
"Signore, fa' di me uno strumento della tua pace;
dove è odio, fa’ ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono
dov’è discordia, ch’io porti l’unione".
 
Conoscete tutti questi versi della preghiera per la pace attribuita a Francesco d'Assisi. In questo spirito si collocano i vostri incontri per la pace, da quando papa Giovanni Paolo II per la prima volta invitò i rappresentanti di tutte le religioni ad Assisi, nella patria di quel Francesco di Assisi, che si è speso incessantemente per la pace e che è venerato ancora oggi, e non solo dai cristiani. Desidero aprire il mio intervento con questa richiesta di pace. Purtroppo, è più attuale di quanto non lo sia stata per molto tempo. 
Saluto,
Sono molto lieto di dare il benvenuto a tutti voi qui a Berlino! Grazie mille, caro professor Impagliazzo, per l'invito! Voi della Comunità di Sant'Egidio avete riunito ancora una volta alti rappresentanti delle religioni mondiali - per la prima volta a Berlino - per cercare insieme, nella fede e nella preghiera, nel mutuo dialogo, vie per rendere il mondo più pacifico. Ci date speranza in un tempo che è tutto fuorché pacifico. In cui i conflitti armati e le guerre non diminuiscono, ma aumentano: in Sud Sudan, in Medio Oriente, in Etiopia e in molti altri Paesi. È anche un tempo in cui un incubo è diventato realtà per noi europei: per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, una crudele guerra di aggressione sta infuriando nel nostro continente. Le sue conseguenze sono avvertite da molti Paesi del mondo. Questo rende ancora più importante il vostro incontro di pace qui a Berlino!
Voi tutti sapete, cari ospiti, quanto sia prezioso il bene della pace e quanto sia difficile il cammino per raggiungerla. Sapete anche quanto spesso nella storia la religione sia stata abusata per giustificare la violenza, quanto spesso guerre devastanti siano state condotte in nome della religione. Ma tutti condividete una profonda convinzione: Che la fede è una grande forza di pace. 
 
Caro Marco Impagliazzo, caro Andrea Riccardi, cari membri di Sant'Egidio, cari ospiti,
La guerra non porta solo morte, sofferenza e distruzione. La guerra è "la madre di tutte le povertà", fin dala fondazione della vostra comunità questa è stata per voi una certezza. Da allora, avete lavorato con incrollabile perseveranza per una maggiore pace nel mondo - vorrei solo citare lo storico accordo di pace in Mozambico più di 30 anni fa. E continuate a farlo oggi in molte zone di conflitto in tutto il mondo.
 
Nel vostro impegno per la pace, siete sempre stati sostenuti dalla forza che traete dalla vostra fede. Siete sempre stati sostenuti dalla fiducia in Dio e dalla consapevolezza di essere uno strumento di Dio. Spesso avete mediato in situazioni in cui la politica aveva fallito. Le persone in zone di crisi e di guerra vi hanno percepito e vi percepiscono tuttora come imparziali e credibili, si fidano di voi - ed è per questo che potete costruire la fiducia anche tra parti in conflitto. È così che avete reso il mondo un luogo più pacifico, più volte. Per questo, oggi vorrei ringraziarvi dal profondo del cuore! 
 
Già durante il mio mandato di Ministro degli Esteri, ci univa un forte legame. Ricordo con piacere anche la mia ultima visita a Roma nel 2017, durante la quale abbiamo avuto un intenso scambio di opinioni sulle crisi e i conflitti attuali, ma anche sulle altre grandi e pressanti problematiche dell’umanità: povertà, migrazione e movimenti dei popoli, disuguaglianza sociale e lotta al cambiamento climatico. Non c'è bisogno di convincervi che possiamo trovare soluzioni a queste grandi questioni dell’umanità solo insieme, nel dialogo. Solo così riusciremo a creare un mondo più pacifico.
 
Lei, caro professor Riccardi, una volta ha detto che il dialogo è iscritto nei geni di Sant'Egidio. Ed è proprio questo DNA che l'ha resa un'autorità rispettata a livello internazionale - basta guardarsi intorno in questa sala. Un'autorità che cerca e promuove il dialogo tra le religioni, ma anche il dialogo tra le comunità religiose, la politica e la società civile. Quanto è importante il dialogo, soprattutto in questo momento in cui le nostre democrazie liberali vengono sempre più contestate; in cui si aprono anche profonde fratture nelle nostre società e si riduce la disponibilità al dialogo. Per questo abbiamo così tanto bisogno di voi, comunità religiose, investite di una, ancora più grande, responsabilità!
 
Signore e signori, cari ospiti
Questo è il vostro secondo incontro di pace dal 24 febbraio 2022, dall'invasione russa dell'Ucraina. Ogni singolo giorno che è trascorso da allora ha portato sofferenza, distruzione e morte agli ucraini. Essi resistono e si fanno valere, lottando per la loro libertà con un coraggio ammirevole. 
Ma questa guerra ci pone anche di fronte a grandi domande, non solo a noi cristiani, ma a tutte le persone di fede: come è compatibile con la fede dare armi in una zona di guerra? Come si concilia con il comandamento della pace? Non stiamo forse prolungando la sofferenza? E non è forse nostra responsabilità fare tutto il possibile perché la pace prevalga il prima possibile? D'altra parte, ci è permesso rifiutare l'aiuto alle vittime di questa crudele guerra di aggressione? La solidarietà e l'umanità non ci impongono di stare al fianco degli aggrediti? Sono tutte domande che molti credenti, molti cristiani, vivono come un profondo dilemma. Come cristiano praticante, anch'io ne sono turbato.
Sì, la pace è una delle promesse più grandi e profonde di tutte le religioni del mondo, siano esse l'Islam, l'Ebraismo, l'Induismo, il Buddismo o il Cristianesimo.
Sì, è la pace a cui le religioni possono e devono contribuire insieme - è questo che vi riunisce anche quest'anno. 
Sì, sono le religioni che possono fornire un grande, indispensabile servizio come promotrici di pace e come forza di riconciliazione per l’umanità. Ma in questa occasione desidero anche dire chiaramente che chiunque, in nome della religione, si schieri con un violento signore della guerra che vuole sottomettere con la forza un paese vicino pacifico e democratico; chiunque, in qualità di guida di una chiesa cristiana, sostenga le atrocità inimmaginabili che vengono commesse contro la gente di questo Paese, anzi contro le proprie sorelle e i propri fratelli nella fede; chiunque agisca in questo modo sta fondamentalmente violando il comandamento della pace della fede!
Possiamo essere diversi nella nostra fede. Ma dobbiamo essere uniti in questo: la religione non deve mai essere una giustificazione per l'odio e la violenza. Questa è la responsabilità di tutti noi credenti!
 
Cari ospiti,
L’audacia della pace è il motto del vostro incontro di quest'anno. L’audacia della pace: solo tre parole. Tre parole piccole e allo stesso tempo così grandi. Ci portano a guardare al nostro tempo. L’audacia della pace fa pensare a noi tedeschi a Willy Brandt, al suo appello a osare più democrazia. L’audacia della pace, ecco che arriviamo a Dietrich Bonhoeffer e al suo discorso a Fanö nel 1934. Il grande teologo aveva già intuito quanto la pace fosse in pericolo a causa di quanto stava accadendo in Germania. Tanto più urgente era il suo appello a confidare in Dio nell'impresa della pace. 
Alcuni di voi ora si chiederanno: non dobbiamo forse anche noi oggi osare l’audacia della pace? La guerra in Ucraina non deve finire al più presto?
Ma, signore e signori, il 24 febbraio 2022 ha cambiato tutto. Con il suo attacco distruttivo, Putin vuole annientare i valori su cui si fonda la nostra comune Europa: la validità del diritto internazionale, il riconoscimento delle frontiere, la coesistenza pacifica di tutti i popoli in libertà su questo continente.
Credo che per noi europei opporsi a questa aggressione sia una conseguenza delle lezioni apprese dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale. Questa lezione è: "Mai più!".
Quanto voi, le chiese e le comunità religiose, quanto noi tutti abbiamo sperato e lavorato affinché una guerra del genere non si ripetesse. Che il nostro continente non ricadesse nuovamente in un'epoca di aggressioni, odio e sofferenza. Ma è esattamente quello che è successo.
 
Sì, vogliamo tutti la fine dell'orrore. Sì, vogliamo tutti la fine della guerra. Vogliamo la pace. Lo vuole soprattutto il popolo martoriato dell'Ucraina.
Ma, signore e signori, questa pace deve essere una pace giusta. Una pace giusta, che non è solo l'assenza di guerra. Deve essere una pace a lungo termine e non solo una tregua nei combattimenti che permetta alla Russia di portare nuove truppe al fronte. Un cessate il fuoco da solo servirebbe solo alla Russia per consolidare la sua occupazione illegale dei territori ucraini. 
L'Ucraina sta combattendo per la sua integrità territoriale, per la sua libertà, per il suo futuro democratico in Europa. Il popolo ucraino si sta ribellando contro il furto e l’asservimento delle terre, contro le terribili ingiustizie, contro i crimini verso bambini indifesi, le donne, gli anziani, contro il terrore e la distruzione delle bombe. In breve, l'Ucraina sta combattendo per ciò che ogni Paese del mondo rivendica per sé - e che è un prerequisito per una pace giusta e duratura.
Non sono l'Ucraina o i Paesi che la sostengono a rifiutare la pace. È la Russia che rifiuta la pace. Putin ha la possibilità di ordinare al suo esercito di rientrare e porre fine a questa guerra. Se l'Ucraina smette di difendersi, sarà la fine dell'Ucraina. Ecco perché noi europei e anche noi tedeschi sosteniamo l'Ucraina, anche con le armi.
Quando si potrà osare l’audacia della pace, la decisione spetterà all'Ucraina. Per questo è importante pensare insieme all'Ucraina, a livello politico, a come potrebbe essere una soluzione di pace. I colloqui di Copenaghen e Gedda hanno dimostrato quanto sia ampio il sostegno alla ricerca di una soluzione di pace. Sono stati un primo passo importante. Ogni piccolo progresso verso una pace giusta dà speranza agli ucraini. Ogni piccolo progresso dà speranza a noi e al mondo!
 
Cari ospiti,
Immaginare la pace in tempo di guerra è la più difficile delle cose inimmaginabili, ha detto una volta il caro Andrea Riccardi. Immaginare l'inimmaginabile significa: anche in tempo di guerra, non dobbiamo mai perdere di vista la pace. Mantenere la prospettiva della pace, anche se la strada per raggiungerla non è ancora evidente, di questo si tratta. Per noi europei in particolare, questa è e rimane una responsabilità tutta particolare, non solo per la nostra storia, ma soprattutto per il nostro futuro comune. Un futuro basato sui valori di cui ho già parlato: la convivenza pacifica di tutti i popoli nella dignità, nella libertà e nella democrazia. Non dobbiamo mai rinunciare alla speranza di pace, alla lotta per la pace!
 
Grazie di cuore!

Ahmad Al-Tayyeb

Grande Imam di Al-Azhar, Egitto
 biografia
Nel nome di Allah Misericordioso, Compassionevole.
 
Lode ad Allah, e le preghiere e la pace siano sul Messaggero di Allah e sui suoi fratelli profeti e messaggeri.
 
Egregio pubblico! 
 
La pace sia su di voi, la misericordia di Allah e le sue benedizioni. 
 
Vorrei iniziare il mio intervento esprimendo le mie condoglianze al popolo del Regno del Marocco, dopo questa immane tragedia che ha infranto il cuore a noi tutti. Invoco dall’Altissimo perdono e misericordia per tutte le vittime, pazienza per i loro famigliari, consolazione per i loro cuori, come invoco dall’Altissimo pronta guarigione per i feriti. 
 
Vorrei ringraziare la Comunità di Sant’Egidio per avermi invitato a questo incontro che si tiene a Berlino, la capitale della Germania, la locomotiva del progresso europeo nella scienza, nell'industria, nell'economia e nella cultura. Questo incontro, che riflette la determinazione di Sant’Egidio nell’adottare l'appello per la fratellanza umana e la pace mondiale, che l’ha qualificata per l’assegnazione del "Premio Internazionale Zayed per la Fratellanza Umana" quest’anno. 
 
Signore e signori! 
Sarete d'accordo con me che il nostro mondo odierno è bisognoso di ascoltare la voce delle religioni celesti, la voce della ragione, della saggezza e della conoscenza reciproca, mai come nel passato. L'era degli orrori e dei disastri, degli abusi contro la vita e la sacralità del sangue, della derisione dei valori religiosi ed etici e della natura umana, voluta da Allah, l’era del disprezzo dei diritti degli oppressi, dei deboli e dei sofferenti sulla terra. Pensavamo, anzi, ci aspettavamo nei primi decenni del terzo millennio di vedere più civiltà e compassione nell'umanità e più conoscenza reciproca, nella stessa misura del progresso stupefacente registrato e dei balzi in avanti nei campi del progresso scientifico, industriale e di civiltà materiale, con tutti i benefici che l'umanità ha raggiunto nel campo della vita materiale. Eppure, la dolorosa realtà ha dimostrato che questo progresso non è stato accompagnato, purtroppo, da un progresso parallelo nel campo della responsabilità morale, secondo il richiamo della coscienza e rispondendo all'istinto divino che Dio ha elargito agli uomini. E si è visto che il rapporto tra progresso tecnico e di civiltà si è sempre più accompagnato - sfortunatamente – a guerre, nonostante le previsioni dei filosofi del Rinascimento, i quali avevano asserito che il progresso umano nella scienza e nella civiltà avrebbe messo un termine definitivo alle guerre e alle loro cause e che la pace avrebbe accompagnato il progresso civico di pari passo. Difatti il famoso filosofo francese Condorcet disse nel 1787: "Una graduale espansione della civiltà sulla terra, sarà accompagnata dalla scomparsa della guerra, così come dalla scomparsa della schiavitù e della miseria" . 
 
Tuttavia, questi desideri si sono rapidamente rivelati un sogno ad occhi aperti. Il clamore delle armi, i tamburi di guerra, il gemito delle vittime e la perdita di denaro contata in miliardi e trilioni fu l'amara realtà e la dolorosa realtà a cui oggi l'uomo si è risvegliato in Oriente e anche in Occidente. Il filosofo bulgaro contemporaneo Tzvetan Todorov, scomparso cinque anni fa, ha detto il vero quando affermava che «le culture con tutte le loro componenti tecniche e artistiche si diffondono sempre più rapidamente in tutta la terra, e sono conosciute da ampi segmenti della popolazione mondiale, eppure le guerre non si sono fermate, la miseria non si è ritirata e persino la schiavitù è stata abolita soltanto dalle leggi, ma a livello di pratica, essa rimane ancora".   
 
La mia esperienza personale, signori, nella mia vita, che sta per toccare la sua ottava decade, conferma quello che dice questo filosofo. Sono nato dopo la seconda guerra mondiale nel 1946, e non appena ho raggiunto l'età di dieci anni, la mia città è stata distrutta: la città di Luxor, che comprende un terzo del patrimonio archeologico mondiale, è stata colpita dall’aggressione tripartita nel 1956 con la distruzione dell’aeroporto civile. Ho conosciuto - con i miei coetanei nella nostra prima infanzia - il significato di orrore e paura, trascorrendo le notti nell'oscurità totale, e nelle grotte sotto le montagne dove ci rifugiavamo con l'ultima luce del giorno, per uscirne dopo l'alba, per sfuggire ai razzi illuminati bengala seguiti da esplosioni terrificanti. Undici anni dopo l’Egitto ha vissuto la guerra del ‘67, e abbiamo vissuto dei giorni peggiori della guerra del ‘56, seguiti da anni duri di economia di guerra e perdita di vite umane; e non posso dimenticare una bomba lanciata su una scuola elementare affollata di bambini, insegnanti e lavoratori, trasformandoli in pochi attimi in corpi smembrati in mezzo alle macerie. Poi ci fu la guerra di liberazione del Sinai nel ‘73, e con essa abbiamo conosciuto il significato di orgoglio, dignità e fortezza. 
 
Pensavamo che l'era delle guerre nella nostra regione - dopo la guerra di liberazione - fosse finita per sempre e che una vita piena di sicurezza, pace e prosperità stesse ritornando, che le grandi istituzioni internazionali si impegnassero a proteggerla dal caos delle guerre, dalle decisioni avventate, dalla produzione e dal commercio delle armi, e dalla priorità di tutto questo sulla vita umana, sui diritti e sugli interessi. Tuttavia, la situazione si è rivelata ben diversa e si è arrivati - in un ordine misterioso e oscuro – all’insorgenza del terrorismo che ha provocato uccisioni nel nome dell'Islam in tutta la nostra regione. E non appena lo abbiamo sconfitto siamo stati travolti da una nuova serie di guerre i cui effetti distruttivi si riproducono e si moltiplicano in continuazione. A cominciare dalla guerra del Golfo, poi l'invasione dell'Iraq e la distruzione di molte delle sue istituzioni civili, militari ed economiche, e poi la guerra in Siria e Libano, poi la guerra nello Yemen, poi il suo volto orribile si è diretto verso la Libia. E dopo il mondo arabo, è toccata ai paesi del Sahel in Africa, poi ha attraversato il Mediterraneo dividendo il mondo intero in due campi che si combattono, fino al flagello di quest'ultima guerra con un impatto mondiale. E se sappiamo com’è iniziata questa sequenza, di certo non sappiamo coma andrà a finire né come sarà il mondo dopo di essa.
 
Signore e signori, 
 
non sono pessimista o superstizioso, ma vi confesso che - dal mio punto di vista, e a quanto vedo – questa crisi mondiale non ha via d’uscita se non con la luce della religione rivelata da Allah, guida e misericordia per l’umanità, diversamente da alcuni credenti che la usano come merce nel souk della politica e delle competizioni elettorali.  Per questo motivo, mi sono recato dal caro amico Papa Francesco, portando avanti uno scambio negli anni, culminato con la dichiarazione del Documento sulla Fratellanza Umana, firmato ad Abu Dhabi nel 2019, un documento che si basa sui valori umani e religiosi. Siamo stati spinti da una fedele lettura della realtà che ha confermato che la logica della "forza" e dell'"ingiustizia" è diventata la base di governo per le relazioni tra gli stati, in alternativa alla logica della compassione, della cooperazione e della giustizia. Basti sapere che l'1% della popolazione mondiale rappresenta il gruppo che gode di maggiore ricchezza e prestigio, e qui ricordo la saggezza islamica che dice: "Allah Altissimo ha incluso nei possedimenti dei ricchi il cibo dei poveri, e la fame del povero è riconducibile a ciò che possiedono i ricchi". 
 
La lettura della realtà ci ha anche confermato una verità molto amara: l'ingerenza straniera negli affari di alcuni paesi - in particolare i paesi arabi - per trasformarli in un mercato fiorente per il commercio delle armi, con tutto quello che esso comporta come il risveglio delle sedizioni e dei fanatismi etnici, religiosi e confessionali, oltre a rafforzare l'avidità dei ricchi e dei potenti che corrompono la terra e distruggono l'ambiente e fanno pagare ai paesi poveri le conseguenze dei loro crimini. 
 
I recenti sviluppi hanno confermato a tutti - e con profondo rammarico - un odio verso le religioni che non ha precedenti e un’aggressività nei confronti dei loro simboli e valori sacri. È ovvio che bruciare il Sacro Corano in alcuni paesi occidentali, noi in Oriente lo avevamo ritenuto un comportamento individuale insensato, sintomo di uno stato d'animo deviante o di una malattia nervosa, se non avessimo letto del sostegno di alcuni governi a questo comportamento provocatorio nei confronti di due miliardi di fedeli che santificano questo libro sacro, con il pretesto della "libertà di espressione", che è un ingenuo disprezzo per la mente e per l’ovvia differenza cruciale tra libertà di espressione e libertà di creare scompiglio nell'offendere gli altri e i loro valori sacri. 
 
I musulmani, a cominciare da Al-Azhar Al-Sharif e dal Consiglio dei Saggi Musulmani, hanno condannato il crimine di bruciare e demolire le chiese in Pakistan. Al-Azhar ha dichiarato che questo è equivalente al crimine del rogo del Corano, ed è un peccato e una aggressione. Questa è la posizione ferma dei musulmani, di tutti i musulmani, a partire dal Sacro Corano che impone lo stesso rispetto per il Profeta dell'Islam e per i suoi predecessori, per il Corano e per gli altri libri celesti che lo hanno preceduto, che il Corano descrive come guida e luce per l’umanità, come anche tutela le chiese e i templi, esattamente come tutela le moschee. 
 
Concludo sottolineando tre questioni: 
 
punto primo: questa ingiustizia nei confronti della donna musulmana in un antico stato islamico come è l'Afghanistan, negandole il diritto all'istruzione e all’insegnamento e il suo diritto a servire la propria società e l’esercizio di funzioni appropriate per la sua natura, ebbene, tutti questi diritti della donna sono riconosciuti dall'Islam e predicati da quasi mille e cinquecento anni.
 
Punto secondo: l'ingiustizia contro la famiglia come l'umanità l’ha conosciuta dai tempi di Adamo, la pace sia su di lui, che deturpa la sua natura e mette in gioco il futuro e i diritti dei bambini, oltre agli orientamenti che le religioni rifiutano, avvertendo dalla loro pericolosità, e che questo percorso errato porterà inevitabilmente all’estinzione del genere umano. 
 
Punto terzo, e ultimo, tra le tragedie e sofferenze: la somma ingiustizia che dura da tempo: la privazione del popolo palestinese dei propri diritti e della vita sulla propria terra e il silenzio del mondo civile di fronte a questa tragedia umana di lunga durata. 
 
Infine, se concorderete con me – signore e signori – sul fatto che il mondo intero oggi è come un villaggio, vorrei dire che la pace del mondo è più strettamente legata alla pace dei popoli e ribadire il principio secondo cui non c’è pace se non è per tutti: e cioè, non c'è pace in Europa senza la pace del Medio Oriente, in particolare in Palestina, nessuna pace in Asia senza la pace dell'Africa, nessuna pace in Nord America senza la pace del Sud America. 
 
Grazie per il cortese ascolto.
 
La pace sia su di voi, la misericordia di Allah e le sue benedizioni.



Umaro El Mokhtar Sissoco Embaló


Presidente della Repubblica della Guinea-Bissau
 biografia
Illustri Alti Rappresentanti delle Grandi Religioni del Mondo, Eminenze, Eccellenze,
Signor Presidente della Repubblica Federale di Germania;
Signori Ministri e Ambasciatori,
Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant'Egidio e cari amici,
 
Questo incontro si inscrive nella lunga storia di dialogo promossa dalla Comunità di Sant'Egidio, che ci ha invitati tutti qui. Questo dialogo procede dal 1986 nel solco di quello che viene chiamato "spirito di Assisi ", dal nome della città dove Papa Giovanni Paolo II volle tenere il primo incontro delle religioni del mondo. È un sogno di costruire la pace iniziato in piena guerra fredda e che continua in questo tempo di disordine globale, tempo imprevedibile di conflitti e terrorismo.
Ci incontriamo mentre continua la guerra in Ucraina, ma anche nel mio continente, in Africa, si moltiplicano le guerre e le violazioni della democrazia.
L'idea non è solo quella di un dialogo tra esperti, ma tra responsabili religiosi e politici, che rappresentano i loro rispettivi mondi. È il tentativo di dimostrare che è buono e necessario imparare a vivere insieme, perché vivere insieme è un'arte di cui abbiamo urgente bisogno.
 
Venendo dall'Africa, voglio rendervi testimonianza di quell'arte del dialogo e della pace che coltiviamo nel nostro continente e nel mio Paese, la Guinea Bissau. Le religioni e le culture possono e devono parlare al cuore dell'uomo con un linguaggio fatto di fiducia, e non di paura e aggressività.
 
Da molti anni conosco l'impegno di Sant'Egidio per il dialogo e la pace. Conosco le vostre mediazioni, come quelle in Mozambico (1990-1992), Burundi (1997-2000), Liberia (2002-2003), Togo (2004 e 2005), Costa d'Avorio (2003-2006) e ancora oggi i persistenti tentativi di pace in Sud Sudan (1998-2005), per non parlare del Medio Oriente, dei Balcani e dell'America Latina. Con la Guinea Bissau, Sant'Egidio è anche impegnata per risolvere la questione della Casamance.
So anche che migliaia di membri di Sant'Egidio sono africani: vorrei ringraziarli qui, in particolare per il loro impegno nella lotta alla povertà, per i programmi sanitari e di lotta all'esclusione che portano avanti senza perdere la fiducia nel futuro del continente.
 
L'Africa ha bisogno di essere ascoltata e compresa meglio. Ritengo che l'Europa debba interrogarsi molto di più e molto meglio davanti al mio continente, con il quale ha forti legami, ma verso il quale ha avuto anche molte mancanze e molte colpe. Bisogna trovare una nuova collaborazione tra Africa ed Europa, come quella che si realizza nell’operato di Sant'Egidio.
 
Il mio Paese, la Guinea Bissau, è sempre stato un modello di convivenza tra religioni. La convivenza ci spinge a pensare all'identità in termini nuovi: quando la convivenza si lacera, se ne vedono le tristi conseguenze. Il Sahel si trova oggi a dover affrontare la sfida dei jihadisti che vogliono imporre una religione trasformata in ideologia, che in realtà nasconde degli interessi materiali. È per questo e per la democrazia che stiamo combattendo. Nel mio Paese cerchiamo di creare un tessuto comune e questo è diventato una testimonianza di pace.
 
In tutto il mondo, la pace e la sicurezza sono le sfide più urgenti. C'è un grande bisogno di uomini e donne di religione e cultura diverse che uniscano le loro energie e le loro intelligenze per riaffermare il diritto e il dovere di tutti alla pace e alla sicurezza. A Berlino, nel cuore dell'Europa, vorrei riaffermare: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri per costruire uno spirito di fiducia reciproca, ciascuno nella propria tradizione, senza il quale nessuna sfida può essere vinta.
 
Il dialogo tra le religioni è il modo migliore per costruire un mondo più vivibile. È essenziale che i leader religiosi accompagnino gli Stati nella loro ricerca di una convivenza pacifica. Ci sono troppe manipolazioni in questo ambito. L'estremismo è una malattia che causa molte sofferenze. Come sapete, la povertà spinge molti giovani a lasciare il proprio Paese. Si tratta di un fenomeno che deve trovare risposta in uno sviluppo sostenibile. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico sta rendendo difficili le condizioni di vita in alcune parti dell'Africa e del mondo e sta impoverendo i terreni. La manipolazione di tutti questi problemi socio-economici da parte delle forze oscure della criminalità e del jihadismo genera violenza e distrugge gli Stati.
 
Il mondo delle religioni, qui rappresentato ad altissimo livello, e il mondo delle relazioni internazionali e della politica devono essere alleati in questa battaglia. L'impoverimento del dialogo è spesso il prodotto della crisi del sogno di cambiamento e del prevalere del pessimismo. Questa è una pessima scuola per i giovani. Questo pessimismo di fronte all'inevitabilità della guerra e della povertà non ci appartiene.
Come leader africano, conosco il peso di questo impegno: qui a Berlino - città distrutta dalla guerra - vi porto un sogno africano. Vi porto l'impegno assunto molti anni fa per la democrazia. Vi porto il sogno di convivenza tra popoli e continenti, questo nuovo umanesimo di cui l'Africa ha il segreto.
 
Grazie



Zohra Sarabi


Testimone, Afghanistan
 biografia
Signor Presidente, Signori e signore, Amici tutti
 
Mi chiamo Zohra Sarabi, ho 18 anni, e vengo dall’Afghanistan. Sono arrivata in Italia con il Corridoio Umanitario di Sant’Egidio nel mese di luglio del 2022 e da più di un anno vivo a Roma. 
 
Non ero ancora nata quando nel 1996 i talebani hanno conquistato per la prima volta il mio paese. A Kabul, con la presenza delle forze occidentali, la vita era ricominciata. I problemi c’erano ma almeno c’era anche la speranza.
 
In quegli anni ho avuto la fortuna di poter studiare e soprattutto di poter sognare. Poi il buio è tornato, quel 15 agosto del 2021, e tutto è cambiato. Voglio raccontarvi il mio 15 agosto. Ero a scuola con i miei compagni quando i professori ci hanno detto che i talebani stavano avanzando in città. L’incubo che conoscevamo solo dai racconti diventava realtà anche per noi. Ci hanno detto “andate subito a casa”. In quei giorni tutti volevano fuggire. C’era una grande confusione e tutti cercavano qualcuno in occidente che potesse portarli fuori dal paese. Dopo la bomba all’aeroporto di Kabul la situazione è precipitata. Per me e la mia famiglia – come per tanti altri - la vita era in pericolo perché mio padre, prima dei talebani, lavorava per il ministero della difesa. Era considerato un nemico.  Non uscivamo più di casa. Eravamo disperati.  
 
Oggi in Afghanistan le donne non possono più studiare, ma non possono neanche uscire di casa da sole senza uomini: non puoi nemmeno lavorare e mantenere la famiglia e la povertà cresce ogni giorno di più. Le ragazze non possono scegliere chi incontrare o avere amici. Per loro la vita è diventata impossibile perché manca la libertà. E la libertà è tutto.
 
Per arrivare in Europa, l’unico modo che esiste oggi per gli afgani è andare in un paese vicino.  Ma è molto difficile avere il visto.
 
Sono dovuta partire in fretta, senza mio padre e mia madre: per lui era troppo pericoloso chiedere il passaporto. Lo avrebbero riconosciuto. Ma non mi ha chiesto “vuoi andare?”: mi ha detto “DEVI ANDARE”. Ero molto triste. Anche lui era triste, ma mi ha voluto salvare. Alcuni, in Europa, pensano che noi vogliamo solo un futuro migliore: noi non vogliamo un futuro migliore, vogliamo SOLO UN FUTURO.
 
Siamo andati in  Pakistan. Ci sono milioni di afghani in Pakistan e in Iran, senza soldi, lavoro, scuola. Aspettano. Aspettano che qualcuno li porti via. Si cominciava a parlare di un corridoio umanitario. Tra i rifugiati ogni notizia è un appiglio per guardare al domani. A maggio del 2022 ho sentito che Sant’Egidio era arrivato a Islamabad e ci voleva intervistare. Ho cominciato a stare meglio… A sperare di nuovo. Mi ricordo il giorno in cui la Comunità ci ha invitati in una sala per conoscerci. 
 
Anche se l’attesa mi è sembrata  lunga, non ero disperata, perché dentro di me pensavo “qualcuno mi vuole, qualcuno mi sta aspettando”. Il 27 luglio, finalmente partivamo con un aereo, legalmente, per l’Italia! Sembrava una festa. 217 persone, quasi tutti giovani e bambini che caricavano i bagagli e salutavano. Mi ricorderò sempre quel giorno. 
 
Ora posso parlare e fare amicizia con tutti. L’Italia mi piace. Sono andata tante volte anche io ad accogliere a Fiumicino gli afghani che sono arrivati dopo di me con i corridoi umanitari. L’accoglienza fa bene al cuore di chi deve dimenticare la sofferenza ma anche al cuore di chi accoglie, perché insieme stiamo costruendo una società migliore.  Tornata da Berlino comincerò l’università. Voglio studiare la mediazione culturale e aiutare gli altri immigrati. Questo mi rende felice. 
 
Alla fine vorrei ringraziare per l’opportunità di fare questa testimonianza sul mio paese davanti a voi tutti che rappresentate le religioni e gli Stati, e vorrei chiedere a tutti di non dimenticare  l’Afghanistan, i suoi bambini, le donne, i giovani,  tutti coloro che soffrono, grazie. 

 
 

[Modificato da MARIOCAPALBO 15/09/2023 20:09]
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Sesso: Maschile
12/09/2023 20:06





Jerry Pillay


Segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese
 biografia

Eminenze,
Signore e signori, stimati colleghi e onorati ospiti,

 
Siamo riuniti oggi nella città che ha vissuto la caduta del muro e testimoniato l’incontro delle persone come segno coraggioso della scelta della pace. In effetti, ci vuole coraggio per scegliere la pace poiché spesso questo implica assumersi dei rischi, oltrepassare i confini e scegliere di essere diversi, non piacere a tutti, essere criticati e persino condannati. Nel complesso mondo di oggi, raggiungere e mantenere la pace è forse una delle opere più audaci che si possano immaginare. Scegliere la via della pace non è sempre facile, e giustificabile, scegliere diversamente è spesso sì audace, ma è anche e soprattutto la nostra vocazione e la nostra missione come leader religiosi.
 
Siamo nel mezzo di sfide globali: cambiamenti climatici, disuguaglianze sociali, crisi sanitarie e divisioni ideologiche, guerre, conflitti, occupazioni e distruzioni. Questi problemi non possono essere risolti isolatamente, e certamente non possono essere superati se scegliamo la contrapposizione piuttosto che la collaborazione. Immagina un mondo in cui le nazioni danno priorità al dialogo rispetto alla discordia, dove le comunità abbracciano la diversità invece di sottolineare le divisioni e dove gli individui praticano la compassione e la solidarietà rispetto al giudizio e all’avidità. La maggior parte degli insegnamenti religiosi promuovono questi valori al loro interno; tuttavia, stiamo ancora lottando, ad oggi, per garantire una vita dignitosa, sicurezza e speranza per tutti.
 
L’undicesima assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese si è riunita nel 2022 sul tema “L’amore di Cristo muove il mondo verso la riconciliazione e l’unità”. Probabilmente siete d'accordo con me che questo tema è di per sé una risposta al titolo del nostro incontro. Una pace audace è ispirata dalla nostra fede e ha due elementi chiave: la riconciliazione basata sulla giustizia e l’unità che abbraccia le nostre differenze.
Menzionerò tre aspetti del nostro lavoro che riguardano la Pace: il primo è l'istruzione. Crediamo infatti che la formazione serva come mezzo potente per promuovere la pace nelle differenti società e comunità. Coinvolgere i giovani in attività costruttive che promuovano il pensiero critico, l’empatia e il senso di responsabilità, contribuisce a costruire un mondo più pacifico e armonioso. La conoscenza porta alla comprensione, e la comprensione conduce alla possibilità di ottenere la pace. L'Istituto Ecumenico di Bossey è speciale e unico al mondo ed è una componente vitale del WCC (World Council of Churches - Consiglio Mondiale delle Chiese). È il suo centro internazionale di incontro, dialogo e formazione.
L'Istituto:
  1. è artefice nell’educare e formare i leader più giovani all’incontro e al dialogo interreligioso;
  2. rappresenta uno spazio per il dialogo interreligioso globale, uno spazio di incontro e di comunità;
  3. promuove, sia per ciò che riguarda l’ecumenismo che il dialogo inter-religioso, un apprezzamento critico delle tradizioni religiose in modo da incoraggiare il loro rinnovamento, le trasformazioni e la cooperazione reciproca.
In un mondo segnato da conflitti, da crescenti disordini sociali, ingiustizia e violenza, le comunità religiose sono chiamate ad essere sostenitrici forti e credibili della giustizia e della pace. L’alfabetizzazione interreligiosa è una competenza chiave affinché i leader religiosi possano impegnarsi in modo costruttivo per comprendere la diversità delle religioni e le differenze culturali, in modo da promuovere il rispetto e la comprensione. I nostri programmi forniscono ai futuri leader una formazione interreligiosa attraverso l’apprendimento olistico, collegando ragione e compassione, analisi e impegno. Nel luglio 2023, insieme al nostro partner, il Consiglio musulmano degli anziani, guidato dal Grande Imam Dr. Ahmad el Tayeb qui presente, abbiamo ospitato il forum Operatori di pace emergenti, in cui 50 giovani provenienti da 24 paesi e diversi contesti religiosi e culturali hanno vissuto insieme, imparato insieme e hanno condiviso le loro speranze e le loro riflessioni per un futuro migliore. Questi giovani hanno mandato un messaggio di speranza al mondo. Insieme sono testimoni viventi dell’audacia della Pace.
 
Il secondo aspetto del nostro lavoro che vorrei sottolineare è il Dialogo. Cercando e stabilendo attivamente spazi sicuri per l’incontro e il dialogo anche con coloro con cui non siamo d’accordo, crediamo di aver scelto la strada giusta per costruire una pace audace. Crediamo nelle conversazioni coraggiose che sfidano le nostre prospettive e allargano i nostri orizzonti. La pace non fiorisce ascoltando l’eco della propria voce; nasce dal dialogo e dal dibattito. Il Consiglio Mondiale delle Chiese è attivamente impegnato in diverse tipologie di dialogo: alcune sono formali e includono come partner istituzioni religiose, come il dialogo ebraico-cristiano e il dialogo cristiano-musulmano. Altre sono diplomatiche e coinvolgono governi, stati, società civile e agenzie delle Nazioni Unite. Tuttavia, la cosa più importante è che il Consiglio Mondiale delle Chiese è una controparte attiva nel dialogo della vita reale che implica collaborazione, cooperazione e azioni comuni per il bene comune della nostra fraternità umana, al di là delle parole e delle dichiarazioni.
 
Il terzo aspetto è la costruzione della pace. Attraverso l’educazione e il dialogo, attraverso progetti concreti nelle aree di conflitto, incarniamo l’impegno del movimento ecumenico per “le cose che contribuiscono alla pace”, come adottato in una dichiarazione dell’undicesima assemblea del Consiglio Mondiale delle Chiese avente lo stesso titolo. Dire profeticamente la verità, rifiutare le polarizzazioni e le divisioni, accompagnare le chiese e le comunità in situazioni di conflitto, sono alcune delle caratteristiche del nostro coinvolgimento nella costruzione della pace. Siamo attivamente coinvolti in iniziative di pace in molte parti del mondo, ad esempio in Sudan, Sud Sudan, Nigeria, Myanmar, Papua occidentale, Colombia, Palestina e Israele, Iraq e Siria e nel momento presente in Ucraina e Russia. Nel contesto della violenza razziale, etnica, di genere, religiosa e socio-politica, osiamo proclamare e dimostrare l’audacia della pace. Esprimiamo tale audacia per la nostra fede, per la speranza e fiducia in un Dio che anela alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione e all’unità nel mondo.
 
In conclusione, ricordiamoci che l’audacia della pace non è una ricerca passiva. È una scelta attiva, che richiede coraggio, resilienza e, soprattutto, speranza. Cerchiamo di essere audaci, non solo per noi stessi ma per le generazioni a venire. Il mondo ha bisogno di pace, amore e comprensione. Incarniamo questi insegnamenti con audacia.


Zsolt Balla

Rabbino, Germania
 biografia
K’vod Harabbanim,
President Steinmeier,
Mr. Riccardi,
Grand Imam Al-Tayyeb
President Sissoco Embaló,
Ms. Zarabi,
Mr. Pillay,
Ms. Kurschus,
Bishop Bätzing,
Illustri ospiti
 
Mi chiamo Zsolt Balla e, in qualità di membro del consiglio della Conferenza rabbinica ortodossa tedesca, ho l'onore di parlarvi oggi a nome del rabbino capo Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza dei rabbini europei. È un vero privilegio unirmi alla prestigiosa comunità di Sant’Egidio e prenderci per mano per discutere dell’audacia della pace.
 
Il Talmud babilonese dice che se uno fa un sogno e nel sogno appare una cosa fra le tre seguenti, il sogno può anticipare la pace. Queste tre cose sono: un fiume, un vaso e un uccello. La domanda ovvia è: cosa hanno a che fare queste tre cose con la pace?
 
I rabbini spiegano che l'affermazione del Talmud è ovviamente metaforica. Il fiume, il vaso e l'uccello rappresentano tutti un diverso livello di pace.
 
Il fiume, che per definizione costituisce uno spartiacque tra le sue due sponde, consente tuttavia la comunicazione e perfino lo scambio. Infatti, si possono costruire ponti o usare una nave per collegare le due parti. Ma le due sponde esisteranno sempre come entità separate. Questa coesistenza può permettere a ciascuna delle parti di avanzare, ma non sbloccherà le capacità che permetterebbero loro di arrivare ancora più in alto. Le due sponde del fiume restano estranee l'una all'altra. L’umanità ha sperimentato molte volte come la paura di uno sconosciuto possa portare odio, aggressività e distruzione. La pace rappresentata da un fiume è instabile.
 
Il vaso rappresenta un livello più elevato di pace. Ci sono due elementi contrastanti, che non possono esistere insieme: il fuoco e l'acqua. L'acqua spegne il fuoco, ma senza il fuoco non potrebbe mai diventare calda. Mettendo un vaso in mezzo, si ottiene tuttavia una cooperazione tra fuoco e acqua. Questo rappresenta il livello di pace in cui le due parti in conflitto comprendono che hanno bisogno di determinate misure e regolamenti per lavorare insieme, per raggiungere uno scopo più alto, ma senza farsi del male a vicenda. Così come un vaso riesce a raggiungere questo obiettivo, così è possibile che le due parti in conflitto si sforzino insieme per ottenere un obiettivo comune.
 
Ma c'è un limite. Quando l'obiettivo comune viene raggiunto, il vaso non è più necessario. Allora c'è il rischio di ritornare al livello inferiore di pace, rappresentato da un fiume.
 
L'uccello simboleggia l'obiettivo finale della pace. Gli uccelli uniscono nella loro esistenza due cose che non potranno mai realmente unirsi: il cielo e la terra. Alla fine degli anni '90 una troupe che girava un documentario seguì gli uccelli migratori. Dopo molte settimane la troupe, che letteralmente volò per migliaia di chilometri insieme agli uccelli, disse che si era resa conto che non erano loro a osservare gli uccelli. Erano gli uccelli che li osservavano. Qui c'è armonia completa, cielo e terra si uniscono.
 
E questo è il livello a cui dobbiamo tendere. Dobbiamo comprendere che non possiamo esistere l’uno senza l’altro. Tutta l’umanità dipende l’uno dall’altra. Ciò è espresso dall'analisi etimologica della parola ebraica pace, “Shalom”. Shalom ha origine dalla parola “Shalem”, “completo”. E quindi la traduzione più corretta di “Shalom” non è “pace”, ma “completa unità armoniosa”. “Shalom” si realizza quando tutti noi riconosciamo che non siamo altro che piccoli ingranaggi di un’enorme macchina. Sì, la macchina è enorme, ma non funziona finché tutti gli ingranaggi non sono al loro posto e girano come dovrebbero.
 
Il prossimo fine settimana nelle sinagoghe di tutto il mondo si celebrerà Rosh Hashana, erroneamente conosciuto come “Capodanno ebraico”. La giornata commemora la creazione del mondo e dell'umanità. Quindi è davvero il nuovo anno del mondo, ma solo gli ebrei lo sanno. Nelle sinagoghe si diffonde il suono primitivo dello shofar, il corno dell’ariete, che ci chiama a pentirci davanti al Creatore del Mondo.
 
Il grande filosofo ebreo medievale, Rabbi Moshe ben Maimon, noto come Maimonide, scrive che per pentirci dobbiamo considerarci come qualcuno che sta nel mezzo, sia come individui che come umanità, i cui meriti e peccati sono uguali, e ogni azione, buona o cattiva, potrebbe far pendere l'ago della bilancia, dalla parte del bene e del male. Davvero, ogni piccola azione? Il mio insegnante e mentore, il rabbino Rappoport di Gerusalemme, analizzando l'affermazione di Maimonide, afferma che con la nostra attuale conoscenza della matematica, Maimonide avrebbe descritto questo fenomeno con la teoria del caos, o come forse avrete sentito parlare, con l'effetto farfalla. Significa che tutti noi possiamo effettivamente influenzare il mondo. Sì, proprio come il movimento di una farfalla può, in determinate circostanze, provocare un uragano a migliaia di chilometri di distanza, così le nostre piccole azioni potrebbero trasformarsi in enormi eventi. Noi contiamo.
 
Noi abbiamo il privilegio di sederci in questa sala insieme a molti leader e persone eccellenti, ed è chiaro per me che tu sei qui, perché riconosci che sì, le nostre azioni contano, e sì, vogliamo far pendere la bilancia dalla parte del bene. Non ho l'audacia di dirti in che modo dovresti farlo. Ma cito le parole del grande Lord Rabbi Jonathan Sacks, defunto di benedetta memoria: “I buoni leader creano seguaci, ma i grandi leader creano leader”.
 
È nostro dovere portare questo messaggio di pace o, come indica la parola ebraica, messaggio di “Shalom”, di completa unità armoniosa. Possano i nostri sforzi essere per amore del Cielo e possa l'Onnipotente mandare su di noi la sua benedizione e la sua pace!

Zsolt Balla


Rabbino, Germania
 biografia
K’vod Harabbanim,
President Steinmeier,
Mr. Riccardi,
Grand Imam Al-Tayyeb
President Sissoco Embaló,
Ms. Zarabi,
Mr. Pillay,
Ms. Kurschus,
Bishop Bätzing,
Illustri ospiti
 
Mi chiamo Zsolt Balla e, in qualità di membro del consiglio della Conferenza rabbinica ortodossa tedesca, ho l'onore di parlarvi oggi a nome del rabbino capo Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza dei rabbini europei. È un vero privilegio unirmi alla prestigiosa comunità di Sant’Egidio e prenderci per mano per discutere dell’audacia della pace.
 
Il Talmud babilonese dice che se uno fa un sogno e nel sogno appare una cosa fra le tre seguenti, il sogno può anticipare la pace. Queste tre cose sono: un fiume, un vaso e un uccello. La domanda ovvia è: cosa hanno a che fare queste tre cose con la pace?
 
I rabbini spiegano che l'affermazione del Talmud è ovviamente metaforica. Il fiume, il vaso e l'uccello rappresentano tutti un diverso livello di pace.
 
Il fiume, che per definizione costituisce uno spartiacque tra le sue due sponde, consente tuttavia la comunicazione e perfino lo scambio. Infatti, si possono costruire ponti o usare una nave per collegare le due parti. Ma le due sponde esisteranno sempre come entità separate. Questa coesistenza può permettere a ciascuna delle parti di avanzare, ma non sbloccherà le capacità che permetterebbero loro di arrivare ancora più in alto. Le due sponde del fiume restano estranee l'una all'altra. L’umanità ha sperimentato molte volte come la paura di uno sconosciuto possa portare odio, aggressività e distruzione. La pace rappresentata da un fiume è instabile.
 
Il vaso rappresenta un livello più elevato di pace. Ci sono due elementi contrastanti, che non possono esistere insieme: il fuoco e l'acqua. L'acqua spegne il fuoco, ma senza il fuoco non potrebbe mai diventare calda. Mettendo un vaso in mezzo, si ottiene tuttavia una cooperazione tra fuoco e acqua. Questo rappresenta il livello di pace in cui le due parti in conflitto comprendono che hanno bisogno di determinate misure e regolamenti per lavorare insieme, per raggiungere uno scopo più alto, ma senza farsi del male a vicenda. Così come un vaso riesce a raggiungere questo obiettivo, così è possibile che le due parti in conflitto si sforzino insieme per ottenere un obiettivo comune.
 
Ma c'è un limite. Quando l'obiettivo comune viene raggiunto, il vaso non è più necessario. Allora c'è il rischio di ritornare al livello inferiore di pace, rappresentato da un fiume.
 
L'uccello simboleggia l'obiettivo finale della pace. Gli uccelli uniscono nella loro esistenza due cose che non potranno mai realmente unirsi: il cielo e la terra. Alla fine degli anni '90 una troupe che girava un documentario seguì gli uccelli migratori. Dopo molte settimane la troupe, che letteralmente volò per migliaia di chilometri insieme agli uccelli, disse che si era resa conto che non erano loro a osservare gli uccelli. Erano gli uccelli che li osservavano. Qui c'è armonia completa, cielo e terra si uniscono.
 
E questo è il livello a cui dobbiamo tendere. Dobbiamo comprendere che non possiamo esistere l’uno senza l’altro. Tutta l’umanità dipende l’uno dall’altra. Ciò è espresso dall'analisi etimologica della parola ebraica pace, “Shalom”. Shalom ha origine dalla parola “Shalem”, “completo”. E quindi la traduzione più corretta di “Shalom” non è “pace”, ma “completa unità armoniosa”. “Shalom” si realizza quando tutti noi riconosciamo che non siamo altro che piccoli ingranaggi di un’enorme macchina. Sì, la macchina è enorme, ma non funziona finché tutti gli ingranaggi non sono al loro posto e girano come dovrebbero.
 
Il prossimo fine settimana nelle sinagoghe di tutto il mondo si celebrerà Rosh Hashana, erroneamente conosciuto come “Capodanno ebraico”. La giornata commemora la creazione del mondo e dell'umanità. Quindi è davvero il nuovo anno del mondo, ma solo gli ebrei lo sanno. Nelle sinagoghe si diffonde il suono primitivo dello shofar, il corno dell’ariete, che ci chiama a pentirci davanti al Creatore del Mondo.
 
Il grande filosofo ebreo medievale, Rabbi Moshe ben Maimon, noto come Maimonide, scrive che per pentirci dobbiamo considerarci come qualcuno che sta nel mezzo, sia come individui che come umanità, i cui meriti e peccati sono uguali, e ogni azione, buona o cattiva, potrebbe far pendere l'ago della bilancia, dalla parte del bene e del male. Davvero, ogni piccola azione? Il mio insegnante e mentore, il rabbino Rappoport di Gerusalemme, analizzando l'affermazione di Maimonide, afferma che con la nostra attuale conoscenza della matematica, Maimonide avrebbe descritto questo fenomeno con la teoria del caos, o come forse avrete sentito parlare, con l'effetto farfalla. Significa che tutti noi possiamo effettivamente influenzare il mondo. Sì, proprio come il movimento di una farfalla può, in determinate circostanze, provocare un uragano a migliaia di chilometri di distanza, così le nostre piccole azioni potrebbero trasformarsi in enormi eventi. Noi contiamo.
 
Noi abbiamo il privilegio di sederci in questa sala insieme a molti leader e persone eccellenti, ed è chiaro per me che tu sei qui, perché riconosci che sì, le nostre azioni contano, e sì, vogliamo far pendere la bilancia dalla parte del bene. Non ho l'audacia di dirti in che modo dovresti farlo. Ma cito le parole del grande Lord Rabbi Jonathan Sacks, defunto di benedetta memoria: “I buoni leader creano seguaci, ma i grandi leader creano leader”.
 
È nostro dovere portare questo messaggio di pace o, come indica la parola ebraica, messaggio di “Shalom”, di completa unità armoniosa. Possano i nostri sforzi essere per amore del Cielo e possa l'Onnipotente mandare su di noi la sua benedizione e la sua pace!


Annette Kurschus


Presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (EKD)
 biografia
Sua eccellenza il Presidente Federale
Illustre prof. Riccardi
Illustri rappresentanti delle Chiese e delle Religioni
Eminenze
Eccellenze
Gentili signore e signori
 
È per me un onore prendere la parola davanti a voi, distinti ospiti, a Berlino, una città così ricca di culture, religioni e visioni del mondo diverse. La città di Berlino ospita già di per sé molte lingue e molte voci. In questo Incontro Internazionale per la Pace di Sant'Egidio si aggiungono voci da tutto il mondo. Voci flebili e voci forti, voci che cercano, che si interrogano e che si lamentano. Voci che chiedono giustizia, ma anche tante voci gioiose. Senza eccezioni, voci di pace. Che melodia!
 
1. Il grido dell’ingiustizia
Allo stesso tempo, ci giungono da vicino e da lontano grida angosciose di dolore e sappiamo quanto sia fragile la pace - e quanto siano in pericolo gli equilibri che diamo così tanto per scontati.
C'è la brutale guerra di aggressione russa all'Ucraina. Ci sono tante altre crisi e conflitti pieni di violenza e armi, nello Yemen, per esempio, o nel Nagorno-Karabakh, dove la fame viene usata come un'arma. Si combatte per le risorse vitali, per salvare le foreste in fiamme, contro l'innalzamento del livello del mare che minaccia la vita, contro la crescente disuguaglianza sociale. C'è tanto odio nelle nostre società, tanto stupido populismo, tanta ardente preoccupazione per la coesistenza pacifica.
Il sangue delle guerre, la sofferenza del creato, il mutismo di fronte all'odio e alla diffamazione: tutto questo grida al cielo.
 
2. Legami
Esattamente 60 anni fa Martin Luther King scriveva: “Injustice anywhere is a threat to justice everywhere”: “L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque”. Quello che un essere umano subisce in una qualunque parte del mondo si ripercuote su tutti, ovunque. Siamo connessi gli uni agli altri, quando condividiamo storie, quando rimaniamo legati gli uni agli altri e preghiamo, quando lavoriamo per la giustizia e per la pace. 
Siamo chiamati a vivere questa connessione che ci porta a dire: non sono indifferente a ciò che accade a te, alla tua comunità religiosa, al tuo paese. Siamo tutti connessi. La tua umanità e la tua dignità sono anche parte di me. 
“L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque”. Questo implica anche che la pace in qualunque luogo – in una famiglia, in un vicinato, in un paese, in una città, in uno stato – rafforza la pace in qualunque altro luogo e ovunque. Se gli uomini lavorano per realizzare una pace giusta, per la protezione dalla violenza, per la libertà e per l’accettazione delle diverse culture, questo impegno non resta senza conseguenze, né a livello locale, né a livello globale. Per quanto un’ azione possa sembrare piccola, fa la differenza e smuove qualcosa. 
 
3. La forza pacificatrice delle religioni
La lotta per la pace necessita delle comunità religiose. Si tratta di operare insieme e affrontare insieme le crisi globali. Sono consapevole dell’ambivalenza che ogni religione porta al suo interno: le religioni possono costruire ponti e contribuire enormemente alla pace. Ma possono anche seminare divisione e conflitto. Alcuni conflitti hanno radici religiose, e molti conflitti hanno dimensioni religiose. Tuttavia, molti sono i conflitti che sono stati superati grazie all’impegno di personalità del mondo delle religioni. Infatti, spinti dalla loro fede, uomini e donne riescono ad evitare o a ridurre la violenza, contribuendo alla riconciliazione. Raramente lo fanno singolarmente, più spesso aderiscono a movimenti della società civile. 
E qui entra in gioco il lavoro di Sant’Egidio, che considero esemplare del lavoro collaborativo.
 
Le comunità religiose sono connesse globalmente e contestualmente profondamente radicate nei contesti locali. La Chiesa evangelica in Germania (EKD) è impegnata ad ogni livello – dal Consiglio ecumenico delle Chiese fino al livello delle singole Chiese locali – nelle preghiere per la pace, nella formazione, nel dialogo e nella mitigazione dei conflitti sociali. 
La Chiesa evangelica in Germania condanna la guerra di aggressione della Russia. Sono convinta che ci sia bisogno di due cose al contempo: una forte Ucraina, che possa difendere se stessa e la propria libertà, e l’impegno per il dialogo, per far tacere le armi e porre fine alla carneficina di migliaia di morti. 
Il nostro impegno per la pace, come cristiani, è fondato nella consapevolezza che “Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (1Cor 14,33). La simpatia di Dio si rivolge ad ogni (!) uomo. Esternazioni cariche di ira, di disprezzo, razziste, nazionaliste, antisemite o islamofobe non sono compatibili con l'amore di Dio. Senza eccezioni, ogni essere umano - a prescindere dalla religione, dall'origine, dal colore della pelle o dal sesso - dovrebbe poter vivere in dignità e pace. Per questo, vale davvero la pena alzare la voce in nome dell'amore di Dio e osare vivere in pace.



Georg Bätzing


Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca
 biografia
Illustre Signor Presidente Federale, 
illustre professor Riccardi, 
stimati rappresentanti religiosi! 
 
È per me un grande piacere e un onore potermi rivolgere a voi qui a Berlino in occasione dell'apertura del grande incontro internazionale per la pace della Comunità di Sant'Egidio. Lo faccio come rappresentante della Chiesa cattolica in Germania - e quindi, in un certo senso, sono doppiamente orgoglioso: da un lato, perché la tradizione degli incontri di pace, che si collega allo storico incontro di Papa Giovanni Paolo II con i leader delle altre religioni ad Assisi nel 1986, quest’anno viene nuovamente portata avanti in Germania; dall'altro, perché Sant'Egidio è cresciuta sul terreno della Chiesa cattolica. Come potrebbe non riempirmi di gioia l'essere legato ad una comunità che presenta in modo così convincente al mondo una testimonianza della universale speranza di pace!
 
L'audacia della pace. Religioni e culture in dialogo – Questo è il titolo dell'incontro di pace di quest'anno. Un'affermazione giusta, apparentemente scontata. Ma in realtà si tratta di una delle grandi questioni del nostro tempo. Siamo decisamente su un terreno minato. 
 
Noi stessi, rappresentanti delle religioni, abbiamo di solito un'alta opinione del potere pacificatore della nostra fede, e forse di tutte le religioni. Qui in Europa, ma anche in altre parti del mondo, molti sono molto più scettici al riguardo. Considerano le religioni piuttosto come un ostacolo sulla via di un futuro più pacifico. Sono convinto che non dobbiamo liquidare troppo in fretta queste voci critiche. Piuttosto, siamo chiamati a fare autocritica, e questa non deve essere solo una manovra tattica, ma è un dovere della nostra fede.
 
E tale autocritica non può non constatare che tutte le religioni, in momenti diversi della loro storia, hanno ceduto ai demoni che inducono alla violenza e a non essere pacifici. Per rendersene conto, basta gettare uno sguardo sul presente. Le religioni vedono rafforzarsi quelle correnti che minacciano di emarginare le altre religioni. Le religioni devono fare i conti con componenti violente ed estremiste al loro interno, che, sotto forma di organizzazioni terroristiche, gettano nel caos intere regioni del mondo. E salta agli occhi anche ai giorni nostri che una chiesa cristiana legittima una guerra contro un Paese vicino. Questo è inaccettabile.
 
L'autocritica da parte delle religioni è quindi indispensabile, non solo per onestà, non solo per purificare le nostre coscienze - per quanto ciò sia importante - ma soprattutto affinché le religioni siano costruttrici di pace credibili. Possiamo infatti, svolgere un fattivo ruolo di supporto per un futuro migliore, tra le prove e le tribolazioni di un'umanità ripetutamente invischiata nell'ingiustizia e nella violenza. Probabilmente nulla tocca l'identità delle persone, delle comunità e delle società quanto la religione. Nella migliore delle ipotesi, essa forma le coscienze e insegna ad ogni essere umano a dimostrare la propria responsabilità nei confronti di Dio, sotto qualunque nome venga espresso il grande mistero della nostra esistenza. La religione testimonia i valori della modestia, dell'umiltà e della disposizione alla pace, la cui cultura è fondamentale per il fiorire della pace. Nella misura in cui le religioni indicano l'unico cielo sotto il quale tutti viviamo, esse risvegliano il senso della pari dignità per tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dalla forza e dalle ricchezze che si possiedono, dalla fede cui si appartiene. Nel linguaggio cristiano: tutti gli esseri umani sono figli amati dell'unico Padre. Condividere questo atteggiamento con gli altri, è il primo decisivo passo che rende i credenti collaboratori della pace. In tal senso anche Papa Francesco e il Grande Imam Ahmad al-Tayyeb hanno insistentemente richiamato l'attenzione, nel loro Documento sulla fratellanza umana del 2019, sul potere pacificatore delle religioni. 
 
Dimostriamo qui a Berlino che le religioni vogliono sempre di più far proprio questo spirito e vivere sempre più risolutamente di questo spirito! Sono quindi contento di partecipare all'incontro per la pace per il quale ci siamo riuniti. Attendo con ansia i numerosi incontri, la riflessione comune, le preghiere in cui si rispecchiano le diverse tradizioni religiose dell'umanità e in cui risplende l'unica speranza, le testimonianze della volontà di pace e anche della forza pacificatrice dei credenti.

[Modificato da MARIOCAPALBO 15/09/2023 18:26]
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